Introduzione al report e sintesi di un seminario di approfondimento e scambi di opinioni ed esperienze (28 e 29 novembre 2014 – Palazzetto URBAN -Via Concezione a Montecalvario 26 – Napoli)

Vi proponiamo il report del Seminario di Napoli del 28 e 29 Novembre 2014 “Femminicidio: fenomenologia ed analisi politiche”. Si tratta di una trasposizione riassunta, naturalmente comprensiva del vissuto di chi ha scritto ma anche dello sforzo di restituire il senso della generosa intelligenza profusa da tante donne tra le presenti e tra le assenti che pure continuano ad ispirare il nostro lavoro.
Pensiamo a chi affronta processi, a chi vince battaglie quotidiane e soprattutto a chi guardando in avanti ci propone altre sfide da affrontare.
Udi di Napoli (Stefania Cantatore)

Il pensiero e le pratiche antiviolenza sessuata, nel solco dell’elaborazione che riconosce nel femminicidio l’elemento chiave di tutte le organizzazioni patriarcali, non è “solo” un ragionamento concentrato sul contrasto alle singole violenze: è la reidentificazione di un progetto che assuma la dottrina delle relazioni in alternativa alla dottrina dello stato. La definizione delle basi teoriche della scelta di riprogettare la politica intera a partire dalla prospettiva dell’eliminazione del femminicidio, ritenendo sottoposto a quest’ultima ogni altra definizione di progresso, impatta su concezioni e strutture politiche che, se pure in antagonismo o concorrenza, per secoli hanno condiviso l’idea che la violenza fosse un incidente di percorso o l’errore di una democrazia ancora imperfetta, se non una questione privata. Un percorso teorico tanto accidentato e contrastato, come questo, si è reso invece attraente, per quelle che l’hanno voluto e riconosciuto al fondo delle proprie esistenze, perché conduceva alla riscoperta della lotta per la liberazione delle donne e della loro piena autonomia.
Grazie alla capacità del movimento antiviolenza di diffondere la denuncia delle complicità istituzionali che coltivano la violenza e la usano per moderare le pretese delle donne, la politica non si è potuta sottrarre dal rispondere a quelle che venivano indicate come precise responsabilità anche sul piano culturale. L’assunzione di un linguaggio remissivo e benevolo, l’adattamento di una parte del lessico femminista alle pratiche di governo, ha determinato una specie di restyling delle logiche immutate: l’assistenza alle vittime ricalca e si sostituisce all’accoglienza alle sventurate di un tempo, se pure in qualche caso in forme evolute ed attuata da professionisti, e l’idea di fondo resta quella della fuga il che dice che è lei, la donna, ad essere fuori posto, testimone scomoda del fatto che l’uomo può essere violento. Questa, che è una constatazione, riassume in modo semplice il fatto che il processo del cambiamento atteso non è iniziato. Non è iniziato e non è nelle prospettive delle istituzioni attuali che, di fronte al ripetersi immutato di tutta la fenomenologia del femminicidio, prevedono non appunto la riconsiderazione delle politiche che nel loro complesso prevedono e si accompagnano alla moderazione delle donne, bensì parlano di incremento delle misure di pubblica sicurezza e assistenza allo svantaggio.

È molto chiaro, ora, ciò che è sempre stato prevedibile: una rivoluzione incentrata sulla cancellazione del femminicidio non può avanzare su correzioni parziali e piccole concessioni del potere patriarcale. A questo punto della storia, inoltre, non basta prendere atto della capacità del potere di assorbire in modo quasi indolore ogni critica, anche la più radicale: bisogna porsi delle domande, soprattutto di fronte al calo della tensione del movimento, che oggi sembra impegnato sulla sola questione della riparazione del danno. La domanda che alcune di noi, e per questo abbiamo voluto il seminario, si pongono è questa: quando è che che le nostre parole sul femminicidio hanno smesso di evocare il profumo di un’altra libertà e di un’altra politica?

