Una risposta al commento di Stefania Cantatore, pubblicato su “Il paese delle donne” on line e divulgato via mail, sull’iniziativa che si è tenuta a Penne il 5 maggio “Donne, lavoro e dignità”, al quale rispondo a titolo personale“{Buoni o cattivi non è la fine prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare}” recita così una canzone di Vasco Rossi.

Questa strofa me l’ha ricordata il [commento di Stefania Cantatore->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article10359], pubblicato su “Il paese delle donne” on line e divulgato via mail, sull’iniziativa che si è tenuta a Penne il 5 maggio “Donne, lavoro e dignità”, al quale rispondo a titolo personale.

Certo che le donne possono confrontarsi e non essere d’accordo, fare percorsi diversi ed incontrarsi ad un certo punto oppure mai. Litigare e farlo a tutti i costi è un’altra cosa, avere la necessità di identificare l’interlocutore o meglio l’interlocutrice come nemica ha un altro significato.

Che il sindacato, la CGIL, possa essere un “contenitore” con una politica e una prassi discutibile questo è scontato ma non avere la consapevolezza della differenza tra “contenitore” e “contenuto”, che il sindacato rimane comunque un organizzatore collettivo senza il quale lavoratrici e lavoratori diventano individui ancora più soli e più deboli di fronte all’azienda e al mercato, questo è un po’ meno scontato.

Non so quale sarà il futuro del sindacato confederale, forse si spaccherà, forse scomparirà travolto da eventi che non saprà comprendere e con i quali non saprà rapportarsi oppure sulla spinta dei lavoratori e delle lavoratrici saprà cambiare, non è ho idea ma so per certo che al suo interno ci sono tante persone che rappresentano una speranza concreta per “un altro mondo è possibile”.

Mi si rimprovera un astratto appello all’unità tacciato in tempo reale di buonismo, certo, quando si ha l’esigenza di classificare in “giusto o sbagliato” ciò che si ascolta, senza cogliere la parte di ragione che ognuno porta con la propria esperienza, diventa difficile cogliere proprio quel senso singolo e poi collettivo che tanto si sbandiera e che sfuggirebbe agli altri, ai nemici, a me.

Nella mia relazione introduttiva il sindacato non l’ho nominato neanche una volta e l’appello all’unità che mi si rimprovera, si riferisce alle mie conclusioni: ho raccontato la storia di una fabbrica tessile toscana degli anni ’50 con 100 operaie che, nell’attendere l’elenco di 20 licenziate hanno deciso di non conoscerne i nomi, di occupare la fabbrica e chiedere il ritiro dei 20 licenziamenti, su questo esempio ho concluso, senza avere la pretesa di “dettare la linea”, con una riflessione “noi donne stiamo a vedere chi di noi se la cava oppure strappiamo anche oggi “l’elenco delle licenziate” e ci difendiamo collettivamente?” nella consapevolezza che non siamo tutte uguali, vedi la ministra Fornero, tanto per fare un nome sulla cresta dell’onda.

Non sono abituata a dire agli altri cosa devono fare ma ad offrire spunti per la discussione e a farlo sulla base di quello che conosco cioè il mondo del lavoro anzi, solo una parte, pronta ad ascoltare gli altri sul pezzo che conoscono loro.
_ Tutta la mia relazione si è incentrata su ciò che sta avvenendo su lavoro e pensioni con un punto di vista di genere e non ho iniziato a farlo quella sera intimidita dalla presenza della Cantatore, credo che l’informazione e la denuncia siano un contributo importante,
soprattutto di questi tempi, le decisioni le prendiamo poi insieme.

Se questo è un astratto appello all’unità, un approccio che è lontano da una pratica di genere chiedo a chi ha le idee chiare su che cosa si deve fare, come e con chi, come intende rapportarsi alle donne che a migliaia hanno sfilato il 13 maggio a Roma contro l’aborto che noi sappiamo bene essere un diritto che nessuna donna festeggia dopo averlo esercitato.

Dire che il mondo del lavoro è organizzato su un modello maschile è profondamente sbagliato perchè lavorare ad una catena di montaggio 8 ore al giorno o di notte per 40 anni, non rispecchia né modelli maschili né femminili, semplicemente non è umano, pensare che a 60 anni si possa stare in un cantiere edile o in una fonderia dopo 40 anni di lavoro equivale a sostenere che la specie umana è a servizio della produzione e non viceversa.

Queste tematiche stanno oppure no insieme a quelle di genere?
_ Affermare che per andare a lavorare servono i servizi è semplicistico, li guardiamo in faccia i nostri figli quando escono da scuola dopo una intera giornata trascorsa tra i banchi?
_ Li mandiamo all’asilo, a scuola perchè siamo profondamente convinte che è il posto migliore per loro o li parcheggiamo? La stessa domanda vale per i nostri vecchi.

I nostri sacrosanti bisogni li mettiamo in competizione con altri bisogni altrettanto sacrosanti o li facciamo valere tutti, nessuno escluso?
_ Se prima i servizi ci sono stati, la scuola ha funzionato e le donne sono entrate massicciamente nel mondo del lavoro, abbiamo creato intere generazioni di consumatori depressi come sono tanti giovani oggi, forse qualcosa ci è sfuggito, abbiamo fatto bene a fare tutto quello che abbiamo fatto ma forse qualcosa d’importante è stato trascurato anche da noi.

Per questo non credo ai “prodotti confezionati” perchè oggi siamo ad un punto che “o la va o la spacca!” O cambiamo le cose e tutte oppure è in discussione la stessa vita della specie umana su questo pianeta. Se la terra è madre e la madre è donna questi temi ci riguardano oppure no? Forse le nostre battaglie da sole sono tutte parziali, insieme possono portare il cambiamento.

L’UDI non mi sembra di opinioni molto diverse, nel sito leggo: “L’UDI propone alle associazioni, ai collettivi e alle singole, di avviare un processo comune per dare vita a un patto di reciproco confronto, scambio e azione comune a contrasto della violenza maschile, in ogni sua forma e declinazione”.

Ed è proprio con questo spirito che ho conosciuto Stefania Cantatore. Quello che so del suo operato e dell’UDI lo apprezzo, anzi incontrarla a Penne pensavo che fosse una buona occasione per conoscerci, intrecciare i percorsi, rafforzarci, fare rete, è con molta amarezza che ho scoperto di essere, in quel contesto, individuata come nemica perché appartenente alla FIOM, organizzazione neutra come la definisce, se lo spiegasse anche alle lavoratrici della FIAT e magari a Marchionne mi piacerebbe sapere cosa le risponderebbero.

La mia storia personale e la mia età sono probabilmente molto diverse da quelle di Stefania Cantatore e Iolanda della “Casa delle donne”, pensavo che il mio impegno sindacale e sociale avessero diritto di cittadinanza ma così non è stato, non da parte delle donne presenti, dove molte di loro mi conoscono personalmente e non hanno annullato la mia persona nella sigla ma ancora una volta da parte dei “contenitori” che pretendono, al contrario di me, di dare lezioni e di dettare la linea in chiave di moderna caccia alle streghe, quelle sbagliate ovviamente, altro che disagio dentro il sindacato!
Comunque, come è mia abitudine qualche domanda io me la pongo, spero di non essere la sola.

Con affetto
_ Marzia Trugli

Questa lettera, prima di essere inviata, è stata letta e condivisa nei contenuti da Alessandra Genco, anche lei strega sbagliata il 5 maggio a Penne.