Famiglie plurali, il titolo scelto per l’incontro, che si è tenuto lo scorso 12 febbraio organizzato da Rifondazione comunista/ Sinistra Europea e Centro per la riforma dello Stato.

L’uso del sostantivo al plurale, rafforzato dall’aggettivo, è controverso e segnala, secondo la senatrice {{Maria Luisa Boccia}}, che introduce i lavori, “il crinale su cui siamo”. Descrive meglio “la coordinata verticale -storica – oltre a quella orizzontale -sociologica- della compresenza di più forme di famiglia nella nostra società.
_ La relazione di Boccia ricostruisce come {{la famiglia è forse l’istituto più contronatura che conosciamo}}, perché sorge per contrastare o comunque per ridimensionare la realtà, quella sì naturale, della relazione madre-figlio, per dare al padre il ruolo la cui naturalità è tutt’altro che evidente. Per la specie umana “natura è ciò che cultura e storia hanno prodotto plasmando la naturalità”.
Boccia individua nell’{{art. 2 della costituzione }} la bussola di un intervento legislativo: il concetto di soggettività che non riguarda solo gli individui, ma anche le “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
_ La famiglia (art. 29 della costistuzione) è una di queste formazioni sociali. L’elemento costitutivo della soggettività è “fare relazione”. Questo {{intreccio fra cultura personalistica e cultura solidaristica}} sta nella costituzione italiana proprio come contributo di una mediazione/confronto con la cultura politica cattolica, mentre {{la mediazione di cui è frutto il disegno di legge ministeriale è inadeguata}} anche perché “recede alla concezione atomistica dell’individualismo liberale”.
_ I diritti, invece, risultano rafforzati dal riconoscimento di reciprocità e legami. Il disegno di legge – conclude Boccia – ha il merito di porre sul tavolo la questione, ma {{il confronto in Parlamento e nel paese deve porsi l’obiettivo di uno spostamento verso il “riconoscimento delle relazioni”}}.

L’incontro, programmato prima che dal consiglio dei ministri uscisse approvato il disegno di legge frutto del lavoro congiunto delle ministre Bindi e Pollastrini, prevedeva 5 relazioni su aspetti diversi del problema. Gli interventi, una quindicina, si sono intrecciati con le relazioni, dando luogo ad un dibattito che ha tenuto insieme attualità politica, riflessione giuridica, pensieri e pratiche di donne, e di qualche uomo, fra istituzioni e movimenti.

{{Maria Rosaria Marella}}, docente di diritto privato all’Università di Perugia, analizza la {{rilevanza giuridica e lo status delle convivenze nel quadro della legislazione attuale}}, i modelli di riconoscimento dello “stare insieme” in Europa e la questione del fondamento costituzionale di tale riconoscimento o del rifiuto di esso.
_ Di particolare interesse il riferimento alla {{carta di Nizza}} che all’art. 9 sancisce il “diritto di sposarsi” e il “diritto di costituire una famiglia” come competenze distinte dei legislatori nazionali, entrambe coperte da garanzia costituzionale.

{{Titti De Simone}}, deputata, affronta il nodo delle {{unioni civili nel programma dell’Unione}}, scomparse nel disegno di legge. La discriminazione che colpisce gli omosessuali “non riguarda solo gli individui, ma soprattutto le relazioni affettive in cui si svolge la vita degli individui”. Questo rende {{necessaria una riforma del diritto di famiglia}} del 1975, per dare sbocco a una battaglia che dura da 20 anni. De Simone non nega il valore simbolico del disegno di legge governativo “rafforzato dall’attacco della Chiesa dei giorni successivi”, ma ne ritiene {{insoddisfacente l’impianto giuridico e culturale}}. Il lavoro emendativo in Parlamento deve essere condotto nel confronto con i soggetti reali, senza l’illusione che le unioni di fatto risolvano il problema dei diritti di cittadinanza degli omosessuali, ma cercando di avere come sinistra “un’idea più alta sui diritti civili e sulla non separatezza fra diritti sociali e diritti civili”.