L’UDI, dal 2006, ha lanciato campagne significative contro il femminicidio, e da sempre ha seguito percorsi contro la violenza sulle donne, tra i quali quelli che hanno portato decine di migliaia di firme alla legge d’iniziativa popolare contro quella che si chiamava “violenza sessuale”, poi depositata in Cassazione nel settembre 1979.
L’UDI, una parte definita del femminismo Italiano, non interpreta tutto il movimento e soprattutto non si appropria di una lotta che, comunque nominata, appartiene alla storia femminista nel nostro paese e nel mondo. Piuttosto compie delle scelte che ancora una volta rimandano al movimento e alle singole donne, testimoni e laboratori d’intuizioni liberatorie.
Creare occasioni di condivisione e comunicazione reciproca di patrimoni che separati, e tenuti separati, dalla comunicazione maschile, per vocazione e scelta, costituiscono piccoli e insignificanti poteri, ma che insieme costituiscono un sapere e una forza attraverso la quale ogni singola evoca tutte le altre.
Dopo le elaborazioni e le pratiche culminate in “Stop Femminicidio”, “la staffetta”, La Convenzione “ NO MORE”, e dopo tutto quello che è avvenuto tra le donne e nelle istituzioni dopo la “deflagrazione della parola femminicidio”, è apparso che il movimento antiviolenza, dopo percorso molte delle strade possibili nelle pratiche di contrasto e denuncia, necessita della scrittura di un bilancio.

Il seminario che si è tenuto a Napoli viene in un momento nel quale ogni ragionamento sull’esistente e sul possibile sembra tenuto in ostaggio da istituzioni. È questo il risultato di un processo incontrollabile di adattamento e riposizionamento del patriarcato, di fronte al deflagrare di parole e gesti politici significativi di una coscienza e di un pensiero che mostravano la natura strutturale del femminicidio, rivelandola come elemento fondante dell’organizzazione sociale e statale, passata e presente. In seguito alle forti pressioni di ogni segmento del femminismo, in seguito alle proteste, e soprattutto in seguito all’insostenibile denuncia delle complicità e delle violenze annidate all’interno dello stato e delle amministrazioni, è avvenuto che nei programmi dei partiti e nelle ipotesi di governo siano apparse previsioni di spesa “per” e tentativi di organizzazione di un contrasto pubblico alla violenza sessuata. Come in Spagna e in altri paesi Europei si è affermata la responsabilità diretta da parte dei governi nella rimozione, o la conferma, di alcune delle espressioni del femminicidio. L’indicazione delle responsabilità pubbliche nella salvaguardia delle vittime e la richiesta della restituzione (*) delle risorse alle donne dei centri antiviolenza, nelle intenzioni, costituivano i passi iniziali del contrasto alla cultura della violenza. È accaduto invece che l’assunzione della responsabilità da parte dello stato si è identificata in azioni di invasione ed espropriazione degli spazi autonomi, in questo caso l’antiviolenza gestita dalle donne che è stata inglobata nel welfare esistente e sottoposta a criteri gestionali simili a quelli di altri settori assistenziali.

Altro elemento contestuale è il permanere di ognuna delle condizioni che, come abbiamo sempre però pensato e detto, mantengono immutati e costanti le “punizioni esemplari” compiute sulle donne, dallo stupro alla soppressione e parallelamente rimane immutata l’omertà maschile tra violenti e le complicità politico/istituzionali.
Da una parte il fatto che le violenze permangano immutate nei numeri percentuali e nelle ritualità, dall’altra le difficoltà opposte da parte istituzionale ai centri antiviolenza autonomi e femministi, ci mettono di fronte all’esigenza di una riconsiderazione critica delle nostre pratiche nell’antiviolenza.
Uno degli elementi più forti che ci hanno condotte a queste giornate di riflessione e verifica è il silenzio sulla dimensione internazionale del femminicidio e sugli interessi degli stati servirsi della tratta di esseri umani e delle stragi programmate negli accordi economici e politici extraterritoriali.

