Buio. Si sentono grida di donna e rumore di oggetti rotti. Un gatto assiste immobile a qualcosa che lo spettatore può soltanto presagire; lo sguardo del felino è perturbante e annuncia simbolicamente una discesa agli inferi.

Così, inizia Elle ultimo pluripremiato lungometraggio di Paul Verhoeven, regista e sceneggiatore fiammingo dai contrasti forti, famoso per il thriller erotico Basic Instinct, RoboCop e l’audace Showgirls, tutti film che scandagliano la sessualità e i fantasmi sotterranei che la agitano.

Elle -tratto dal romanzo Oh…di Philippe Djian edito da Voland- rompe le gabbie dei generi. È allo stesso tempo raffinato thriller alla Hitchcock, dramma psicologico, commedia e sguardo grottesco sul mondo postmoderno.

Protagonista del film e dello stupro iniziale è Michelle, una donna corazzata contro le emozioni che non a caso reagisce immediatamente alla violenza subita. La vediamo distesa per terra, subito dopo in piedi: raccoglie i cocci degli oggetti infranti nella colluttazione, ordina la cena che consumerà normalmente con il figlio, si sdraia nella vasca da bagno per lavare dal corpo ogni traccia del violentatore. Il giorno dopo è subito al “lavoro”: la mente a guardare in faccia il trauma e lo sguardo attento a cogliere indizi sul suo stupratore.

Verhoeven, insieme allo sceneggiatore David Birke, costruisce meticolosamente il personaggio di Michelle tra un flash sempre più nitido dello stupro e scene che la mostrano nei panni algidamente sensuali di manager, impegnata a produrre un videogioco che mescola violenza e sesso. Anche nel privato, Michelle è una donna abituata a comandare. Il sesso praticato con il marito della sua amica è per lei esercizio di potere. Ha un figlio che considera un succube; un ex marito cui sfonda con esilarante determinazione la macchina prima di andare a cena; una madre grottescamente erotica, predatrice e preda di un toy boy.

La sceneggiatura è abile nel mettere in parallelo, da subito, lo stupro subito da Michelle e l’attualizzazione del trauma che ha segnato la sua vita. I riflettori mediatici sono, infatti, puntati sul padre cui è stata negata la grazia e che quindi resterà in carcere ma anche su di lei. La colpa di cui si è macchiato il padre è la trasformazione improvvisa da uomo “normale” in killer seriale. La colpa attribuita a Michelle è riassunta in una foto che la ritrae a dieci anni coperta di cenere e con lo sguardo allucinato -come una sopravvissuta di Hiroshima- dopo aver appiccato fuoco a ogni cosa, insieme al padre assassino, nel giorno della mattanza.

“Figlia psicopatica di uno psicopatico”, così Michelle si definisce sotto lo sguardo carico di desiderio del suo stupratore. Lo ha identificato in breve tempo e ha stabilito con lui una relazione sadomasochistica in cui agisce il ruolo di vittima ma anche prende coscienza dei suoi fantasmi e della rigidità affettiva.

Intorno al personaggio di Michelle c’è un mondo borghese e borderline, senza più confine tra il bene e il male. Ciascun personaggio è potenzialmente un mostro. I vicini fintamente normali,  l’amante che pretende sesso incurante dello stupro, i creativi del videogioco che, istigati dalla stessa Michelle a rendere più realistico l’orrore virtuale, sovrappongono per “gioco” la sua faccia sul personaggio femminile sodomizzato dai tentacoli fallici di una creatura inumana.

La sessualizzazione violenta delle relazioni sembra una via obbligata per tutto questo mondo che nega ogni differenza. Non a caso, il film s’intitola Elle, una lei anonima, senza un nome che la distingua dalle altre.

Isabelle Huppert -vincitrice della nomination all’Oscar, del Golden Globe e di altri premi come migliore attrice protagonista- è l’impenetrabile e stupenda Michelle.