Tra le molte iniziative che sono state avviate in occasione dei cento anni dallo scoppio della Grande Guerra, con lo scopo di approfondire i temi legati ad un evento che cambiò radicalmente la vita, la mentalità e i costumi dell’intero continente, un posto particolare merita la riflessione avviata dalla sezione veneta della Società Italiana delle Storiche.

Lo scorso 26 febbraio si è tenuto a Venezia, nel bell’auditorium di Santa Margherita dell’Università di Cà Foscari, il Convegno dal titolo Donne e prima guerra mondiale in area veneta. L’ottica di genere, nell’approccio a temi tradizionalmente affrontati con gli strumenti della storia politica, apre infatti nuovi punti di vista, utili non solo alla conoscenza della specifica storia delle donne e dei rapporti tra uomini e donne, ma più in generale ad una migliore comprensione della storia delle popolazioni coinvolte, della mentalità, delle idee e delle personalità più influenti dell’epoca.

La scelta di adottare un punto di vista legato in modo particolare al territorio veneto, nel senso più ampio comprendendovi anche il Trentino e la Venezia Giulia, ha la sua ragione nel fatto che questo fu il terreno di guerra, il fronte in senso stretto e l’immediata retrovia della guerra italiana, oltre ad essere una delle ragioni dell’entrata in guerra dell’Italia, che reclamava precisamente quelle che erano allora chiamate terre irredente.
I due punti di osservazione, la storia di genere e la delimitazione geografica, sono stati intrecciati durante il convegno in modo da aprire effettivamente nuove prospettive alla riflessione storica, come hanno sottolineato sia Mario Isnenghi che Emilio Franzina, che hanno presieduto rispettivamente la sessione mattutina e pomeridiana.

Le relazioni hanno infatti affrontato temi generali, attinenti alla battaglia ideale e politica che attraversò l’opinione pubblica italiana sulla questione dell’entrare o no in guerra. Questo dibattito coinvolse anche un movimento femminista che pure nel nostro paese era stato protagonista di molte battaglie a favore delle donne e che proprio a Venezia e nel Veneto contava importanti esponenti.

Così, se la relazione di Maria Teresa Sega ha descritto la parabola che, attraverso le guerre coloniali, portò molte femministe da posizioni pacifiste ad abbracciare l’interventismo, Liviana Gazzetta ha indagato il movimento femminile cattolico, che in Veneto ha avuto sempre grande influenza e alcune tra le leaders più autorevoli, scoprendo tra l’altro inquietanti anticipazioni di un antisemitismo che si affermerà pienamente solo qualche anno dopo.
In tutta Europa le nazioni belligeranti, per sostenere una guerra di lunga durata, ricorsero ad una mobilitazione generale. Anche in Italia avvenne lo stesso fenomeno che ebbe protagoniste le donne, soprattutto quelle più colte appartenenti ai ceti medio alti. Così su tutto il territorio nazionale nacquero i Comitati di assistenza e difesa civile, che dispiegarono la loro opera in molte direzioni: Nadia Filippini ha tracciato una sintesi dell’attività di questi comitati nella regione, ricordando in particolare la veneziana Maria Pezzé Pascolato, che esercitò notevole influenza nella definizione dei compiti di questi comitati e che più tardi, durante il fascismo, avrà un ruolo di rilievo nazionale, in parte in modo analogo a quanto accadde a Elisa Majer Rizzioli, presentata dalla relazione di Stefania Bartoloni. La descrizione del protagonismo femminile ha avuto un’ulteriore declinazione nell’intervento di Annamaria Longhin, relativo dell’attivismo delle donne cattoliche, anch’esse impegnate nella azione sociale con i Comitati dell’Unione Donne Cattoliche.
A fare da contraltare a tanta volontà femminile di partecipazione a sostegno dello sforzo bellico furono però le donne del popolo, che pagarono duramente la scelta di entrare in guerra. E’ stata Bruna Bianchi a spiegare come le condizioni di vita delle veneziane peggiorarono crudelmente portandole ad inscenare numerose manifestazioni di protesta contro la guerra, la cui natura politica fu sconfessata, però, anche dal Partito Socialista.
La condizione della popolazione veneta fu nell’insieme più grave e dolorosa della già triste condizione in cui precipitarono le classi popolari italiane. Gli abitanti che si trovarono sulla linea del fronte furono infatti costretti ad abbandonare le proprie case e le proprie attività e a trasferirsi talvolta anche molto distante dalle terre di origine. Daniele Ceschin ha sottolineato con il suo intervento come le donne furono parte rilevante del fenomeno del profugato e, sicuramente, anche la parte più debole, perché donne e perché profughe, lontane da quelle reti di solidarietà che da sempre sostengono le donne rimaste sole. Il fenomeno ebbe un ulteriore incremento dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), in seguito alla quale il fronte retrocesse fino al Piave, lasciando all’occupazione dell’esercito nemico la Carnia, il Cadore, le citta di Udine, Pordenone e Belluno e tutta la piana fino al mare. Le violenze e gli stupri di cui furono vittime le abitanti di quei territori non ebbero nel dopoguerra, in una nazione intenta a celebrare la vittoria, né giustizia, né memoria pubblica.
Gli interventi centrati su alcune personalità particolarmente influenti nel mondo del primo Novecento italiano sono serviti ad aprire altri e nuovi spunti. Così l’appassionato intervento di Simonetta Soldani sulla figura di Ernestina Bittanti Battisti, moglie e poi vedova dell’eroe dell’irredentismo trentino, oltre a svelare le fragilità di una donna forte ed anticonformista, spiega il percorso di una protagonista prima del movimento socialista trentino, poi del cosiddetto “interventismo democratico” ed infine della costruttrice del mito del marito. Radicalmente opposto sembra il cammino dell’istriana Giuseppina Martinuzzi, poetessa, letterata e giornalista, che dalla giovanile fede mazziniana si sposta verso il socialismo fino ad approdare nel 1921 al PCd’I di Gramsci. Pacifista e sostenitrice della fratellanza Italo-slava in Istria, la Martinuzzi diverrà la responsabile della sezione femminile del Partito Comunista di Trieste.
Il rapporto di D’Annunzio con Venezia e il diario dell’adolescente Giannina Facco sono stati trattati, rispettivamente, da Michela Rusi e Anna Lucia Pizzati: due prospettive diverse, anche se unite dal patriottismo, di guardare al conflitto, quella dell’intellettuale più influente del momento e quello di una giovanetta padovana alle soglie della vita. La città di Padova fu, tra l’altro, anche l’ambito d’azione di Stefania Ezterodt Omboni, fondatrice dell’Istituto per l’infanzia abbandonata e attiva nel locale comitato di mobilitazione femminile, come ha ricordato Patrizia Zamperlin.
La giornata promossa dalle storiche venete ha confermato nel suo insieme la vitalità degli studi di genere e la loro capacità di aprire nuove strade alla ricerca. La pubblicazione degli atti, cui molte relatrici hanno rimandato, sarà l’occasione per tornare ancora a riflettere su fatti ancora così carichi di significati e suggestioni a cento anni dal loro accadimento.