In occasione della Giornata Mondiale della Lotta contro la Povertà che si celebra il 17 ottobre, la Fondazione Pangea Onlus (www.pangeaonlus.org,rende per la prima volta noti tutti i risultati, gli strumenti e le modalità di lavoro della sua struttura apolitica nell’inedito rapporto “Donne: ripartire da sé. La microfinanza di Fondazione Pangea come strumento per uscire dalla povertà attraverso un processo di empowerment” [qui il Report completo] redatto da Simona
Lanzoni (Vice Presidente e responsabile dei Programmi) e frutto di 12 anni di attività internazionale in Paesi dove la discriminazione di genere raggiunge livelli altissimi e non più sostenibili.

Articolato in due parti principali, il rapporto Pangea offre nella prima parte un dettagliato lavoro di analisi e raccolta (con dati e statistiche a supporto diffusi negli anni da numerosi accademici e dalle principali istituzioni internazionali) sul ruolo socio-economico della donna a livello internazionale, confermando la tesi che investire sull’empowerment delle donne porta verso la parità di genere, l’eliminazione della povertà e la crescita economica sostenibile e inclusiva.
Mentre nella seconda parte, il rapporto presenta un resoconto dettagliato dei progetti di microfinanza e microcredito promossi dalla Onlus nei Paesi interessati, iniziando dall’Afghanistan, primo territorio nel quale la Fondazione è presente sin dal 2003 con il Progetto Jamila e che ad oggi ha concesso 2.592 microcrediti per un totale di 482.965 €, tutti investiti in attività di microimprenditorialità femminile con un tasso di restituzione record del 99%.

Un caso emblematico, quello afghano, che evidenzia il successo dei progetti di microcredito promossi da Pangea che ad oggi ha coinvolto oltre 19mila persone, avvalendosi di partner locali e cinque “centri donna” di Kabul composti da un personale qualificato formato negli anni da Pangea.Insieme ad un resoconto dei progetti di promozione dell’empowerment femminile sostenuti dalla Onlus in India attraverso il Progetto Koppal nello stato del Karnataka (2006-2013) e il Progetto Donne Disabili negli slum di Calcutta (2007-2014), così come in Nepal con il Progetto Sharma (2005-2010), il rapporto 2014 di Fondazione Pangea dedica alcune importanti pagine anche al suo operato in Italia.

Nel nostro paese, infatti, in attesa dei regolamenti del Testo Unico Bancario, Pangea ha creato negli anni una partnership con Banca Popolare Etica per erogare credito sulla base di un fondo di garanzia e ha lanciato progetti pilota di microcredito per l’avvio all’impresa (come il progetto “Futura” nel 2012-2013), concedendo ad oggi 6 microcrediti per un totale di 61mila euro.

Estratto del paragrafo dedicato al tema “Donne e povertà”

La mancanza di dati sulla povertà e la fame sofferta dalle donne, nel mondo, ne limita l’analisi quantitativa. Spesso i Paesi non rilevano i dati sulla base del sesso di appartenenza e nella misurazione dei diversi aspetti della povertà le donne sono contestualizzate e “contabilizzate” nell’ambito del nucleo familiare.
Ciò rispecchia quanto le società, in generale e a livello globale, si aspettano dal genere femminile, ovvero che assicurino la riproduzione “della specie”, il lavoro di cura 1 in primis verso la figliolanza, gli anziani e i malati, nonché della casa, e si occupino della sicurezza alimentare di tutta la famiglia, siano esse in aree rurali o urbane .
Da questa separazione di compiti tra donne e uomini nasce una differenza profonda nell’accesso al reddito, al mondo del lavoro, all’istruzione, ai tempi dedicati alla propria cura e ai propri bisogni e alla partecipazione alla vita sociale. Alle attività che possono garantire l’autonomia economica e finanziaria e l’autodeterminazione rispetto al ruolo che si vuole ricoprire in famiglia e nella società, alle decisioni che si vogliono prendere.

Per accedere alle risorse produttive, al credito, al reddito da lavoro, al tempo, per decidere in autonomia, le donne devono oltrepassare le attese sociali, garantire comunque il benessere familiare, superare una serie di substrati culturali e comportamentali discriminanti, palesi o impliciti, e/o leggi che ne impediscono l’azione.
L’insieme degli ostacoli e delle ineguaglianze di genere presenti in una società in un determinato momento espongono le donne a povertà, a processi d’impoverimento e d’isolamento sociale maggiori rispetto a quelli vissuti dagli uomini. La povertà femminile, sia essa economica, culturale o decisionale, rischia maggiormente di trasmettersi sui figli, perpetuandola.

