Le donne Argentine hanno fatto si che il loro Parlamento riconoscesse che
il legame tra vittima e carnefice costituisce un’aggravante nella violenza
perpetrata su una donna. In Italia il contesto del legame affettivo, nei
tribunali, apre la strada ad una serie di attenuanti che fanno pensare che
l’idea del delitto d’onore non sia mai morta, nonostante la cancellazione
delle leggi che lo prevedevano.Il fatto che nella legge sia, pare, nominato il femminicidio, ha fatto fare
alla notizia della sua approvazione, in poche ore, il giro del mondo, o
almeno in quella parte di mondo dove le donne chiedono una legge organica
contro le violenze sessuate.
_ È ormai certo che per ostacolare la fino ad
ora indisturbata strage di donne, bambine e bambini ci vogliono almeno
delle leggi: così la notizia che un paese intenda contrastare
istituzionalmente la violenza nascosta tra le pareti domestiche è
incoraggiante.

La legge non basta, serve, ma non basta e soprattutto non bisogna farsi
confondere dalle parole.

Dire che {femminicidio} è una fattispecie di reato, rappresenta una strana e
pericolosa cosa: riduce un crimine contro l’umanità, perpetrato
sistematicamente, non riconosciuto in tutti i suoi aspetti, alla
definizione così come formulata dai poteri.

Se il potere pronuncia parole per “differenziare” un crimine rispetto alla
qualità della vittima, con le parole induce una gerarchia, ed è davvero
folle pensare che “questi stati” possano per illuminazione improvvisa,
invertire l’ordine che da sempre pone la vita degli uomini al di sopra di
quella delle donne.
_ Uxoricidio, infanticidio sono parole che hanno a lungo
dissimulato, il valore relativizzato delle vite delle persone, commisurato
a sesso ed età, ma soprattutto in relazione a chi ne dispone e chi le
“tutela”.
_ E le donne non vogliono essere tutelate, vogliono che la loro
vita abbia il valore che loro stesse attribuiscono alla vita di tutti.

La vita e la libertà delle donne sono sottoposte in tutto il mondo alla
benevolenza o all’efferatezza degli uomini, è questo il punto della lotta
al femminicidio. Se il punto di partenza è una legge, come lo è, non deve
questa stabilire gerarchie tra le donne e tra le vittime di fronte al loro
diritto di essere vive.
_ Se è facile uccidere una donna perché è moglie, è
altrettanto facile per un cliente uccidere una prostituta, così come è
stato facile appena ieri in Argentina fare sparire donne e violentarle “in
stato d’emergenza”, prendere i loro bambini e privarli della storia.

Il movimento antiviolenza in Argentina, in Colombia, in Messico ha fatto
gesti universali che hanno incontrato il pensiero delle donne in ogni parte
del mondo e in Italia, tanto che ormai si può dire che per tutte, ovunque
il femminicidio non può essere combattuto per gradi: non ci si può
accontentare. Era quella legge che ha fatto il giro del mondo, che che le
donne aspettavano nella Repubblica Argentina?

La legge sullo Stalking, in Italia, è l’emblema di un crimine unico
spezzettato in diversi reati: stalking, molestie, stupro, una volta
uxoricidio e poi? Che lo stato abbia questa concezione è perfettamente
congruo alla nulla intenzione di promuovere la civiltà e la cultura delle
relazioni .

L’andamento dei processi “per femminicidio concluso con la morte” in Italia
dimostra che la gravità avvertita mediaticamente in particolari ricorrenze
(25 Novembre, 8 Marzo) non è quella sentita normalmente nel pensiero
dominante.

I processi infatti sono rimandati, invalidati indirettamente da norme
confliggenti e sono rinviate sine die le udienze:contesto giudiziario
tutt’altro che esemplare di un paese che rifiuta la sopraffazione e la
moderazione violenta delle donne.

I processi si assomigliano, quelli per stupro e quelli per “omicidio di
donna” inquanto al clima nel quale si svolgono. Li nominiamo così
distinti, non perchè lo siano, ma per esaltarne le analogie. Reati analoghi
con epiloghi diversi. Femminicidio è infatti molto più che un reato ma
comprende, piuttosto, nella sua definizione alcuni dei reati riconosciuti o
no a seconda delle culture.
_ È un processo politico-sociale di mantenimento
delle gerarchie sessuali, che comprene ogni gesto criminale (codificato o
no nel codice) che induca la morte o la minacci per escludere la libertà
femminile nella relazione con l’altro genere in famiglia, sul lavoro, nel
processo educativo, nello spostamento sul territorio, nell’esercizio dei
culti.

Quello che succede è che di fronte alla verità la ragion di stato, il
complesso di tutti coloro che la sostengono, sceglie di vedere e far vedere
ciò che conviene. Il risveglio della cronaca sulla violenza relazionale
domestica, nel mese di Marzo, ha permesso che calasse il silenzio sul
ricorso massiccio dei licenziamenti sessuati, ancora da quantificare. Senza
che fosse dato conto della stretta dipendenza tra la perdita dell’autonomia
economica e l’impossibilità di sottrarsi al condizionamento economico che
sostiene appunto la violenza familiare, il ricatto retributivo, il mobbing
sessuale. In altre parole il femminicidio

La denuncia e la condanna della violenza nascosta nelle case, non possono
rappresentare il pretesto alla presunzione di minor gravità per quella
commessa altrove. Gli eserciti in missione che violentano e uccidono le
donne fuori dalle proprie case, lontano dai legami affettivi, commettono
crimini contro l’umanità che in quel caso sono nominati come danni
collaterali.

Una legge che condanna un solo aspetto della violenza sessuata, come accade
da sempre, in realtà la permette. L’uso di una definizione, inventata dalle
donne, non fa di una norma una legge delle donne.

Femminicidio è ancora una parola che intimorisce il potere, una leva
culturale: non è tempo di consegnarla a chi vuole piegarla alla ragion di
stato.