L’intervento di Alessandra Servidori, consigliera nazionale di parità, al seminario organizzato dall’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, svoltosi il 3 dicembre 2014 a Roma, sala del Parlamento Europeo.

Sono grata a Marisa Rodano e Daniela Carlà per aver saputo tenere insieme in questo periodo il gruppo così eterogeneo che “si candida” almeno a fare opinione, esprimere delle riflessioni almeno condivise se non proprio uguali. Ho ascoltato molto attentamente il contributo di Marilisa D’Amico e Daniela Colombo, entrambe hanno sinteticamente ed efficacemente ritessuto e stabilizzato la nostra storia con talento e competenza. Desidero come Consigliera Nazionale di Parità, con la responsabilità che sono solita assumermi, precisare alcune questioni.

Comincio dal dato complessivo di sofferenza per le elezioni regionali, dove per la prima volta il numero degli astenuti – 2,1 milioni – ha superato quello dei voti validi, 1,2 milioni; il 37,7% di affluenza registrato domenica è inferiore al picco negativo del 40,9% registrato alle regionali sarde. Purtroppo non siamo in grado di sapere ad oggi quante donne e quanti uomini hanno votato, e già questo sarebbe un dato interessante che forse solo il Viminale ci può fornire dopo che le prefetture – forse – li avranno forniti dettagliatamente. Tenteremo comunque per farci un’idea. Sta di fatto che invece abbiamo ben chiaro il risultato ottenuto nell’insieme dei voti espressi e di genere: 1 maschio su 9 è eletto, 1 su 74 tra le donne. Ed è altrettanto chiaro ed evidentemente sconfortante che ogni lista punta a vincere, tralasciando il valore della rappresentanza di genere. Ma è altrettanto vero che in Parlamento tra le politiche del 2008 e del 2013, la presenza di signore è passata dal 20,3% al 30,7%. Molte alle europee di maggio: raddoppiate, dal 20 al 40%, le eurodeputate italiane. Sta di fatto che o si trova una strada diversa che le dichiarazioni “Facciamo rete, facciamo rete!” e poi non la facciamo, oppure la situazione rimane – se non peggiore – uguale ai recenti anni.

Allora che fare: basta convegni e parate ma blocco, lobby, squadra, con un gruppo al quale dare veramente fiducia sulla base di uno statuto con contenuti condivisi che ci impegniamo a portare avanti, trasversalmente, rispettando sicuramente i compagni di partito o di movimento o di alleanza ma rifiutandoci di fare le suddite sottomesse. Abbiamo davanti un tempo relativo ma da usare: la legge elettorale che si sta discutendo deve essere corretta. Dobbiamo chiedere alle parlamentari e a Valeria Fedeli alla quale dobbiamo tutti i ringraziamenti non solo per aver sollevato la questione del Senato tutto al maschile, la questione irricevibile di una legge elettorale che ora così come Italicum o altro è non va, perché non basta candidare il 50% delle donne, per poi lasciarle a casa grazie alle liste bloccate. Dove magari i capilista sono tutti uomini o si alternano nei collegi due uomini e una donna, con la certezza che non sarà eletta.
Al di là delle utili scelte sulle soglie di sbarramento, deve necessariamente tenere conto di una corretta rappresentanza di genere. Il testo uscito dalla Camera non risponde, infatti, a questa primaria esigenza per un Paese che voglia scrivere regole democratiche di rappresentanza. Non si può ignorare che le donne italiane non chiedono privilegi, ma una democratica presenza paritaria che non le escluda, a maggior ragione ora che sarà diminuito il numero dei parlamentari con l’abolizione del Senato, dal prossimo Parlamento che dovrà affrontare tutte le grandi riforme che incideranno in modo decisivo sulla vita delle donne italiane e delle loro famiglie.

