Nel periodo dell’ “economia canaglia” che mette in scacco la politica e utilizza il lavoro di individui definiti polifunzionali, afferrandone implacabilmente l’esistenza per dirigerla verso scopi non autodeterminati, profondamente subalterni all’altrui dominio, tengono il campo eventi soggetti ad interpretazioni differenziate.L’analisi più diffusa del contesto sottolinea la disperazione che afferra molte vite precarie, la mancanza di una efficace resistenza collettiva, mentre [dati Eurostat->http://www.google.it/url?sa=t&source=web&ct=res&cd=1&ved=0CAkQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2Feconomia%2F2009%2F10%2F30%2Fnews%2Feurostat_disoccupazione_record_ue_e_destinata_a_peggiorare-1821050%2F&rct=j&q=statistiche+eurostat+disoccupazione+2009&ei=buprS7HyKtS5jAed_ciABg&usg=AFQjCNEF_v3aLQ_udY85x38TLqISWcvH5g] evidenziano che la crisi colpisce più le donne che gli uomini, che {{un’italiana su due non lavora}}, con punte elevate oltre il 60% nel Meridione.

Contemporaneamente, {{settori della Confindustria considerano l’impiego femminile come fattore salvifico}} e sembrano appoggiare incondizionatamente le scelte imprenditoriali di predisporre servizi di sostegno alle mansioni domestiche delle dipendenti (asili, lavanderie, catering), per utilizzare al meglio in azienda i loro apporti di professionalità ricchi di un sapere acquisito altrove, che produce una capacità relazionale fortemente improntata al “codice materno” così trasferibile nell’organizzazione aziendale.
_ Ciò procede in perfetta consonanza con i molti casi in cui la scelta femminile è quella di uscire dalla crisi usando l’autoimprenditorialità, fonte di soddisfazioni e libertà personale, ovvero di fare leva sulla conciliazione fra carriera e lavori di cura famigliare, “trovare la formula magica per bilanciare il lavoro con la vita personale” (L. Pogliana).

La situazione descritta non è particolarmente chiara e per trovare il bandolo della matassa, sembra opportuno considerare il dato materiale della collocazione di classe, che suggerisce la percorribilità del cammino miracoloso della la “[donna realista ed elastica->http://www.universitadelledonne.it/conciliazione.htm]” (Libreria delle donne di Milano) solo per chi gode di situazioni di privilegio sociale ed economico. Ma proprio per la donna manager il codice materno -inteso nell’accezione di atteggiamento accomodante e aconflittuale- è capace di giocare brutti scherzi.

Nella mia esperienza di avvocata lavorista, ritrovo molti casi in cui dirigenti dotate di professionalità e responsabili di settori importanti sono state indotte ad istruire uomini più giovani e meno preparati, a volte assunti per via di relazioni famigliari o amicali, per poi essere scavalcate nella progressione in carriera, private delle mansioni più qualificate, sottoposte gerarchicamente all’antico allievo, spesso un arrogante incapace.

Ricordo in particolare il caso scandaloso di una dirigente di primaria azienda del settore informatico che, da responsabile per l’Italia di un importante progetto europeo di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale, era stata privata del lavoro e della posizione ad opera di un ricercatore che, come subordinato, era stato da lei formato.
_ Questa dirigente decise di intentare causa all’azienda in base alla legge di parità che vieta le discriminazioni sessuali nel lavoro ([legge 903/1977->http://www.google.it/url?sa=t&source=web&ct=res&cd=1&ved=0CAgQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.uniroma2.it%2Fcgil%2Fccnl%2Flegge1977903.htm&rct=j&q=903%2F1977&ei=OOxrS7mdE8TKjAf2td3zBQ&usg=AFQjCNH1R4SwHtn4dGpKHDe0rEHW6o-qbw]) e in base alla Statuto dei lavoratori che vieta la dequalificazione ([legge 300/1970->http://www.google.it/url?sa=t&source=web&ct=res&cd=1&ved=0CAoQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.lomb.cgil.it%2Frsudbk%2Fleggi%2Flegge300_1970.htm&rct=j&q=legge+300%2F1970&ei=hexrS9bvLNm5jAehhbn_BQ&usg=AFQjCNGAb6dPQQKHfK7VqZp4MXxgjZeT1A]).

Si trattava di riottenere, per ordine di giustizia, la posizione ricoperta per svariati mesi, tuttavia neppure un/a collega si dichiarò disponibile a testimoniare sulla realtà dei fatti e fu possibile conseguire un esito positivo alla vertenza solo perché l’interessata aveva fortunatamente preso parte a riunioni all’estero, era conosciuta dal capo progetto europeo, un francese, che si presentò al giudice per dichiarare la verità.

Ricordo il caso per il raro senso dei propri diritti e per la perseveranza nel sostenerli manifestato da quella donna, mentre in molte altre occasioni ho dovuto constatare atteggiamenti remissivi di autocensura, destinati a soccombere senza resistenza al prepotere aziendale che si manifestava nelle forme della complicità maschilista.

Confesso che vedendo il film “Tra le nuvole” ho accarezzato l’idea che la rampante tagliatrice di teste istruita da George Clooney, imparato il mestiere, lo soppiantasse, licenziandolo con l’uso delle formule fintamente simpatetiche imparate da lui.
_ Ma neppure tra le nuvole sembra pensabile per le donne un esito che, tra uomini, sarebbe scontato: la tagliatrice scopre di avere un’anima, di nutrire rimorsi, cambia lavoro e città (siamo negli USA, paese dalle vantate mille possibilità). Il codice materno, esportato in azienda, impedisce alla donne di riequilibrare l’ago della bilancia rendendo pan per focaccia.

In effetti, ad un pensiero meno superficiale, appare che sarebbe un ben misero equilibrio quello giocato fra contrapposti sciacallaggi.
_ Ciò non impedisce, tuttavia, di analizzare meno superficialmente anche il senso e l’esito probabile del codice materno nel rapporto di lavoro.

Personalmente vi scorgo la glorificazione di una oblatività che consolida le decisioni anche più ingiuste del potere attraverso adesioni implicite e desideri adattativi, mentre sarebbe giusto e proficuo perseguire azioni mirate di ribellione.
_ Perseguire conflitti individuali e collettivi che valgano a scuotere le fondamenta di un apparato di ingiustizie sociali divenuto ormai intollerabile, mettere un freno a questo capitalismo di rapina che ruba molte esistenze.