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“Oggi abbiamo espulso dal territorio nazionale il cittadino indiano R. L. che il 16 agosto scorso si era reso responsabile, a Scoglitti, in provincia di Ragusa, del tentato sequestro di una bambina di età inferiore ai 14 anni”. Così dichiara il nostro ministro dell’interno Angelino Alfano. Peccato però che, stando agli accertamenti dei magistrati, R. L. non si sia affatto “reso responsabile del tentato sequestro di una bambina”, visto che il procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia, conferma che non c’è stato nessun tentato rapimento e che il reato da contestare a R. L., ironizza, “sarebbe quello di ‘presa di bambina in braccio’”. Questo infatti quello che è accaduto, sempre con le parole del procuratore: “Il papà con la bambina a fianco (non tenuta per mano) e alcuni amici stava rientrando dalla spiaggia, la mamma si era attardata. Si avvicina questa persona che in zona è conosciuta, un ambulante che in spiaggia vende piccoli oggetti e fa tatuaggi all’hennè e non è ritenuto pericoloso. Si avvicina al gruppo familiare, guarda la bambina, le sorride, le fa una carezza e la prende in braccio. Il padre resta interdetto, lui non si muove, passano non più di 45 secondi e il padre, giustamente infastidito, gli dice di posare la piccola e gliela toglie dalle braccia. L’indiano resta imbambolato, non scappa, non dice niente. Non sono neanche i genitori a dare l’allarme, ma un amico che chiama i carabinieri dicendo: ‘C’è uno che ha tentato di prendere una bambina’. I carabinieri arrivano e lo trovano sempre lì sull’arenile, cento meri più in là, lo fermano per sequestro di persona e se lo portano in caserma. Un fermo tecnicamente sbagliato. L’indiano passa una notte in cella e il giorno dopo, giustamente, il mio pm lo libera”. R. L. dichiarerà che in quel momento era completamente ubriaco e che non aveva nessuna intenzione di portare via la bambina, tanto che non si è allontanato neanche di un passo dal padre.

Se la persona in questione non fosse stato uno straniero che faceva tatuaggi sulla spiaggia, il caso non sarebbe neanche esistito. E, se è del tutto comprensibile la reazione dei genitori nel vedere uno sconosciuto che si avvicina alla propria figlia e la prende addirittura in braccio, non lo è affatto quella dei carabinieri, che hanno scritto un comunicato stampa quantomeno “colorito”, sul quale si è montata la vicenda mediatica. Una ricostruzione, quella dei carabinieri, che non ha trovato riscontro negli accertamenti della pm, che infatti non ha convalidato il fermo perché, codice alla mano, non c’erano i presupposti.

Piaccia o non piaccia ai cacciatori di streghe e ai garantisti della domenica, è infatti così che funziona uno Stato di diritto. Una persona, sospettata di aver commesso un reato, viene condotta di fronte a un giudice che, applicando la legge, stabilisce le eventuali misure cautelari da prendere. Senza guardare in faccia nessuno, neanche il sospettato in questione. Queste cose dovrebbero saperle tutti, ma dovrebbe saperle innanzitutto un ministro dell’interno, che invece annuncia l’espulsione del “tentato sequestratore”, facendo strame della verità e della legge.

Uno di quelli, Alfano, che si professa “garantista” un giorno sì e l’altro pure e che non si rende conto che le garanzie procedurali (quelle costantemente invocate quando a essere nei guai con la giustizia sono i potenti e i colletti bianchi) sono lì soprattutto a difesa dei più deboli, di coloro che non hanno altro strumento per difendersi dagli abusi del potere se non la legge. La legge è il potere dei senza potere.

R. L. è due volte vittima: ingiustamente accusato di un reato che non ha commesso (e che non aveva intenzione di commettere), con il suo nome completo e la sua faccia sbattuti (incomprensibilmente e contro ogni etica professionale) su tutte le pagine dei giornali, anche dopo che la vicenda era stata chiarita, ora viene espulso in applicazione di quella Bossi-Fini che tratta da criminale chi non è in regola con il permesso di soggiorno. Doppia vergogna. (7 settembre 2016)