Stefania Cantatore (UDI di Napoli)

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28 Novembre 2014 – Apertura dei lavori (partecipanti iscritte cinquanta)

La relazione introduttiva di Vittoria Tola parte dalle ragioni che ci hanno portato a organizzare questo seminario E’ un momento in cui verificare la scarsità dei risultati ottenuti. Riassume la storia delle campagne volute dall’Udi contro la violenza sessuata, percorrendo anche l’evoluzione del rapporto con le istituzioni per quanto riguarda l’interlocuzione tra governo e movimento delle donne.
Nel suo intervento la rivendicazione della capacità dell’Udi e del femminismo nel proporsi come soggetto politico nel dare indicazione nelle politiche di contrasto alla violenza sessuata, al contempo la denuncia dell’assenza della volontà politica da parte istituzionale a dar seguito a quanto “concordato” col movimento. Le artificiose complessità di norme disorganiche e contraddittorie, le divisioni e le confusioni tra centri antiviolenza e associazioni politiche, l’ingresso di soggetti impropri. L’imperativo è ridisegnare la presenza delle associazioni politiche, e dell’UDI, rivendicando il protagonismo delle donne sulla progettazione della strategia del contrasto, prendendo le distanze dalle urgenze, o meglio le emergenze, imposte dalle istituzioni e dai media forti. Siamo in presenza di una rielaborazione da parte del potere del concetto stesso di violenza e femminicidio, mostrandoli come reato e “errore culturale”. Davanti contraddizioni che abbiamo aperto mostrando la fenomenologia complessa del femminicidio, assistiamo a una riedizione dell’abolito “uxoricidio”.

Primo gruppo di interventiPer la lettura critica della cultura legale in Italia

1.1 Stefania Guglielmi, introduce le relatrici che propongono gli aspetti legali del contrasto alle violenze degli uomini sulle donne e gli aspetti processuali che riguardano le vittime.
L’introduzione di Stefania Guglielmi è la proposizione di alcune questioni che rispecchiamo un pensiero originale su tutta la questione “delle leggi dalla parte delle donne”. Dice Guglielmi: la violenza e la discriminazione non sono né cancellate, né introdotte da una legge. Piuttosto le leggi rispecchiano le pratiche sociali di moderazione dei comportamenti delle donne. L’uso critico delle norme, la pressione per cambiare il diritto costituiscono una strategia attraverso la quale apriamo continuamente contraddizioni che contrappongono alla volontà patriarcale di non spostare l’asse dello squilibrio che vede soccombere la libertà femminile sotto il peso delle logiche familistiche.
Le leggi Italiane, a partire dalla Costituzione, quando con benevolenza “concedono alle donne” stabiliscono invece l’adesione coatta ai ruoli sul piano comportamentale e personale. Gli articoli 37 e 29 della Carta alludono all’obbligo di svolgere funzioni materne e di cura, anche attraverso l’uso di un lessico per nulla casuale: la parola “adempimento” e la locuzione “nei limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

1.2 Elena Coccia
L’evoluzione delle fattispecie di reato previste nei codici e la relativa commisurazione delle pene nella storia del diritto, cosa è cambiato, cosa ancora potrebbe cambiare.
L’intervento si articola lungo seguendo una “storia particolare del diritto” seguendo storie certe, miti e simbologie.
Una riflessione che investe la stessa idea di progresso. Il fatto che molte cose siano cambiate, il fatto che nell’evoluzione dei sistemi di governo siano state introdotte forme di partecipazione femminile, ci deve far interrogare sul permanere, in modo pressoché immutato, della violenza sessuata come attitudine, ufficiosa, degli uomini verso le donne.
Naturalmente la conoscenza delle inefficienze del sistema ci porta a pensare che le donne salvaguardate potrebbero essere molte di più. Il ruolo assunto dal femminismo nel sottrarre più vittime alla violenza impone il buon uso delle leggi e una più stretta vigilanza sulle risorse malamente sottratte al contrasto del femminicidio.