Anche per l’avvocato {{Ezio Menzione}} l’unico {{merito del disegno di legge è quello di aver posto l’esistenza di una pluralità di famiglie, di “modi di stare assieme”}} e non di un solo modello. Ma i movimenti chiedevano una legislazione leggera, che valorizzasse al massimo il momento dell’affettività più che l’elemento patrimoniale. A chi poneva il problema della filiazione, si risponde valorizzando la coabitazione, che nemmeno per le famiglie è coincidente con la convivenza (da quando il nuovo diritto di famiglia consente ai coniugi di avere diversa residenza).
_ Il {{momento della “volontà” non emerge mai}}. Non è previsto lo scioglimento della convivenza, se non per passare la matrimonio. Fra le incongruenze per Menzione c’è anche il mettere assieme le relazioni affettive, che sottendono un progetto di vita in comune, e quelle di sostegno e mutuo aiuto. L’Europa chiede che agli omosessuali sia consentito l’accesso a un matrimonio o ad un istituto equivalente: questo “non vuole essere un istituto equivalente”. C’è oggi materia quindi sia per una battaglia a livello europeo, che per dare una “normativa autoctona a una realtà che è molto più ricca e articolata rispetto alla miseria di questa proposta”.

_ {{Aurelio Mancuso}}, segretario di Arcigay, ritiene che al di là delle intenzioni delle ministre, {{il disegno di legge viene usato “contro quello che c’è nella società”}}. Si vuole impedire che queste “formazioni sociali” abbiano dignità sociale, possano prendere parola ed essere rappresentate, se non in negativo. In questa battaglia che riguarda tutti, {{i movimenti GLBT chiedono di non essere lasciati soli}}, a partire dalla manifestazione del prossimo 10 marzo *.

Da parte di {{Bianca Pomeranzi}}, del gruppo Balena, viene l’affermazione che {{non basta “non lasciare soli” gay e lesbiche in una battaglia che “io da lesbofemminista non ho fatto”}}. Occorre dire senza ipocrisie che i DICO sono fatti prima di tutto per togliere le discriminazioni più pesanti contro le unioni fra persone dello stesso sesso e che {{il grande spostamento in termini di civiltà è quello da famiglia a famiglie}}. _ Va salvato questo riconoscimento simbolico in una società “rimbecillita dall’oscurantismo fondamentalista”. Non si tratta solo di mediare con la cultura cattolica, ma di onorare un impegno che il centro sinistra ha preso nei confronti di vite, di persone.

{{Maria Chiara Acciarini}}, sottosegretaria alla famiglia, registra il {{gap fra realtà e leggi}}, come come c’era al momento della legge sul divorzio. L’operazione da fare è perché il diritto si adegui alle trasformazioni della realtà, resistendo alla “pesantissima ingerenza” della Chiesa cattolica, che per anni ha fatto (più coerentemente, dal punto di vista religioso) la guerra ai matrimoni civili. Acciarini fa, e si fa, una domanda: con quali tempi e {{con quale Parlamento penso di poter intervenire sul gap fra realtà e leggi}}? E (si) risponde: “Sono in politica per migliorare un po’ le cose, quindi mi interessa che passi un testo che comunque contiene elementi significativi e ha bisogno di un intervento del parlamento per sciogliere alcune incongruenze”.

{{Cesare Salvi}}, presidente della commissione giustizia del Senato, è {{molto critico su un disegno di legge che cerca di combinare due principi, non combinabili}}: il riconoscimento dell’unione civile come espressione di un atto di volontà comune e quello dell’unione di fatto come “situazione”. Da qui una serie di incongruenze, un risultato “{{giuridicamente impraticabile}}”. La {{critica di Salvi investe anche la scelta di un’iniziativa governativa in materia}}. Bisogna invece riaprire in commissione un ragionamento, tenendo conto di cosa si può fare “in questo parlamento”. La scelta fra i due principi ha conseguenze sulle possibili alleanze, per esempio con chi si dichiara “liberale”. Quanto all’ingerenza della Chiesa, è giusto contrastarla, richiamandola al rispetto del Concordato.

