Ho seguito il dibattito sul silenzio delle donne promosso da l’Unità ed ho pensato di dare il mio contributo. Bisogna riconoscere con Stefania Cantatore che “né il superamento dell’esclusione del potere, né quello della subordinazione violenta delle donne sono mai state una priorità per la politica” e che “nelle pieghe di queste due questioni c’è una sostanza politica che preme verso la rifondazione del pensiero sul governo delle cose”. Secondo me bisogna{{ assicurare una cornice molto più ampia al problema e parlare di rifondazione del pensiero tout court}}, ma anche volendo limitare il dibattito al governo delle cose occorre ampliare l’orizzonte conoscitivo perché non è vero che solo oggi “alla politica si è sostituito il potere” e che solo oggi vige “il senso dell’inutilità dell’agire collettivo”, come sostiene {{Nadia Urbinati}}.

Certo ci sono periodi in cui l’arroganza del potere si manifesta in tutta la sua sfrontatezza, senza veli che la addolciscano, ma non per questo bisogna dimenticare che il potere maschile è sinonimo di dominio e che le comunità androcentriche sono ovunque organizzazioni della dominanza se è vero, com’è vero, che {{sulla gratuità del lavoro di cura affondano universalmente e pervicacemente le loro fondamenta}}. La questione femminile non è un’”anomalia” solo italiana anche se in Italia un “regime mediatico-populista ha estromesso le donne dalla scena pubblica” per reintrodurle sfacciatamente “nell’immaginario collettivo e nella pervasiva sintassi simbolica al grado zero di esseri pensanti”, come afferma {{Iaia Caputo}}.

Per la verità {{sull’azzeramento del punto di vista delle donne}}, quindi sulla negazione di un pensiero autonomo femminile gli uomini hanno fondato le loro società palesemente autistiche, e ancora oggi in tutto il mondo, anche nelle nazioni che ci sembrano più democratiche in quanto prevedono un maggior numero di donne nei luoghi del potere, nessuna donna è veramente soggetto né lo sarà mai finché continuerà a guardare il mondo dalla fessura attraverso cui il maschio umano lo guarda.

Inseguendo dati singoli che richiamano il loro opposto, gli uomini polarizzano la realtà che risulta in tal modo atomizzata e conflittuale, non rispondente alla realtà di fatto, soprattutto a quella vivente che si è costituita e si mantiene in essere grazie ad intricatissime ed insolubili connessioni. Questo è {{il modo maschile di rapportarsi al mondo}} ed è un modo indubitabilmente inadatto a gestirlo razionalmente: l’universale disumanizzazione, l’irrazionalità divenuta sistema di vita costituiscono la prova provata delle superiori affermazioni; stando così le cose, se continuiamo a muoverci all’interno di tale parzialissima e poco veritiera rappresentazione del reale, neanche a noi è dato elaborare una nuova idea di potere, di politica, di democrazia.

{{Ma le donne in genere stazionano dentro il pensiero maschile di cui continuano ad utilizzare gli scellerati meccanismi}}. La tendenza ad affrontare separatamente i problemi si evince nel dibattito in questione che si dipana attorno a temi non comprensibili se decontestualizzati; ad esempio l’afasia del nostro genere va collocata nell’universale afasia che impedisce a donne e uomini nel mondo di elaborare pensiero atto a muovere razionalmente le azioni della specie (in questo senso bisogna intendere il silenzio: le parole sono mute se non riescono a rivoluzionare l’esistente). Anche la questione femminile non potrà essere compresa appieno, e quindi superata, finché non sarà chiaro che è solo la punta di diamante di un generale misconoscimento della natura del vivente umano, maschio o femmina che sia, considerato come tutti gli altri viventi “cosa” tra le cose, puro mezzo per soddisfare bisogni altrui.

Parimenti {{la divisione delle donne in movimenti, gruppi, associazioni autoreferenziali, tra loro non o poco comunicanti}}, rispecchia la separatezza endemica nel paesaggio cognitivo maschile e l’acquisizione inconscia dell’idea maschile di conflitto come opposizione escludente – sottolineata peraltro criticamente dal femminismo – che situa l’altra/o nel ruolo di nemico, impedendo qualsiasi confronto costruttivo. A tal proposito {{Tiziana Bartolini}} scrive: “L’Italia è refrattaria al nuovo. Al massimo è disponibile al nuovismo, pur di non cambiare niente di non mettersi in discussione. A questo tratto della nostra ‘antropologia nazionale’ non vengono meno le donne e neppure il movimento delle donne”.