1.3 Elvira Reale
Partendo dall’esperienza del lavoro svolto nell’ottica del sostegno psicologico e dell’accompagnamento, anche durante il percorso della denuncia come elemento indispensabile nella liberazione delle donne dal pericolo e dalla minaccia, sottolinea l’importanza di lavorare sulla trasparenza del processo e ostacolare l’utilizzo delle pseudoscienze e argomenti impropri. Una serie di terminologie esterne alla giurisprudenza come “delitto d’impulso” attinte da un bagaglio terminologico fatto proprio dai periti della difesa, soccorrono e motivano sentenze lievi e incongrue. Nei tribunali si precostituisce il “background” della reiterazione dei reati e si diffonde la cultura della “leggerezza” dei reati di violenza contro le donne.
Reale sottolinea l’importanza della perizia nel costruire l’efficacia dell’azione di parte civile, che spesso può fare la differenza nell’ottenere il massimo risultato possibile a favore della vittima.
Va ostacolato, nelle sedi legali, l’uso improprio della psicologia che supporta elementi di discolpa di cui è dubbio il fondamento scientifico.
Queste considerazioni riportano alla problematica della formazione dei periti, ai luoghi dove le competenze vengono acquisite e legittimate: le università legate ancora alla cultura “classica” in materia di violenza sessuata. Sarebbe importante aprire spazi di formazione dei docenti sulla materia.

1-4 Marta Tricarico
Parla dell’importanza dell’avvocatura nella difesa delle vittime, dell’importanza strategica di superare i limiti del diritto di famiglia: un ruolo strategico che punta a costruire “cittadinanza” in luogo della vittimizzazione- Questo lavoro proviene dall’incrocio tra militanza politica e competenze che, purtroppo, vengono escluse dal confronto con le Istituzioni.
Queste ultime Istituzioni tendono a considerare come interlocutrici legittime soltanto le operatrici dei centri antiviolenza. Quanto pesa la dipendenza economica dei centri dalle istituzioni stesse sulla libertà di spingere verso “una rivoluzione nel contrasto alle violenze”?
L’esclusione delle associazioni politiche nei momenti cruciali delle scelte è uno degli elementi decisivi della conservazione delle cause strutturali della violenza sessuata.

1.5 Erminia Cozza– Relazione analitica sulle differenze e il passaggio dall’ottica delle pari opportunità a quella della politica di genere. Da una legislazione mirata essenzialmente alla maternità, grazie al progressivo adeguamento alle normative internazionali, le norme attuali sono segnate dallo sforzo “del riconoscimento del genere. Dagli sforzi ai risultati è tutto ancora da scrivere e riscrivere […]

1.6 Milly Virgilio
Espone gli innumerevoli limiti derivanti da una legislazione che si ispira ad un modello femminile limitato nelle capacità di autotutela e al quale, fatalmente si pensa, vadano limitati gli spazi di autodeterminazione.
Le leggi sono confuse e contraddittorie perché rispondono al preciso intento di affrontare solo parzialmente la gamma dei reati e l’area della prevenzione in materia di femminicidio. L’Italia non ha una legge organica contro la violenza sessuata e il governo “contrabbanda” come legge sul femminicidio una norma inefficace e liberticida. “Anche contro la tua volontà”, dice Virgilio,è una locuzione per definire la posizione nella quale si viene a trovare la vittima di fronte alla denuncia d’ufficio. Invoca uno spazio di riflessione di denuncia sui risultati del processi e dei percorsi legali in materia di violenza sessuata.