{{Paola Concia}}, di Gayleft, pensa che con questo disegno di legge, “bruttino dal punto di vista giuridico” si sia comunque “vinto sulla scena pubblica” in una società che “è più avanti della politica”. Il movimento omosessuale ha perso in passato l’occasione di fare una battaglia insieme alle donne per il riconoscimento di relazioni affettive diverse dal matrimonio. Il risultato è che oggi le situazioni più avanzate (nel mondo, non in Italia) sono quelle in cui si riconosce il diritto al matrimonio per tutte e tutti.

{{Gloria Buffo}}, deputata, elenca le alternative che si presentano adesso: “blindare il testo del disegno di legge, per tenere i voti del centrosinistra, oppure aprire al cambiamento del testo, con il rischio che venga peggiorato (dalla Margherita che già chiede libertà di voto)?” {{Il testo è deludente}}, è “mediazione bassa”, {{c’è una differenza cruciale fra riconoscere l’unione, la relazione, o dire “i singoli”}}. In questo contesto politico è comunque un passo avanti e mi assumerò la responsabilità di difenderlo. Ma è possibile questo contesto se (come molti/e hanno detto) “la società italiana è così avanzata”? O non è piuttosto che siamo davanti, nella società, a una libertà praticata, nei comportamenti, mentre la sistemazione simbolica, il discorso sulla famiglia è debole, perché è debole la politica? Il discorso non è più avanzato, anche se la pratica sembra esserlo –insiste Buffo. Bisogna aggiornare il nostro schema sul rapporto società-quadro politico e farsi carico di spostare avanti quest’ultimo. La sinistra ha sempre avuto problemi sulle “questioni di libertà”. {{Il problema è quello del matrimonio, e della famiglia}}. Non basta ragionare sull’accessibilità del matrimonio per tutti, ma anche sul matrimonio concordatario. Recuperare una critica della famiglia, parlare dei rapporti fra sessi e generazioni. Parlare della famiglia concreta per attaccare la famiglia ideale. Spazzare via la categoria delle questioni “eticamente sensibili” e smetterla con il disorso per cui “chi è credente ha un di più” di valori. Serve invece {{recuperare le categorie della libertà, la “cura dell’etica repubblicana”}}.

{{Gaia Maqi Giuliani}} ha affrontato in una relazione il tema della {{precarietà delle vite delle persone che convivono}}: è il precariato che ha destrutturato le forme stabili dell’affettività. Per questo il disegno di legge è importante, perché riconosce la persona come “soggetto sociale”, ma soprattutto “riconosce la società come fondata sulla rete infinita delle relazioni fra le persone”. D’altro canto, pur tentando di fotografare questa realtà, “teme di dare una lettura progressiva della propria Carta costituzionale” utilizzandone l’art. 29 per non riconoscere bisogni e aspirazioni di vasti settori della società italiana.

{{Lidia Menapace}}, senatrice, {{ricostruisce il percorso con cui la Chiesa cattolica ha superato un iniziale disinteresse (per non dire disprezzo) verso la famiglia}} e lo “stato coniugale” per arrivare a fare della Sacra Famiglia (una “famiglia anomala” da tanti punti di vista, a partire da quello dell’inesistenza di una paternità biologica) un modello.
_ La data del cambiamento è la {{metà del XIX secolo}}, dopo la pubblicazione del libro di Engels. Oggi il modello proposto è un altro: biologistico, proprietario, patriarcale. Un messaggio forte che dobbiamo mandare passa attraverso la critica di questo modello.

