Il Laboratorio organizzato dalla Rivista Almanacco del Ramo d’Oro e Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico in collaborazione con Società italiana delle letterate, Vita Activa editoria, Casa internazionale delle Donne Trieste e Leggere Donna, è stato da sempre pensato come occasione di scambio con e tra poete/i, scrittrici/scrittori che condividono momenti della vita quotidiana arricchiti “dall’arte discreta della conversazione”.

“C’è una attenzione rinnovata ai corpi nella società di oggi”, si legge nel documento di presentazione “sia quelli che prendono le pubbliche piazze e mostrano forme di opposizione e dissenso nelle manifestazioni nazionali e internazionali (ultimi, i cortei mondiali dell’8 marzo), sia quei corpi migranti che affondano nel mare o lacerati da violenze e abusi. Oppure i corpi delle donne da sempre luogo di potere di altri; o ancora i corpi trasformati dalla tecnologia e dalla scienza”.

Una ricca bibliografia accompagna il documento: da Judith Butler (L’alleanza dei corpi) a Federica Castelli (Corpi in rivolta. Spazi urbani, conflitti e nuove forme della politica). Da Adriana Cavarero (Corpi in figure e Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme) a Rosi Braidotti Per una politica affermativa. Itinerari etici. E ancora Scritture del corpo a cura di Paola Bono sul rapporto tra corpo sessuato e scrittura.

Se c’è una attenzione rinnovata è dovuta anche all’attacco feroce da parte del biocapitalismo finalizzato alla smaterializzazione dei corpi, alla recisione dei legami biologici (madri/figlie/i) dopo la smaterializzazione avvenuta del corpo sociale, dei suoi legami e di ogni forma di identità collettiva, a cominciare dalla classe. In assenza o nel depotenziamento degli organismi di difesa del 900, come partiti e sindacati, per l’ottenimento dei bisogni elementari posti dai migranti – pane, acqua, vestiti, coperte, casa, lavoro – ma anche dai giovani precari e da tutti coloro che Simone Weil chiama “sventurati”, non resta che contrapporre la capacità performativa del corpo: mettere in scena in uno spazio pubblico “la richiesta incarnata di una vita vivibile” (Butler).

Corpi, dunque.

Come i corpi delle detenute che si raccontano durante il laboratorio “Oltre le sbarre, leggere e scrivere” condotto da Alba Piolanti, Giuseppina Martelli, Anna Vinci presso il carcere della Dozza a Bologna “in un ambiente unicamente maschile, in un clima di repressione”. Corpi violati, strumento di umiliazione e mezzo di conquista bellica, o resi in-visibili durante i processi migratori di cui ha parlato Melita Richter. Corpi malati, bisognosi di cure negli ultimi anni della loro vita, come quello della madre di Donatella Franchi che fa ricorso “a tutte le sue risorse creative per riuscire a trasformare quest’esperienza in un’occasione di ricreazione del rapporto con la madre”. Sulla rappresentazione del corpo di Sherazade tra Oriente e Occidente nel corso dei secoli, e sull’immaginario ad essa legato ha invece parlato Anna Zoppellari. Sull’importanza della voce che sgorga da un corpo sessuato, eccedente rispetto alla parola, e dunque “antipolitica”, recuperata dal femminismo per la sua valenza antipatriarcale ha parlato la sottoscritta a partire dal testo A più voci di Cavarero. Da questa prospettiva appare più chiaro perché in luoghi dichiaratamente patriarcali, come il mondo arabo, la voce femminile scateni il desiderio maschile, inibirla lo contiene. E’ il prezzo che le donne arabe pagano per mantenere la pace. E poi i corpi deboli, vecchi, malati che trovano nella poesia “narrazioni che non li nascondano più” letti da Luigi Cannillo, Leila Falà, Annalisa Ciampalini, Giancarlo Stoccoro, Laura Ricci, Luisa Gastaldo, Zosi Zografidou, Bianca Tarozzi, Alexandra Zambà, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti.

Corpi e ancora corpi ammassati in strada, nei fossi o cacciati da marciapiede in marciapiede Pakistani, afgani, curdi, sradicati dai luoghi originari. Corpi che appaiono all’improvviso “caduti qui da noi che sembrano provenire da un altro pianeta e nell’impatto imprevisto costringono a riorganizzare il proprio bagaglio concettuale”. Come è capitato a Lorena Fornasir e a Gian Andrea Franchi. “La vulnerabilità di questi corpi suscitava la mia vulnerabilità. La loro mera presenza risuonava come un appello” ha detto Franchi. Ma si percepisce anche “un confine tra una vita vivibile e una vita invivibile”. Corpi che “stanno lì quasi come immondizia non raccolta” provenienti direttamente, senza mediazioni, dal sottosuolo del nostro edificio sociale, e mostrano la matrice violenta che tiene in piedi il nostro ben-essere. “Se non si passa attraverso i corpi non s’incontra l’altro”, ha aggiunto Lorena Fornasir. “Attraverso la cura dei corpi nasce una relazione che mette al mondo fiducia. Nel luogo della disperazione e del dramma nasce la creatività, circolano emozioni forti che fanno della rabbia la potenza per esistere e per resistere”.

Hanno fatto da scenario le visite ai villaggi tipici del Carso e le letture poetiche al Parco Basaglia di Gorizia, alla Nuova Libreria Slovena “TS360” e all’Orto Lapidario di Trieste. Il tutto coordinato e magistralmente diretto dalla infaticabile e generosa Gabriella Musetti.