Secondo gruppo di interventi –Femminicidio, la transizione: dal contraddittorio alla proposizione di un’alternativa

2.1 Stefania Cantatore Introduzione
Dal semplice svelamento delle responsabilità pubbliche e diffuse nella violenza perpetrata sulle donne, alla definizione “femminicidio” indicando una fenomenologia complessa ma motivata da una legge unica che impone la supremazia maschile, è deflagrata in Italia una questione di fronte alla quale la politica istituzionale ha reagito in modo scompostamente remissivo. Nei partiti e nella politica del governo e delle amministrazioni si era intuita la portata rivoluzionaria che avrebbe avuto la definizione di un conflitto sulla base di “femminicidio” come fenomenologia globale eppure strettamente attuale ad ogni contesto, anche quello Italiano.
Anche le donne, non direttamente latrici di teorie e pratiche che rifondavano il pensiero sulla violenza degli uomini perpetrata su di loro, furono sconcertate, incuriosite o in posizione difensiva: il femminicidio era/è scomodo se posto “come tema centrale della rinegoziazione politica”. Alla grande manifestazione a Roma del 2007 donne organizzate e no, che pure avevano affrontato dure discussioni organizzative, erano insieme nel nome di una parola comune, più forte dei significati differenti.
Tanto è che, in un lasso relativamente breve di tempo, si diffonde l’uso di un lessico comune sulla violenza, tra le donne attive e autonome in politica. Nello stesso lasso di tempo partiti e responsabili morali della riproduzione costante della violenza, reagiscono con un tipo di benevolenza “sul tema” che risponde all’esigenza di inglobare per disarmare la portata rivoluzionaria di una questione politica che mette in discussione la natura e l’organizzazione stessa dello stato patriarcale.
Le tappe e le strategie messe in atto sono a loro volta complesse, ad arte complicate per rendere complicata una questione che tutte comprendono, questa volta anche ad fuori del movimento, e ridurla ad una nicchia di saperi oscuri e specialismi, da una parte, a una questione privata dall’altra.
La discussione da affrontare e che molte attendono, senza ripercorrere la fuorviante traccia dei finanziamenti, delle leggi e tutto quanto obbliga ad entrare nella complessità articolata che preserva il potere dai cambiamenti. Uno degli elementi critici dell’espropriazione politica che oggi viviamo potrebbe risiedere nell’aver sovrapposto la questione del contrasto, comprensibile perché si tratta di vite, alla questione politica: tanto che oggi dobbiamo sforzarci, e vogliamo farlo come ci siamo ripromesse, di riprendere in mano la strategia comunicativa e le pratiche politiche.

2.2.- Luisa Betti
Esamina le strategie comunicative dei media forti sul femminicidio, parte della strategia politica che ha portato alla confusione e all’occultamento secondario della dimensione del femminicidio.
In sintesi si potrebbe dire banalizzazione, ma c’è di più: l’ignoranza di chi approccia il problema, lo sfruttamento mediatico/commerciale, la logica scoopistica.
La televisione e i giornali hanno finito per ridurre il femminicidio ad una sorta di “uxoricidio” reinventato, e di più restituiscono immagini di donne vittimizzate dai loro stessi gesti, lasciando aperta la voragine dei “perché” pronunciati, pur guidando l’emotività profonda verso una concezione di ineluttabilità della violenza “come ineluttabile è l’amore”
Per combattere questo muro granitico dove le donne sono ammesse solo “se convengono” , in senso di convenienza e in senso di accettazione dell’ideologia della violenza tradizionale se pure con terminologie diverse, simili solo nella forma a quelle lanciate dal femminismo.
Proporre corsi di aggiornamento, dotarsi di strumenti inediti per la comunicazione verso le donne, ma soprattutto non cedere la maternità delle intuizioni e della creatività lessicale. Sarebbe una sconfitta, per esempio, cambiare il nostro linguaggio solo perché loro non cambiano.