{{Nicoletta Morandi}}, dell’Associazione di avvocati/e per la famiglia e i minori, ritiene {{limitativo porsi il problema se la società sia più o meno avanzata del quadro legislativo}}. La società, le persone, mettono in atto comportamenti, pratiche, a cui vorrebbero si desse un esito normativo.
_ Nel nostro caso l’{{art. 2 della costituzione è la “norma aperta” che consente di pensare l’intervento normativo in modo da seguire l’evoluzione dei comportamenti sociali}}. Non sempre chi mette in atto pratiche alternative ne ha consapevolezza: ma questo è il compito della politica. Sul disegno di legge, lo “scandalo” sta nel modo in cui è stato condotto il dibattito, come non si è risposto all’ingerenza della chiesa, alle bestialità giuridiche usate come argomenti.
_ Oggi ci vuole una legge perché {{la “famiglia” è diventata “famiglie plurali”}}, ma in questo processo {{va ripensato tutto il diritto di famiglia}}, che dopo 30 anni andrebbe aggiornato. Secondo Morandi comunque è giusto prevedere le convivenze come qualcosa di diverso dal matrimonio, caratterizzate da un di più di libertà.

{{Anita Sonego}} di Usciamo dal silenzio (e di Soggettività lesbica), rileva, con dispiacere, l’assenza di deputate della Margherita, con cui le piacerebbe discutere. Rileva anche che {{il titolo del convegno usa un termine, famiglia appunto, che non è adeguato a rispecchiare i legami di libertà e di non subordinazione}} che in questi anni abbiamo imparato a riconoscere nelle esperienze più diverse.
_ E’ evidente che nella richiesta di diritti c’è, per molti/e una richiesta di normalizzazione, di legittimazione. Per questo dobbiamo tener presente anche chi non cerca la coppia stabile. Abbiamo bisogno di aprire una grande discussione, di {{coinvolgere il movimento delle donne, i girotondi nella manifestazione del 10 marzo, che deve essere una grande manifestazione sociale}}.

{{Lea Melandri}}, della Libera Università delle donne di Milano, vede nel dibattito in corso un’occasione straordinaria, con qualche rischio: rischio di polarità astratte fra problemi e aspetti dell’esperienza che sono connessi e non devono essere separati. Il {{rischio di separare lesbismo e femminismo, di contrapporre diritti dell’individuo e diritti legati alle formazioni sociali,}} di dividere vita e politica, di separare battaglia di diritti e battaglia di idee. Vanno invece visti i {{legami: fra lesbismo e femminismo, perché mettere in discussione il rapporto uomo-donna vuol dire attaccare la famiglia come luogo del dominio maschile}}.
_ I diritti sociali ed economici vanno estesi all’individuo, alcuni sono intrinsecamente individuali, per esempio il diritto allo studio.
_ La battaglia delle idee non va delegata ai cattolici: bisogna avere il coraggio di dire che “qui si vuole toccare la famiglia”, separare il “dato biologico eretto a storia” su cui si basa l’art. 29 della Costituzione.
{{Il femminismo deve fare la battaglia contro la naturalità della famiglia}}, dopo aver fatto quella per separare sessualità e procreazione. Dobbiamo affrontare i temi “eticamente sensibili” come temi politici, che attengono alla storia, alla polis, ai rapporti di potere. Va bene {{modificare questo disegno di legge, ma facciamo anche questa forte battaglia di idee}}.

Nella sua relazione {{Federica Resta}} fa una interessante {{disamina delle politiche regionali in materia}}, preceduta dalla critica alla richiesta (cattolica) di “politiche promozionali” della famiglia, che sottende un’idea paternalistica del diritto, come se “i cittadini/e non fossero in grado di scegliere come stare insieme”.

