Laura Lepetit
Laura Lepetit

Come non leggere l’autobiografia di Laura Lepetit, fondatrice della  mitica casa editrice di testi di sole donne La Tartaruga, edita quest’anno da Nottetempo? E come non chiudere il libro, a pagina 12, quando definisce la malasorte un raro accidente, per lei abituata a vivere una vita da “principessa privilegiata e agiata”? O a pagina 16, quando si mostra attonita rispetto alla possibilità che qualcuna non sia dotata della sua stessa autostima: “mi domando come spesso si fa ad avere poca stima di sé ed un giudizio negativo di se stessi, come pare spesso accada”. Già, spesso.
Le ragioni sono molte, però, per cui continuare la lettura de Autobiografia di una femminista distratta. Questi motivi coincidono  c  on la personalità e la storia dell’autrice stessa, quali emergono dal racconto della sua vita: il suo senso dell’umorismo; il racconto di un’esistenza che ha del miracoloso, perché ha dato origine a La Tartaruga e perché costellata di incontri mitici; l’esperienza di una donna, che seppur distratta, ha imparato molte cose e te le sa spiegare.
La prima di queste ragioni va reperita nel titolo stesso del testo di Lepetit, il fatto che questa auto-narrazione sia di una femminista. La pratica politica dell’autrice, infatti, pervade il racconto, non solo perché Lepetit scelse di fondare una casa editrice che pubblicava solo testi di donne, o perché i luoghi che si avvi cendano nella narrazione del suo passato a Milano disegnano una mappa perfetta, da manuale, del femminismo milanese ed italiano. Lepetit partecipa all’autocoscienza a casa di Lonzi, col gruppo di Rivolta Femminile; frequenta, dopo la rottura drastica con la filosofa fiorentina, La libreria delle donne di Milano; partecipa assiduamente alle scorribande, intellettuali e non, del Cicip e Ciciap.

autobiografiaSoprattutto, il testo di Lepetit è l’autobiografia di una femminista, perché quasi ogni incipit di capitolo è costituito dal riferimento alla relazione con una donna: da Simone de Beauvoir a Lou Salomé, da Virginia Woolf alla vicina di casa in campagna, dotata di grande saggezza popolare. Da Leni Riefensthal, famigerata regista tedesca, ad Angelica Garnett, nipote di Virginia Woolf, passando per Anna Banti, Paola Masino, Bibi Tomasi, femminista milanese, ideatrice del titolo della rivista di satira femminista Aspirina… E molte altre, amiche ed amate scrittrici, che Lepetit ha anche incontrato nel corso della sua lunga e onorata carriera di editrice. Il racconto di queste relazioni si caratterizza per l’immediatezza, la vicinanza, il desiderio inesorabile di trascorrere la vita con le donne: “e delle donne non mi sono ancora stufata”, scrive a pagina 38. Un posto così ampio nel libro, oltre alle donne, è concesso solo agli amati gatti!
Questo alternarsi di aneddoti o impressioni attinti dalla vita quotidiana, anche nei suoi aspetti più banali (la b ellezza delle foglie d’autunno), e riferimenti letterari, citazioni o racconti di incontri con autrici e personagge, che rappresentano per noi figure cruciali, è una delle cifre di tutta l’autobiografia. Lepetit cita, senza distinzione, esercizi ludici di poesia in onore del suo gatt o defunto, insieme a riferimenti a Jane Austen, all’adorata Gertrude S tein, ad Alice Munro… E molte altre ancora. Questi passaggi, senza soluzione di continuità, dai problemi di collegamento telefonico della sua casa in campagna, all’opera di Sylvia Plath, mostrano che quello per La Tartaruga non è stato un lavoro, è stato il senso di una vita intera. La letteratura, la lettura, infatti, hanno fatto parte della vita dell’autrice, ogni giorno, esattamente come i suoi figli, le riunioni con le maestre, la casa di campagna, i tanti adorati animali.
Poi, Lepetit ci fa un dono impagabile, che ci induce anche a superare lo shock suscitatoci dalla sua dic hiarazione d’amore incondizionato per gli Stati Uniti: ci fa ridere di gusto, almeno due volte.

