Una amica femminista più giovane di me ha nel bagno, accanto al lavandino, un quadretto con una scritta: ”My body is not a temple, is an amusement park”. Mentre mi lavavo i denti mi sono chiesta se questa divertente e perentoria affermazione mi calzasse, essendo anche io, pur di quindici anni più vecchia, una donna laica e femminista. Ho riflettuto sul fatto che in diverse occasioni ho percepito e vissuto il mio corpo, (e anche i corpi di chi ho amato e amo), in entrambe le dimensioni, e quindi non posso dire che la mia condizione carnale e fisica sia legata solo alla sfera del piacere e del divertimento o solo a quella della sacralità.

Penso che sia difficile, se non quasi impossibile, ridurre ad uno slogan o ad un simbolo unitario una fattispecie così complessa e dinamica come quella del corpo, o della sessualità, o dell’identità. A volte, però, è necessario farlo. Nel mercato lo si fa di continuo: ci sono stuoli di persone che vivono e prosperano sulla comunicazione e sul relativo commercio di brand, di marchi, di logo per farsi largo tra i milioni di messaggi che la globalizzazione propone.

L’obiettivo è arrivare a colpire l’attenzione: accade nei media come accade nello spazio pubblico, e quindi anche nella politica. Penso che il punto centrale, per valutare un messaggio politico, sia da una parte certamente la scelta delle immagini e delle parole per comunicare, e dall’altra se dietro a questo logo ci siano contenuti, cose vere da dire e da offrire, o solo, appunto, il logo e nulla più.

Faccio un esempi: la campagna del quotidiano Unità, appena insediata la nuova direttora, qualche tempo fa. Per intenderci quella del moderno sedere fasciato nella gonna di jeans, nella cui tasca era infilato il nuovo giornale. La trovai brutta e un’occasione mancata, perché per la prima volta il più diffuso giornale della sinistra era diretto da una donna che a mio parere sbagliava nella comunicazione di questa eccellente novità.

Nel manifesto non si vedeva la faccia della giovane con il bel sedere: voglio dire che non ho nulla contro il sedere, ma se è l’unico aspetto che si evidenza di una donna allora non sono d’accordo, e trovo che si cada inesorabilmente nella comunicazione sessista.
_ Quello che cerco di spiegare, prima di tutto a me stessa, è che trovo importante quello che Lorella Zanardo ricorda nel video Il corpo delle donne, riportato da Loredana Lipperini: “A monte del reggiseno in vista e delle labbra gonfie, che anche la più intelligente delle ospiti di un dibattito si sente, a differenza dei colleghi maschi, in obbligo di esibire, c’è il malinteso concetto che un essere umano, che ha raggiunto la presunta liberazione dagli stereotipi possa usare i medesimi per divertirsi”.

In questo paese, da tempo, è in corso un attacco violento contro tutto quello che sta a cuore alle donne, di ogni età e ceto sociale, che hanno contribuito alla conquista e all’estensione dei diritti e all’autodeterminazione, per se stesse e anche per gli uomini.
_ È quindi difficile essere serene e non guardinghe, persino in eccesso, verso l’ammiccamento a quegli stereotipi di genere che pensavamo consegnati alla brutta storia passata, e che invece oggi ci stanno nuovamente soffocando.

Però sono del parere che la resistenza, la rabbia, lo sdegno non possano essere l’unica cifra per lottare contro l’ingiustizia: ci sono munizioni altrettanto potenti come l’ironia, l’autoironia, lo scherno, la risata che seppellirà, l’audacia negli accostamenti, in una parola: la creatività.
_ A me pare che accostare, con un evidente gioco di parole sull’appartenenza di classe, i tacchi a spillo all’impegno a sinistra delle donne sia un buon modo di prendersi, e prendere in giro, e nello stesso di colpire l’attenzione.

Certo, molto spiritosa la sinistra non è mai stata, e purtroppo è imbarazzante essere cittadine e cittadini di un paese dove il presidente del consiglio è famoso, priapismo a parte, per il suo ossessivo ricorso alle barzellette.
_ Però la lievità, il gioco, persino il rischio dell’essere fraintese sono indispensabili per uscire dalla palude in cui ci troviamo.

Io i tacchi, figuriamoci poi quelli a spillo, non li ho mai messi, e cadrei anche con scarpe che non fosse più che basse. Però, come cantava Vecchioni, tributando la bellezza dei tacchi della sua ragazza: “La tua intelligenza non ha limiti, è fuori discussione, però con quella amore scusami non ci faccio una canzone, e confesserò che non sottovaluto di vederti camminare; più che il portamento è quel modo di ondeggiare lento lento lento. Lasciatemela vivere, la gioia del tuo culo e del tuo cuore”.

Penso che si possa essere femministe, laiche e inflessibili su sessismo, omofobia e razzismo anche scherzando sui tacchi e la classe. Quando avevo vent’anni e intervistai Nilde Iotti di lei ricordo anche, con tenerezza, che mi disse, schiudendo la porta della stanza d’albergo dove alloggiava: “Un velo di rossetto, e arrivo”.
_ Qualcuno avrebbe detto che si trattava di una civetteria poco consona al suo ruolo politico: per me fu, e resta, una meravigliosa prova di libertà e di bellezza che solo una donna può regalare al mondo.