{Donne che amano troppo} è un testo che dovrebbe essere in ogni scuola, e che specialmente in famiglia non dovrebbe mancare dagli scaffali delle librerie domestiche.Era il 1987 e negli Stati Uniti la psicoterapeuta {{Robin Norwood }} pubblicava il libro che da quell’anno in poi sarebbe stato uno dei best seller più diffusi al mondo, secondo il del New York Times: {Donne che amano troppo}. Tradotto in quasi tutte le lingue, seguito da rimaneggiamenti e aggiornamenti nel corso del tempo, questo libro resta {{una pietra miliare}}per affrontare, decodificare e cercare di risolvere quel groviglio
spaventoso e abissale di sentimenti che in molte donne prende il nome di amore verso un uomo violento, e che è in realtà una forma profonda di dipendenza.

{ Donne che amano troppo} è un testo che dovrebbe essere in ogni scuola, e che
specialmente in famiglia non dovrebbe mancare dagli scaffali delle librerie domestiche. Ma, per restare con i piedi per terra, si deve sapere che nel nostro paese
si legge poco, e che nonostante gli sforzi ammirevoli di chi fa politica culturale si è ben lontani dal mettere la lettura, e questo tipo di lettura, ai posti apicali delle priorità educative.

Mentre in Italia, infatti, si discute di femminicidio, fronteggiando come primo ostacolo proprio {{il negazionismo di molti (e molte)}} che si ostinano a questionare sulla legittimità del neologismo, l’intervista alla ventenne di Caserta massacrata di botte giorni fa dal fidanzato è materiale drammaticamente attuale e importante per ragionare sulla connivenza, {{la complicità e il sostegno femminile alla cultura patriarcale sulla violenza.}}

La giovane, alla quale è stata asportata la milza perché spappolata dalle percosse subite dal compagno Antonio Caliendo, già in passato denunciato per percosse inflitte alla stessa ragazza, è stata intervistata dal Corriere del Mezzogiorno.

Nell’intervista {{Rosaria Aprea}} recita un rosario di scuse già visto molte volte: nega le botte in un surreale cortocircuito dell’evidenza, visto che Caliendo è accusato di tentato omicidio, date le conseguenze dei calci sul suo corpo; si dice preoccupata del fatto che il fidanzato sia rinchiuso in cella, ritira la denuncia contro l’uomo, che per fortuna, vista l’entità delle percosse e il comportamento recidivante, resta in carcere perché comunque il reato è procedibile d’ufficio.

“Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Amare troppo è calpestare, annullare se stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo ‘sbagliato’ per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci – scrive {{Robin Norwood}} -. Amare in modo sano è imparare ad accettare e amare prima di tutto se stesse, per potere poi costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo ‘giusto’ per noi. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua
indifferenza o li consideriamo conseguenze di una infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è una esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così”.

Le parole della Norwood, scritte nel 1987, rimbalzano a distanza di 25 anni come attualissima e lucida analisi su come sia urgente non smettere di sottolineare che la violenza contro le donne va prima di tutto riconosciuta come tale: se, infatti, le ventenni e i ventenni di oggi non sono in grado di percepire la differenza tra ardore e sopruso, tra passione e prevaricazione, e tra amore e morte, {{questa confusione ignorante }} è la prima emergenza da affrontare. Subito.