2.3- Nadia Nappo
Nappo dice di avere sempre avuto perplessità sull’uso della parola femminicidio. La Guerra guerreggiata e la violenza, quale confine tra le violenze attraverso le quali si afferma il potere maschile? Soffermarsi non è però utile l’obiettivo è evidentemente la ricerca delle modalità di opposizione politica all’uso della violenza per escludere ed occultare l’autorevolezza femminile. Le donne resistono e resistono “efficacemente” nella misura in cui si sentono parte di una comunità raccolta intorno a storie, eredità e pensiero sul mondo.
La delle donne non è sottoposta ai “contesti”, in quanto quella che deriva da un riconoscimento gerarchico non può essere considerata autorevolezza bensì la delega di un’autorità che può essere sottratta in ogni momento ed è luogo di condizionamento se non ricatto. È nel territorio del potere maschile che i limiti si chiariscono: sono quelli da non superare. Ridursi nei limiti imposti comporta una forma di controllo “automatico”, che arriva alla soppressione violenta nel momento in cui avviene lo sconfinamento. Le donne di Juarez che superano il confine, le donne che superano il limite della coppia, che premono per uscire dalla clandestinità: le donne punite per essere uscite dal controllo.
Le donne che rappresentano un insieme di pensiero e di certezze nell’essere madri della propria libertà sono meno vulnerabili perché il loro essere in un certo luogo, in un certo processo politico non si estingue col loro esserci fisicamente: sono carne e simbolo. È questo rende “stupido” attaccar e sopprimerle.
Non è paradossale, alla luce dei ragionamenti che si stanno facendo, e più che mai fondato affermare che di fronte al femminicidio, contro la violenza maschile, è d’importanza vitale l’emersione del pensiero forte sull’alternativa al patriarcato, vissuta come quotidianità. Il movimento delle donne ha sempre saputo incarnare “l’alternativa”: il movimento contro il femminicidio, anche, deve saperla incarnare per uscire dal ricatto delle risorse “donate” dal potere e soprattutto dalle definizioni che il potere impone alle vittime e alle soluzioni.

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Al termine degli interventi si sono formati due gruppi di discussione: uno sui temi politici e uno sui media
I Lavori dei gruppi sono proseguiti fino alla mattinata successiva. Nel primo pomeriggio la restituzione dei contenuti emersi.

