Infuria il dibattito sulla prossima maternità di Gianna Nannini, 54 anni. Ho sentito quello su Radio3, giovedì scorso. Mi sembrava una sintesi di quello che si legge sulla stampa e come quello surreale.Si andava dalla libertà delle donne a gestirsi il corpo anche se questo ha detto basta, al fatto che gli uomini lo fanno da sempre perché il loro ha un basta diverso, alla convinzione che allora è giusto lo possano fare anche le donne (Lidia Ravera e altri, e non penso che la notorietà dell’artista fosse ininfluente).

Ma va! Sono un po’ stupita e mi chiedo se dobbiamo continuare ad essere prigioniere di questo pari agli uomini, perfino nel loro basta biologico? Sempre dimentiche di noi.
_ Mi chiedo perché mai il nostro orologio dovrebbe essere più brutto?

Per me non lo è e non voglio neanche considerarlo così e comunque non mi interessa questa strana parità al maschile. Non vedo come possa essere uno svantaggio da recuperare se loro possono e vogliono essere padri vecchi con figlie/i giovani, ma orfane/i precoci…

Questo tipo di affetto genitoriale non riesce a interessarmi; trovo sia più complessa la genitorialità e soprattutto questa non mi fa sentire meglio come donna! Anzi, per noi donne, questo obbligo dei “limiti” materni all’uguaglianza paterna, mi sembra un frutto velenoso dello strabismo delle pari opportunità.

Secondo questa logica è sbagliato il nostro corpo, e non solo. Ma chi l’ha detto? Perché devo stravolgere il mio corpo per fare quello che fa l’altro, che non sono io, e il mio orologio deve essere brutto? Non so rispondermi se non pensando ad un’enorme sciocchezza e che forse bisogna cambiare l’ottica, lo sguardo e il punto di vista come donne.

Cadiamo facilmente in strane trappole, dopo anni di femminismo (se lo è, ma questo non mi convince) salottiero nei midia e nei partiti: un colpo al cerchio, uno alla botte…

Siccome i figli non li fanno gli uomini capisco la loro indifferenza alle donne e al corpo gravido, ma non capisco questo desiderio al femminile, come fosse così più bello: perché la società cambia… lo sviluppo ha cambiato i modi di vivere… il desiderio di una professionalità al femminile ha spostato l’età della gravidanza… e così è giusto che anche noi… quando possiamo…

Capisco bene invece, che sono le madri, più giovani dei vecchi padri, le delegate a tirarli su per conto degli uomini anziani, quando saranno morti e anche prima e non so se è un godimento.
_ E poi diciamola tutta, ma dov’è questa meraviglia di aver una figlia o un figlio giovane da abbandonare? Perché è garantito che morirai abbastanza presto per un impegno sulla vita di altre/i così lungo! (E per favore non facciamo confusione col vedovato, è un’altra condizione.)

Sì, non riesco proprio a capire dove si collochi il bello di questa parità che, forse, nasce dallo svilimento continuo che la società ci sbatte addosso quando diventiamo madri. Ma se è così, allora cosa facciamo?

Facciamo le madri molto più tardi e la consideriamo una liberazione? Invece che pretendere un mondo del sociale, del lavoro, della produzione che ci rispetti (madri e figli/e), spostiamo l’età della maternità dicendo anche che è più bello? Ma chi l’ha detto? Antinori e gli apprendisti stregoni…? (Ben venga Il Sottosopra “Immagina che il lavoro” che pretende un cambio di società a misura di donna per uomini e donne…)

Nel dibattito sulla Nannini si è scomodata, come al solito, l’etica e la morale, l’incapacità, compresa quella economica, delle giovani nella società attuale a fare le madri e la si è contrapposta alla capacità delle anziane che, già realizzate, sapranno fare meglio (sempre Lidia Ravera).
_ Sui soldi e il fatto che a una certa età una donna abbia meno egoismi avrei da dire e magari non solo io, ma ammesso e non concesso che sia tutto vero, credo che il dibattito sia troppo spostato sulla sola nascita.

