Erano circa le 20, mi trovavo in tipografia per seguire il montaggio delle due pagine che uscivano tutte le settimane all’interno di questo quotidiano, quando entra Mariuccia Masala. Si presenta. Ci salutiamo. Viene da Napoli. Mi dice, senza giri di parole, di essere interessata al progetto di queste pagine che puntano i riflettori sul protagonismo delle donne.La guardo stupita perché, proprio quel giorno, in redazione c’eravamo dette quanto sarebbe stato importante avere un riferimento a Napoli. Il giornale veniva distribuito anche lì. La magia del caso mi ha sempre colpito. Il mio “sì” è stato immediato. Mariuccia mi colpisce, mi piace a pelle. Ha gli occhi intelligenti, curiosi, il suo sguardo è determinato. Le chiedo se ha gia’ chi la ospita. No. La invito a dormire a casa. Telefono; quando arriviamo Stefano, il mio compagno, e mia figlia Paola, avevano gia’ preparato tutto per ospitarla.

Anche lei ha un figlio, Marco, di un anno più giovane di Paola. La prima cosa che mi dice che anche Mario, suo marito, si comporta con lei e con il suo lavoro come sembra stia facendo Stefano. Un po’ scherzando, le dico che la nostra redazione è fatta quasi tutta da “mamme di famiglia”. Molte di noi hanno figli e compagni capaci di darci una mano. Così, parliamo della redazione, di che cosa è in quel momento il movimento delle donne, ma anche di noi, della nostra vita spesa tra affetti e politica, tra politica e lavoro. Non è stata solo una conoscenza professionale, è stata una amicizia profonda, un rapporto che ha anche coinvolto i nostri due nuclei familiari. Con Mariuccia e Mario, io e Stefano abbiamo conosciuto Napoli. La Napoli di quelle persone che hanno fatto tanto per renderla politicamente e culturalmente interessante. In quegli anni raggiungevo spesso quella città per seguire convegni e riunioni. Allora c’era un forte scambio culturale tra le varie città.

Intanto, Mariuccia aveva preso il tesserino da pubblicista, aveva lasciato il ruolo di funzionaria del Pci per cercare di dare seguito al lavoro di giornalista che le piaceva di più. Aveva anche pensato di riprendere gli studi all’università. Ma, lavorare come giornalista a Napoli non era facile. E’ così che, anche per questo, si sposta a Milano. Va con Marco, Mario la raggiungerà non appena ottiene il trasferimento. A Milano ci sono i genitori, la sorella, il fratello. C’è tutto quel mondo politico che aveva lasciato quando era andata a vivere: a Napoli. Mariuccia è riuscita a costruire, sempre e ovunque, relazioni significative e durature. Già, erano in centinaia nella chiesa di Quarto Oggiaro a darle l’ultimo saluto tanto che il sacerdote si è sentito in dovere di ricordare che Dio accoglie anche i comunisti in Paradiso.

Non solo era riuscita a collaborare con “Marie Claire”, ma aveva costruito anche la redazione milanese del Paese delle donne. Aveva ritessuto tutta una serie di rapporti politici non solo con le donne delle istituzioni, ma anche con quelle dei partiti e del movimento.
E, con il desiderio di aprire nuove strade aveva fatto nascere la sezione del Pci “Teresa Noce”. Aveva stabilito, anche, uno scambio attento e critico, mai supino, con la Libreria delle Donne di Milano. Quelli, però non sono anni facili. La città è permeata da una cultura retriva, autocentrata, a volte xenofoba, una cultura che prende sempre più piede trasformandosi in scelte politico istituzionali.

Le telefonate, tra noi, in quel periodo si fanno sempre più frequenti. Ci chiediamo fino a che punto siamo disponibili a mettere in discussione gli affetti per scelte professionali o politiche che entrano in contrasto con questi. Siamo d’accordo su una cosa: non è una buona politica quella che può mettere in discussione gli affetti. L’affetto per le persone che ci circondano e la passione per la politica hanno una radice comune.

Torna a Napoli. Ritesse e riannoda rapporti politici e professionali. Mette su casa. Si laurea. E vince anche un concorso all’Autority delle Comunicazioni. Quando ci troviamo mi dice che finalmente ha ottenuto quello che desiderava: un lavoro che le poteva garantire anche la possibilità di interessarsi di politica in modo diverso da quando era funzionaria di partito.
Il lavoro in Rai mi impedisce di girare come una volta, così’ ci vediamo, quando lei arriva a Roma per seguire i lavori dell’Autority. E, come sempre, il nostro parlare è fitto fitto: si passa da come educare i figli assieme ai nostri compagni, a come migliorare il Foglio rosa, da come allargare la partecipazione di chi scrive e di chi si abbona, all’analisi della situazione politica. Ma, discutiamo anche dei libri che stiamo leggendo.

E, poi, quella telefonata: mi devo operare…
Abbassò le luci sull’impegno politico e lavorativo e, assieme a Mario, cercò un nuovo percorso per non perdersi in inutili paure.

Quest’estate la chiamai al cellulare. Mi rispose che stava andando a Santiago de Compostela e che aveva percorso non so quanti chilometri a piedi. Le dissi se era diventata matta, rise anche lei e mi rispose: sai, a Mario è venuta una tendinite, mi sta raggiungendo Marco, continuerò con lui.
Poi, l’ultima telefonata. Abbiano parlato del libro della Muraro.
Bisogna – mi dice – che ne riparliamo e dovremmo farlo anche con Patrizia.
Ciao, Ciao Mariuccia.

{Da Il Foglio del Paese delle Donne n. 35/36 2003}