Gruppo Politico
(Si è convenuto di far convergere in un gruppo unico le discussioni sulle prospettive politiche e quelle giuridiche)
Il gruppo ha ragionato sulla base degli elementi emersi durante le relazioni e il dibattito: il lavoro si è poi concentrato, partendo da differenze anche conflittuali, sulle strategie da assumere di fronte alla “banalizzazione del male” e all’andamento routinario delle politiche “ex post violenza”, praticamente le uniche messe in atto al momento.
I presupposti per i quali questa discussione è stata avvertita comunque da tutte con urgenza sono: l’inadeguatezza degli interventi e delle norme antiviolenza e la constatazione dell’attribuzione di irrilevanza alla teoria sul femminicidio sostituita, dal potere e non solo, da una concezione arcaica che riconduce la vittima a una condizione di minorità da emancipare e la violenza a una forma di arretratezza culturale.
Vari interventi hanno sottolineato diversi aspetti, ma il gruppo infine conviene su un punto guida: le leggi e l’operato istituzionale sono emanazioni patriarcali che, come tali, di fronte ad ogni squilibrio in avanti (la legge sull’aborto, il nuovo diritto di famiglia, la cancellazione del matrimonio riparatore, il riconoscimento dello stupro come reato contro la persona, ecc..), tentano di dotare il potere, direttamente o indirettamente, di forti elementi di riequilibrio dell’assetto dato (la PAS, la legge sull’affido condiviso, l’introduzione nei processi di attenuanti fantasiose a discolpa del femminicida, ecc. … rappresentano una parziale ricostruzione dello stato precedente alle riforme del diritto).
Si colgono poi le straordinarie convergenze delle differenti aree di potere istituzionalizzato (politico, religioso, economico, amministrativo, mediatico, scolastico/universitario) nel costruire una dottrina sincretica sul femminicidio, bonariamente detta sinergia di intenti positivi verso le donne, che si sovrappone e si sostituisce a quella femminista che coglie anche scientificamente gli elementi strutturali che determinano il femminicidio nella sua dimensione attuale e antica.
Gli elementi che qualificano l’ideologia del potere sul femminicidio e che la rendono riconoscibile prima ancora di quanto non lo sia nei gesti sono : la definizione di femminicidio tagliata sul profilo del vecchio uxoricidio (stupri, uccisioni di donne non allineate tra cui le prostitute, violenza verbale nelle dichiarazioni pubbliche, istigazione alla violenza a mezzo stampa, la mancata applicazione sulle norme protocollari in pubblicità e pubblicistica, sfruttamento sessuale delle/dei minori ecc, passano in secondo piano e sono spesso occultati nella cronaca) e l’indifferenza pubblica, e anche di una parte dell’opinione pubblica, per il superamento dei limiti del rispetto umano (contrabbandata come libero pensiero)
Si sottolinea e si dice ad un certo punto che come le donne hanno superato il limite imposto dall’ordine gerarchico, denunciando e facendo deflagrare il femminicidio mostrandone la natura politica e sociale, ed escludendo che esso possa essere un problema di natura relazionale, il versante dei poteri ha mostrato una tendenza progressiva a superare “i limiti della decenza”. Infatti mentre nelle “sedi dedicate” si conviene sull’esigenza di nuovi stili comunicativi e politici, nell’interpretazione del contrasto alla violenza si presentano nient’altro che riedizioni, a volte peggiorative, di vecchi stili di assistenza (destinazione dei fondi ai soggetti impropri, disattenzione alla convenzione di Istanbul, definanziamento della rete antiviolenza autogestita, insulti sessisti nelle sedi istituzionali, esaltazione della famiglia come luogo emblematico della femminilità, ricatti e/favori sessuali nei luoghi di lavoro legati al parlamento e al governo), mentre nella comunicazione all’interno di programmi televisivi , radiofonici e sui giornali “nelle sedi non dedicate”, viene dato sfogo a quello che si ritiene un clima conformista, facendo allusioni a un ruolo sessuale femminile passivo e/o di tipo prostitutivo che superano il “vecchio limite della decenza”. Si può dire che in modo ideale si ripropongono in termini generali le condizioni nelle quali si perpetrano i singoli femminicidi “se tu non ti moderi, ti modero io”
L’analisi storica del femminicidio, dimostra che l’immanenza della fenomenologia non cambia né per il peso che esercita sulle singole vite, né per modalità (nessuno dei fenomeni costitutivi del sistema di moderazione violenta della libertà femminile è mai completamente scomparso, per quanto efferato o enfatico della potenza maschile), per cui la valutazione numerica che se fa, non è che uno dei dettagli usati per creare una bolla mediatica lontana dai motivi che ispirano il movimento che ha sollevato il velo sulla “convenienza” che determina la morte e la privazione della libertà comminate alle donne nelle società evolute, come in quelle tribali. Il conteggio tenuto dalle femministe aveva ed ha lo scopo di denunciare una strage misconosciuta, l’enumerazione me mediatica con la spettacolarizzazione dei singoli eventi ha lo scopo opposto ovvero l’occultamento della violenza (oppure mostrandola come anomalia) che qualifica lo stato in tutti i suoi segmenti. Quella che viene quantificata è la violenza che lo stato e la stampa riconoscono come tale e non quella che realmente colpisce le donne.
Il movimento antiviolenza tiene sotto controllo le azioni che si compiono in nome delle cittadine, con l’obiettivo di limitare i danni aggiuntivi che le vittime subiscono. Questo genera un inseguimento, anche a causa così dette emergenze, diffuse ad arte quasi sempre con l’obiettivo di perseguire interessi estranei ai bisogni delle donne (emergenza immigrati, ordine pubblico ecc.) e genera estenuanti trattative per correggere gli errori del governo, per di più su tavoli politici dove il movimento ha uno scarso, se non nullo, potere contrattuale. In forza dell’esigenza di “salvare e salvarsi” dalle violenze, si commette spesso l’errore di porsi se pure involontariamente in stato di dipendenza dal potere, il quale concede risorse e piccoli privilegi purché non si discutano le gerarchie.
L’esperienza e la storia, e le storie delle donne, dimostrano che il movimento riesce a pesare in politica se si qualifica come soggetto politico, consapevole del sapere e dell’autorevolezza costruita nella reciprocità del riconoscimento femminile. Il lavoro che pensiamo utile sarà quello di proseguire nella ricerca e nel superamento delle gabbie nelle quali si è disperso il patrimonio utile a costruirne uno più grande. Partendo da obiettivi come l’approfondimento delle strategie e dei saperi e attuando azioni concrete e simboliche insieme.
Tra le azioni concrete si pensa a una proposta di cambiare la costituzione agli articoli 37 e 29 e la ricostruzione di riferimenti indipendenti per il soccorso alle vittime.
Ai lavori del gruppo hanno partecipato con comunicazioni rappresentative che non avevano potuto essere, per ragioni di tempo, inserite tra gli interventi. Alcuni di questi sono allegati insieme alle relazioni originali, in quanto ne abbiamo avute note scritte.
Tra le 50 partecipanti le donne che hanno lavorato nel gruppo: Vittoria Tola, Stefania Guglielmi, Milly Virgilio, Clara Pappalardo, Luisa Festa, Ambra Occhiuzzi, Maria Luisa Nolli, Rosa Maione, Elena Pagliuca, Marta Tricarico, Stefania Cantatore, Nadia Nappo, Francesca Magliulo, Enza Turco, Lucia Coletta, Chiara Guida, Rossella Marchesi, Silvia Di Salvatore