Basta vedere lo stupore che suscita raggirare a 54 anni l’orologio temporale della gravidanza confondendolo con la maternità. E proprio qui, mi pare vi sia da sciogliere un nodo complesso tra gravidanza e maternità – interdipendenti sì, ma non omologabili in un tutt’uno come si usa fare, anzi – ancora legato a questa cosa che le donne fanno nascere e gli uomini no, dimostrabile dalla solidissima architettura civile e religiosa costruita sulla nascita e molto meno sul far crescere, per capire che l’impostazione del dibattito continua ad essere ideologica, e faccia scomparire quasi letteralmente il fatto che non basta dire sì a far nascere e a nascere, per risolvere il problema della maternità.

Quando è nato o nata, non è già risolto un bel niente, è solo finita la gravidanza e comincia la maternità, un nuovo mondo con una nuova vita, altro che! E le donne dovrebbero saperlo meglio degli uomini, soprattutto se hanno partorito.

Il sì iniziale è fondamentale per la futura madre e per chi nascerà, ma la storia lì, non si ferma come invece appare dalla discussione. Forse la facciamo finire lì per il dibattito trito e ritrito sull’aborto, sempre dimentico del prima e del dopo, che è abituato a con-centrarsi più sul momento dell’inseminazione e della possibile nascita che sul resto.
_ ( Non sarà perché troppe volte rimane per molti il tempo il momento più sentito della paternità?)

Comunque ci si dimentica, come sempre, che dopo essere nati bisogna anche essere accuditi (e magari trovare pure un lavoro da grandi, Marchionne e Marcegaglia permettendo) in molte maniere diverse per almeno vent’anni, se non di più oggi, e che non basta assolutamente nascere per avere la vita garantita ed uscirne persona in grado di stare in piedi. Ed è proprio questo il problema ostinatamente passato sotto silenzio: la vita già messa al mondo, già nata, non viene considerata (nel dibattito sull’aborto è sempre scomparsa e nel rimanente anche).

A 54 anni, la vita, per le donne e per gli uomini, inizia una curva conclusiva delle sue risorse. In genere a quest’età facciamo quasi i nonni e le nonne, non a caso. Certo ci sono milioni di tate, ma se un figlio si fa da anziani per questo, allora è inutile il dibattito.
_ Se però fare figli si porta dietro tutta una relazione di desiderio di una vita che nasce da te e ti continua e si continua, allora il discorso cambia e tutta la forza fisica e psicologica che serve a far crescere meglio diventa il groppo a cui dover guardare per parlarne e per costruire mondi.

A 74 anni poi, a vent’anni dalla nascita, il tuo corpo ormai risponde sempre più limitatamente al quotidiano, e non sei ben in grado di seguire un/a ventenne nel suo mondo, che non è più, neppure lontanamente il tuo; neanche se sei Gianna Nannini e la pubblicità ci fa credere il contrario.
_ Insomma ci manca la forza di aiutare a cercare quella strada che magari neppure la prole sa qual’è.
_ L’energia che occorre, per lasciarli/e andare coscienti di sé, è un universo che investe il personale in modo intenso e non basta il danaro (abbiamo fior d’esempi in questo senso) anche se serve.

Esserci senza esserci platealmente, dare senza far vedere e senza volere troppi ritorni, se non la capacità di camminare con le proprie gambe, allontanarsi essendo presenti mi pare il compito genitoriale più complesso che ci viene richiesto e ce lo chiedono a vent’anni.

A 74 anni invece, se ci arrivi, è il momento in cui desideri un po’di calma, guardarti intorno per fare il punto della tua di vita. E’ il massimo che puoi chiederti, e invece no. Secondo il dibattito dei midia, devi rispondere come se fosse possibilissimo (senza pensarci troppo a 54anni) a una vita giovane che chiede sicurezze che forse ti stanno già sfuggendo, anche se hai pensato di essere speciale.

Sembra filosofia, ma è la vita e l’amore per un figlio o una figlia mi sembra un’altra cosa che scegliere di farlo a 54 anni, contro il tuo corpo…
_ A Gianna e le altre come lei, in bocca al lupo… ma non facciomole sembrare le eroine di una nuova libertà femminile.