Nel 1995, uno dei primi rapporti sullo sviluppo dell’UNDP riportava: “L’agenda incompiuta per il cambiamento è ancora notevole. Le donne costituiscono ancora il 70 % dei poveri e due terzi degli analfabeti del mondo”.
Malgrado alcuni oggettivi miglioramenti, i dati di oggi dell’UNDP riportano che su 10 poveri, 6 sono donne e i divari di genere rimangono consistenti.
Nel 2008, su 3 miliardi di persone che lavoravano nel mondo, il 40% (ovvero 1,2 miliardi 3 ) erano donne.

La presenza femminile nel mercato del lavoro globale non ha significato sempre una qualità del lavoro decente, un’inclusione finanziaria e la riduzione della povertà. Si calcola che i due terzi delle donne lavorano o nell’economia informale o in maniera sproporzionata nel lavoro di cura non retribuito che svolgono in famiglia, che sia considerata allargata o meno.
Nel 2011, la Banca Mondiale ha sottolineato che “Le donne rappresentano il 40% della forza lavoro mondiale, ma detengono solo l’1% della ricchezza mondiale.”
La FAO, nel 2012, ha affermato che in tutto il mondo, le donne rappresentano il 43% della forza lavoro agricola.
Il 45 % della popolazione mondiale dipende da agricoltura, foreste, pesca o allevamento per il suo sostentamento. Statistiche comparate dimostrano che meno del 20% dei proprietari terrieri sono donne.
Secondo UNWomen nel 2012, il tasso di occupazione femminile era ancora di 25,1 % inferiore a quello maschile. Tra il 2000 e il 2012, il rapporto a livello mondiale tra donne occupate e popolazione è diminuito dal 48,5 % al 47,1 % rispetto al 73,9% e 72,2 % per gli uomini.
Le crisi finanziarie ed economiche che si sono susseguite negli ultimi anni nel mondo hanno contribuito in modo significativo alla creazione di nuove economie informali, povertà, disoccupazione, esclusione finanziaria. Le donne hanno subito un impatto negativo notevole rispetto al lavoro .
Inoltre l’esclusione finanziaria basata sul genere è profondamente radicata in tutto il mondo.
Secondo un recente documento della Banca Mondiale più di 1,3 miliardi di donne sono “in gran parte al di fuori del sistema finanziario formale” .
Circa il 75% delle donne del mondo non può ottenere prestiti bancari perché ha un lavoro non retribuito o precario e non ha il diritto di proprietà 14 e/o vive in Paesi con leggi e costumi che non glielo permettono.
Al di là dei dati, c’è una evidenza chiara: il “divario di genere”, ossia lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nel poter decidere liberamente per sé, per l’accesso, l’uso, la proprietà e il controllo delle risorse e dei servizi di cui necessita.
La povertà è strettamente correlata alla mancanza di empowerment e di eguaglianza, sia personale sia sociale, e ciò diminuisce la partecipazione e l’apporto femminile a livello economico, finanziario, sociale, culturale e politico, a trasformare le idee in azioni e in risultati desiderati.

La discriminazione di genere sul mercato del lavoro ha un costo significativo perché riduce la produttività delle donne influenzando negativamente la costruzione del PIL, quindi il benessere collettivo.
Nel 2007, è stato stimato che in Asia il mancato apporto di produttività femminile, a causa di restrizioni sulla partecipazione al mercato del lavoro e sull’accesso alla scolarizzazione, è costato fino a 80 miliardi di dollari l’anno.
Si stima che in questo decennio, sino al 2020, entreranno nell’economia globale circa un miliardo di donne, (865 milioni circa), solo il 17% di loro avrà ricevuto una sufficiente educazione e/o vivrà in un contesto che permetterà loro di inserirsi adeguatamente nel mercato formale del lavoro 16 l’83% della popolazione femminile invece non avrà ricevuto una istruzione adeguata o non avrà il permesso a essere inclusa (presupposti di contesto).

Un’economia e una finanza non inclusive non riducono la povertà, non migliorano la parità e non producono posti di lavoro. Si deve promuovere lo sviluppo umano sostenibile e lavorare per ridurre la povertà e la partecipazione in tutte le sue dimensioni, compresa quella di genere. L’uguaglianza di genere è una condizione e un’opportunità per tutte e tutti di sradicare la povertà, creare benessere nei diversi ambiti della vita, pace e sviluppo rispettoso della natura.

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