Gruppo info e comunicazione
Le televisioni, i giornali, il web, la pubblicità diffondono messaggi che obliterano la vita reale delle donne e conformano gli eventi secondo il teorema da dimostrare al momento. Il femminicidio è raccontato nella dimensione spettacolare. La violenza quotidiana non appare ed è negata. Quale spazio al racconto della politica e dei bisogni delle donne è concesso dalla logica dei media? Farsi spazio è possibile? La presenza delle donne nei mezzi d’informazione non è bastata e non basta a far emergere l’informazione delle donne o almeno utile alle donne. Inseguire i media con la critica e i comunicati è diventata una pratica rituale di pochi risultati.
Contrastare la diffusione “dei corpi conformati al desiderio maschile” e, in generale la diffusione di modelli comportamentali ed estetici funzionali, alla riduzione delle persone a oggetti/agenti di consumo sembra una partita troppo grossa da giocare singolarmente o da parte di singoli soggetti politici non comunicanti tra loro.
È necessaria la ricerca di nuove strategie, anche minimali, ma gestite direttamente dal movimento. Le reti sul web sono, in effetti, il mezzo più potente a disposizione, l’unico che diffonde notizie “utili alle donne” e le raggiunge. Ancora troppo poco sviluppate e conosciute nelle potenzialità che offrono.
Si propongono reti di comunicazione locale per socializzare la difesa reciproca immediata: socializzazione della sicurezza. Sviluppare l’interconnessione dei blog e implementare l’informazione reciproca, con un lavoro mirato.
Hanno partecipato al gruppo: Liviana Zagagnoni, Giovanna Franchetti, Anna Maria Visconti, Liliana Valenti, Laura Fiore, Maria Franca Pulitanò, Giovanna Scassellati, Maria Luisa Balzano, Giulia Mazzetti.

(*1) Si usa la parola restituzione in quanto il pagamento dei tributi effettuato, non corrispondendo in alcun modo all’investimento nei servizi utili alle donne, si configura come una vera e propria sottrazione di risorse.