Trent’anni di distillazione, una vita spesa nella tensione politico-letteraria ed ecco il Dizionario, scritto da Alice Ceresa frutto disincantato e incantevole dette tante parole che “in spietato e ordinatissimo estratto alfabetico, attraverso la figura femminile si incarna esemplarmente la grottesca in naturalità in cui la società moderna s’è andata strutturando”.In una lettera all’amica e traduttrice francese Michèle Causse, scritta nel 1976 e conservata nell’Archivio Svizzero di Letteratura (perché Ceresa è nata a Basilea e cresciuta in Ticino), è la frase in cui “scopre” di “non poter più scrivere un libro tutto di seguito, come spiegato nella figlia prodiga”, “ritiene” che le donne “non dovrebbero mai scrivere libri tutti di seguito, vale a dire per es. romanzi, perché ho il forte sospetto che non corrisponda loro questa forma presuntuosa di creazione organizzata banalmente come la banale vita che ci hanno fatta”, ipotizza che “le donne dovrebbero fare filtri, come le streghe. Io, per ora, distillo”.

Trent’anni di distillazione, una vita spesa nella tensione politico-letteraria, fra “ricerca della concisione e ambizione a un valore universale delle definizioni proposte” ed ecco il Dizionario, frutto disincantato e incantevole dette tante parole che “in spietato e ordinatissimo estratto alfabetico, attraverso la figura femminile si incarna esemplarmente la grottesca in naturalità in cui la società moderna s’è andata strutturando”.

Nelle carte del Dizionario, mai dato dall’Autrice alla stampa, anche la storia di un work in progress: scalette, cambi di progetto sulle voci da inserire, varie riflessioni sui termini, innumerevoli redazioni dattiloscritte che “certificano un esercizio costante di revisione critica”.

Negli anni in cui non ha mai smesso di accrescere e migliorare le sue “voci”, che già nel 1976 erano numerose. Alice Ceresa non si è mai concessa la soddisfazione di porsi davanti a un compiuto, pur nella continua intenzionalità di pubblicare, come accadde con le 5 voci stampate in traduzione francese nel 1977 e tedesca nel 1993.

L’Autrice scrisse all’amica: “Adesso ti spiego come la vedo io: per me {{l’inuguaglianza femminile non è fatta dei temi delle rivendicazioni, ma è ancorata nella intera visione del mondo}}; ergo, se io faccio un disionario (che comprende le parole dello scibile), devo fare il giro anzitutto delle radici di quest’albero del’inuguaglianza. Anzi ti dirò che la mancanza di questo giro d’orizzonte è la maggiore debolezza delle femministe anche se capisco che chi si batte (fortunatamente per noi tutte) nelle strade non può avere di queste preoccupazioni. Io però le posso avere, anzi, direi che debbo (…) in conclusione, il piccolo dizionario io non lo scrivo per le donne; lo scrivo perché va scritto. E siccome io scrivo difficile, ebbene, sarà difficile; non mi risulta che le cose, e neanche quelle da capire, siano facili. Se poi non mi vogliono leggere, ne fanno a meno. Di chi devo avere pietà? E in nome di che cosa? Della stupidità? Abbasso la stupidità”.

Avvertiamo, come da curatrice, che {{[tutto il fascicolo contenente l’apparato filologico è gratuitamente scaricabile->http://www.edizioninottetempo.it/Ceresa_Crivelli.pdf] in formato pdf dal sito dell’editore}} (www.edizioninottetempo.it/Ceresa_Crivelli.pdf).

Segnaliamo che poche curatrici si dimostrano tante attente a fornire indicazioni sui materiali e sulla formulazione della loro opera quanto Tatiana Crivelli che, in Appendice, non solo giustifica i motivi della pubblicazione dell’inedito ma propone le versioni espunte dalle carte di lavoro di Ceresa e filologicamente significative.

Jacqueline Risset infatti nota che, “benché sia stato ideato e iniziato negli anni Settanta, il Piccolo dizionario non offre traccia di risentimento né di esaltazione monovalente, es. “donna è bello”, ecc. Furore e ironia dominano, più ancora che negli altri scritti della stessa autrice; e si dovrebbe forse scrivere quei due nomi con la maiuscola (…) come avviene per alcune voci particolari, così che nozioni astratte come Biologia o Letteratura diventano allegorie femminile in azione”.
Si legge: “Assetata di ordine e di plausibilità, la biologia, che allora ignorava di portare questo nome, si aggirava disperata nel mondo”. Ancora: “La letteratura vive in caverne tapezzate di libri e molto raramente esce allo scoperto (…). Agisce in solitudine, non le si conoscono complici o amici e svolge le sue alchemiche attività lontano dagli occhi di tutti”.

Cosa ha fatto Alice Ceresa se non continuare a “usare aprodisticamente il linguaggio del diritto, della legge, della norma, facendo apparire l’arbitrarietà e l’aberrazione della norma”? Cosa e quanto ci ha lasciato attraversando quella cultura che definisce “la somma della tradizione e del sapere di un popolo o dell’umanità intera”, che consiste “in qualsiasi manifestazione dell’umana natura purchè abbracciata da un numero sufficiente di individui” e che, qui lo scarto, “è quindi un fatto quantitativo e non qualitativo come si vorrebbe farci credere?”.
Il Dizionario, assicura l’Autrice, conferma la curatrice, non fornisce risposte. A partire dall’anima.

Anima: “organismo non soltanto invisibile, inodore, asonoro, impalpabile e insipido, ma anche razzista (…). Studiata da apposite discipline e amministrata da specifiche istituzioni quali filosofie e psicologie da una parte, chiese e manicomi dall’altra, per non citare le più appariscenti; e partecipa per estensione a tutte le attività umane, dalla riproduzione della specie alla guerra, nonché a quelle più squisitamente sociali, dalla politica ai tribunali, senza che le sia concesso di dire bha. L’anima infatti, essendo immateriale, non può parlare e neanche e tanto meno mordere”.
_ Veramente un sollievo.

– Alice Ceresa {Piccolo dizionario dell’ineguaglianza femminile}, (Nottetempo, 2007, Isbn 978-88-7452-10-4), curato da Tatiana Crivelli, con postfazione di Jacqueline Risset.