La prima occasione coincide col racconto di una cena tra amiche. Anche in questo caso un evento felice, ma comune, come un’uscita tra donne, si trasforma, nella vita di Lepetit, in una scena mitica. La cena viene organizzata a seguito della pubblicazione de Il libro di cucina di Alice B. Toklas: il pasto non è quindi, banalmente, un modo per stare insieme, ma l’occasione per sperimentare tutte le ricette della compagna di Gertrude Stein, dolcetti all’hashish compresi. Così ti ritrovi a leggere la scena di Luisa Muraro, che tiene sveglia la fondatrice de La Tartaruga, a forza di lezioni di filosofia o semplici chiacchiere, e che si trattasse delle une o delle altre, Lepetit, giustamente, non lo ricorda. L’effetto comico, qui, non è solo reso dall’immagine di due personagge cruciali nella nostra formazione, in preda a stati allucinatori: la risata sorge dalla gioia di reperire nell’autobiografia di una signora avanti con l’età, come spesso si dichiara Lepetit, il racconto di una trasgressione felice, l’adesione istintiva e raffinata ad una pratica ribelle. Dono questo, che solo le femministe storiche sanno fare.
Il secondo momento di risate di gusto e protratte corrisponde al capitolo dedicato alla relazione con l’amica e collaboratrice Rosaria Guacci. Lepetit descrive questo rapporto, lavorativo anche, come conflittuale, ma ricco, ed individua solo un fattore come possibile fonte di reale dissidio: la psicanalisi. Secondo l’autrice, Rosaria visse una fase di devozione totalizzante per la pratica freudiana, tanto che un giorno diagnosticò un disturbo ossessivo ad un pecoraio maremmano, solo perché ogni giorno faceva uscire e rientrare i suoi animali dal recinto!
In questo mescolarsi di caratteristiche solo apparentemente dissonanti, di passaggi repentini dalla sede londinese della Hogarth Press, casa editrice fondata da Leonard eVirginia Woolf, ad un bar della Maremma, ritroviamo anche molteplici prove di come questa donna distratta abbia saputo imparare tanto dalla sua vita. E forse il suo carattere da svampita, come lei stessa si definisce, le fornisce la capacità di trasmettere ciò che ha imparato, con leggerezza ed efficacia. Rispetto al famigerato conflitto con Lonzi, per esempio, e più in generale sui conflitti tra donne, scrive: “c’è qualcosa nell’eredità delle nostre cellule della memoria che ingigantisce e fa diventare terribile la lotta con un’altra donna”.

Poi, senza dare risposte, e senza indugiare in alcun momento di autocommiserazione o lamento, Lepetit si interroga sulla sua vita ora che l’età è avanzata; sollecita a coltivare il desiderio fin da quando sorge, quando ancora è piccolo; parla della seduzione dell’eroismo e cita anche qualche detto zen. Il libro si conclude con l’incitazione alle donne a scrivere la loro storia e sebbene lei attribuisca questa conclusione alla sua lettura di Alberto Savinio, a noi questo invito ha ricordato quello di Hélène Cixous ne Le Rire de la Méduse. A discapito delle differenze capitali tra gli stili dei due testi, essi sanno suscitare nella lettrice la stessa fiducia, rassicurazione: se c’è qualcuna che crede con tanto entusiasmo, come lo fanno Cixous e Lepetit, che la nostra vita debba essere raccontata, allora qualche senso lo deve pure avere!
Laura Lepetit, Autobiografia di una femminista distratta, Nottempo, Milano, 2016, pp. 128, euro 12,00.
Hélène Cixous, Le rire de la Méduse, Éditions Galilée, Parigi : 2010 (ed. or. 1975), pp. 200, euro 30,00.
Roberta Mazzanti, Silvia Neonato, Bia Sarasini, (eds), L’invenzione delle personagge, Iacobelli Editore, Roma : 2016, pp. 216, euro 12,67sil