{{Giampaolo Silvestri}}, senatore, contesta l’affermazione secondo cui su questo disegno di legge il governo non metterà la fiducia, in nome della libertà di coscienza su temi eticamente sensibili. Si chiede: ma pace e guerra sono meno eticamente sensibili? E salute, welfare? La sua conclusione è che {{se il governo ha una proposta la maggioranza è tenuta a sostenerla}}. Nel merito, pensa che {{una forma leggera/flessibile/contrattuale di convivenza è auspicabile}}, perché va incontro alla modernità, alle mutazioni antropologiche, alle esigenze del relazionarsi, a patto che ci sia anche il matrimonio omosessuale. Così, invece, {{i DICO sono inaccettabili dal movimento omosessuale}}. Come esito di un governo di centrosinistra, è penoso. Risente di una controrivoluzione verso un “familismo becero”, per cui “sembra reato vivere da single”. {{Silvestri trova insopportabile la sudditanza non solo dei politici, ma soprattutto dei giornalisti}}, che dà luogo a “un’emergenza democratica”. Una legge comunque, può servire a costruire cultura, abitudini. Portiamo a casa questo, ma dobbiamo essere più duri con le posizioni inaccettabili, anche al nostro interno.

{{Anna Maria Carloni}}, senatrice, ritiene necessario “{{non perdere il nucleo di valori simbolici che nel disegno di legge sono contenuti}}”. Il testo è il frutto di una pressione, di un lavoro comune delle due ministre, e il risultato non era scontato. Chiede di discutere insieme il comportamento da assumere nel dibattito parlamentare: se adesso si segue la logica di Cesare Salvi, se ne riparla con un altro parlamento, un’altra maggioranza; oppure “ci proviamo”. A portare a casa qualche piccolo risultato, esplicitando le critiche, ma sapendo che “oltre quella mediazione non si va”.

{{Olimpia Vano}}, senatrice, sottolinea che “la politica parte svantaggiata”, di fronte al {{ricatto di un governo, che ha prodotto un disegno di legge}} “negando un’azione legislativa parlamentare, che permetta di percorrere strade di partecipazione democratica. Tocca alla società, che nel frattempo ha preso coscienza dei modelli che si è data, superandone, non disconoscendone altri, richiamare la politica alle sue responsabilità.

{{Gabriella Bonacchi}}, rispondendo alla domanda di Anna Maria Carloni e di altre parlamentari, dice che secondo lei {{questa legge in parlamento va difesa}}. D’accordo sulle critiche, ma è frutto di un compromesso raggiunto dopo un grosso lavoro delle ministre, che va lodato. Rosi Bindi è esponente di una particolare tradizione cattolica, quella del “nubilato cattolico di grande levatura” (come Tina Anselmi) che cerca “le conseguenze politiche di fatti acquisiti”. E questo è l’unico terreno su cui è stato possibile l’incontro con la cultura cattolica, anche al tempo dell’aborto, quando i fatti erano la miseria/piaga dell’aborto clandestino a cui porre riparo. Qualche volta la cultura cattolica ha corretto la cultura contrattualistica classica.
_ Anche la cultura delle donne, con il concetto di autodeterminazione, rompeva con il contrattualismo e introduceva la relazione, una visione relazionale della libertà. Oggi la nostra debolezza – secondo Bonacchi – è che non si vede un corrispettivo di quella che fu allora l’autodeterminazione.

{{Paolo Ferrero}}, ministro per la solidarietà sociale, spiega perché ha votato in consiglio dei ministri un testo “peggiorato nel processo di redazione”. La domanda da fare è: se passa così com’è (e va fatta tutta la battaglia politico-culturale per migliorarlo) quel disegno di legge è positivo o negativo? E’ positivo, perché {{sposta il contenzioso sui diritti, fra esigibilità dei diritto e forma della legge}}. Apre un varco. E quindi incide nel senso che “si lotta di più se si vede che si può cambiare”, mentre “l’impossibilità di cambiare genera immobilismo”.
_ Per questo Ferrero ha detto sì, riconoscendo la determinazione con cui hanno lavorato Bindi e Pollastrini e la scelta di Prodi di impegnare il governo. Questo disegno di legge, però, è come gli altri di iniziativa governativa, su cui “la maggioranza deve tenere”.
_ Altro elemento positivo: {{fare una legge di questo tipo in questo contesto è un bene per la laicità dello stato}}. Approvarla così sarebbe comunque un passo in avanti. Siamo davanti a un rovesciamento della recente vicenda referendaria: la maggioranza della popolazione italiana non si riconosce in questo atteggiamento della Chiesa. Ma resta il problema della elaborazione di un’etica laica più diffusa e approfondita di quella di oggi.