Io credo che i caratteristici tratti di chiusura e rigidità tipici della mente maschile inducano tutti gli uomini, non solo italiani, ad escludere la diversità e a prevedere al massimo l’omologazione che produce la neutralizzazione delle differenze, cosa che il pensiero politico femminista non ha mancato di osservare, rilevando che non sono possibili emendamenti. Ciononostante {{le donne rimangono in genere nell’alveo del pensiero maschile}} e perciò continuano a rifiutare un salutare confronto, soprattutto con un pensiero come il mio che imprime al cammino della specie una svolta di 360°. Certo le idee rivoluzionarie sono destabilizzanti, perciò fanno paura, ma se davvero si desidera una società civile e giusta bisogna per forza rivoluzionare l’esistente.

Per riannodare i fili di una rivoluzione pericolosamente interrotta, come fa notare{{ Lidia Ravera}}, per non continuare a girare a vuoto, disperdendo tempo ed energie preziose, per non continuare a “lamentarsi, risentirsi, portare rancore” inutilmente, dobbiamo porci alcune domande che esigono risposte rigorose:

-E’ possibile realizzare nel mondo gli ideali di giustizia, uguaglianza e libertà se il fine della politica continua ad essere a tutti i livelli quello maschile, cioè il conseguimento del potere?

-Il raggiungimento di tali nobili ideali non comporta che gli individui umani in tutta la loro concretezza e diversità occupino il centro e che il fine politico sia assicurare a ciascuno di loro non solo la sopravvivenza, ma l’evoluzione ed una buona qualità della vita?

-Per fare ciò non occorre cambiare radicalmente il punto di vista politico, trasferendolo dal ristretto campo del bisogno maschile di potere al vivente umano tutto intero (non importa se femmina o maschio) e ai suoi bisogni ineludibili in quanto vivente e in quanto umano?

-Per farne il centro dell’azione politica non è necessaria una visione affatto diversa del vivente umano, non più cosa tra le cose, “statua di terra” come diceva Cartesio, puro mezzo per soddisfare bisogni altrui, ma soggetto responsabile della crescita sua e della sua specie, nel rispetto delle altre che rendono possibile la vita sul pianeta?

-Come mai noi donne abbiamo in genere tanta difficoltà a riconoscere di essere il soggetto deputato a tale rivoluzionario cambiamento? Da sempre siamo noi a costruire il vivente umano perciò lo conosciamo; poiché da sempre ce ne curiamo sappiamo che cosa gli serve per vivere ed evolversi.

-Come mai tardiamo ad affermare con determinazione di essere noi l’autorità in materia di viventi?

-Perché mai tardiamo a prendere atto che la guerra senza quartiere dichiarata dagli uomini alla vita in tutto il mondo (basti pensare alle cifre iperboliche destinate agli armamenti a fronte dell’inspiegabile limitatezza di quelle destinate alla vita ed alle irrazionali uccisioni di donne, bambine/i, ma anche uomini innocenti) rivela una carenza di conoscenze nel campo del vivente dovuta presumibilmente al fatto che essi non protraggono la vita e non se ne curano?

-Perché ci riesce difficile capire che il disprezzo maschile per i corpi viventi e i loro bisogni, per le donne e le attività di riproduzione e di cura costituisce un serio ostacolo al mantenimento della vita sulla terra?

-Per quale motivo esitiamo a riconoscere che solo una mente capace di abbracciare la vita nella sua reale complessità può governare un mondo di viventi e che questa mente è la nostra?

-E infine, è davvero così difficile comprendere che fare appelli, scendere in piazza, manifestare e contarci non serve a niente se non sarà ristabilita la verità e cioè la centralità del soggetto donna?

Dalle risposte a queste domande dipende, io credo, la possibilità di superare l’inquietante mutismo di donne e uomini e avviare un confronto serrato e proficuo. Col presente intervento desidero sollecitare un ampliamento e approfondimento del dibattito.