{{Milly Virgilio}}, avvocata e assessora al comune di Bologna, sottolinea l’{{importanza di arrivare a una normativa che “consenta la libertà delle relazioni” normate e non normate}}, riconoscendo per tutti/e sia il diritto a chiedere la forma matrimonio che a non volere nessuna forma.
_ La dizione dell’art. 29 della costituzione parla di una famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, ma la realtà è già mutata dal ’48, quando era “impensabile il suo scioglimento”. Accettando la provocazione di Bonacchi (confrontare l’oggi con quanto accadde a proposito di aborto e divorzio) Virgilio sostiene che, nel caso dell’aborto, oggi si sottolinea l’importanza dell’autodeterminazione (glissando sulle “cose orrende” contenute in un testo di legge – la 194- “contorto e mediato”), ma allora anche a noi interessava soprattutto rimediare a un fatto, mentre adesso chiediamo anche il livello simbolico.
_ Dall’esperienza di assessora comunale, Virgilio deriva l’esigenza di tenere insieme la quotidianità delle battaglie (che riguardano l’assegnazione delle case, dei punteggi per gli asili, ecc.) con le questioni di principio. Serve sia la legge formale che la regolamentazione dei diritti.

{{Maria Luisa Boccia}}, chiudendo l’incontro e rimandando al {{19 alla Casa Internazionale delle Donne di Roma}} per il proseguimento del confronto, sottolinea come {{sarebbe un errore scindere il piano della legge da quello della cultura}}, dire che il destino della legge è affidato al realismo politico, mentre poi ci sono le posizioni politico culturali più articolate. Questo è già sbagliato: o il Parlamento è fin da subito il luogo in cui tutte le questioni vengono nominate e affrontate, per cercare il punto di equilibrio e migliorare la mediazione, oppure ricreiamo nelle nostre teste una frattura fra quello che vogliamo e quello che chiediamo alla politica. Occorre inoltre dare continuità a questo incontro fra percorsi politici diversi, ritessere un filo.

Uno strumento in questo senso vuole essere anche il sito aperto dal coordinamento delle parlamentari del PRC, dove saranno disponibili i testi delle relazioni e probabilmente anche gli interventi o parte di essi.

{{Nota}}

{A margine dell’intervento, chi scrive, con altre compagne di Firenze, ha chiesto
perché, non per la prima volta, una manifestazione nazionale su un tema trasversale
rispetto al genere, viene fissata in una data intorno all’8 marzo, data che alcune
vorrebbero usare per manifestare, a livello locale o nazionale poco importa, su temi
propri dell’iniziativa politica delle donne.
_ La risposta, almeno in questo caso, non
sembra derivare da un atteggiamento indifferente al genere: pare che ci abbiano
pensato, che abbiano chiesto alle compagne di Usciamo dal silenzio, a Milano, quelle
con cui hanno più stretti rapporti, e che da queste abbiano ricevuto una sorta di
“disco verde”.
_ Se è così, forse è alle compagne di Milano che bisognerebbe chiedere
perché. ecc. Un tentativo durante la pausa pranzo ha confermato che il problema
vero, non per la prima volta, è che la mancanza di una qualunque forma di
coordinamento-consultazione fra gruppi e movimenti di donne nelle diverse città, non
si traduce in una necessaria cautela, ma nell’esatto contrario. Di questo dovremo
riparlare. E abbastanza presto.}