Ecco signore mie fare squadra significa serrare le fila su quello che vogliamo fare insieme e non separatamente. Impariamo a sostenerci veramente senza controcanti settari. L’occasione c’è sempre: Fedeli come prima firmataria ha presentato un disegno di legge al Senato per introdurre nelle scuole l’educazione di genere, un primo passo nella battaglia contro la violenza alle donne, da agosto ce lo chiede l’Europa in base alla convenzione di Istanbul. Sino ad oggi dal punto di vista della prevenzione alla violenza e per la parità di genere ci sono state sperimentazioni in alcune scuole, ma mai nulla di complessivo. Ci aveva provato Finocchiaro, Moratti, ma mai nulla è stato messo a regime. L’idea di fondo è che dalle elementari al liceo ci siano corsi che, dimenticando i luoghi comuni in primo luogo, rimandino ad un’idea di storia, letteratura e costruzione del mondo in cui si racconti anche il contributo delle donne. In questo modo si passa dall’infanzia in poi un messaggio di reale parità, nella diversità, di uguale contributo. In modo che nasca tra i ragazzi il profondo rispetto che porta al riconoscimento della libertà altrui di realizzarsi come forma di amore, invece del possesso come dimostrazione di affetto che porta alle violenze.

Noi come Ministero del Lavoro Consigliera di Parità Segretariato Generale, Direzione Attività Ispettiva, sindacati e associazioni femminili – Soroptimist, Croce Rossa italiana, Aidda, Bellisario, Tutteperitalia, Komen coordinamento cug (Aran ecc.) – abbiamo dato vita ad un tavolo di lavoro per implementare garanzia giovani in ottica di genere (per l’occupabilità femminile giovanile) e abbiamo individuato 4 priorità su cui serrare le fila insieme a falange: la riforma del lavoro in itinere e dunque anche la legge di stabilità ,diritti internazionali, lavoro, scuola, prevenzione/sicurezza. Strumenti antidiscriminatori per definizione poiché la libertà di una donna passa attraverso e prima di tutto sulla possibilità di entrare e restare nel mercato del lavoro. Abbiamo la questione dei tanti ininfluenti organismi di parità: bisogna che vi sia una razionalizzazione e una riforma vera e propria poiché troppa confusione sui vari ambiti anche operata da una frenesia di un Dipartimento PO – e sia ben chiaro ringrazio Sighinolfi per la serietà con la quale ha operato fino ad ora – uno spezzatino di dipartimento che su tutto vuole esserci senza avere spesso, non solo le specifiche competenze, ma ingoiando gli spazi come ha agito Unar e magari creando direzioni generali non competenti. Tutti non possono fare tutto e male. Sui temi del lavoro non si può disperdere le energie le competenze le alleanze sul territorio e a livello internazionale, quindi la Presidenza del Consiglio rimetta ordine alla materia e riconosca a chi sa fare il ruolo di promuovere politiche attive antidiscriminatorie all’interno della riforma del mercato del lavoro, magari puntando ad una vicinanza maggiore tra lavoro pubblico e privato, tutele alla lavoratrice madre, congedi parentali e strumenti di flessibilità tali da garantire maggiore produttività e bilanciamento nei tempi di vita che comprendono anche i tempi di lavoro.

Oggi c’è una signora alla Presidenza del Consiglio che si occupa di pari opportunità: a Giovanna Martelli che ha rilasciato una intervista dichiarando che avrebbe lavorato con la Consigliera Nazionale di Parità ho telefonato e attendo proposte e azioni che tardano ad arrivare. Alle/ai consigliere/i di parità, competenti e veramente preparati, sia attribuita quella agibilità operativa che consente di sviluppare una rete nazionale e territoriale per il lavoro femminile, e non confondiamo le figure: le consigliere di fiducia con le consigliere di parità. Rappresento un gruppo di consigliere di parità che hanno una storia, un rango, concreta responsabilità. La politica non può non prenderne atto e agire coerentemente. Ci sono donne di buona volontà cresciute e in fretta che non passano la vita a farsi la guerra al loro interno con il risultato di non contare quasi nulla. La politica internazionale riconosce nella Consigliera Nazionale l’interlocutore di diritto di Equinet, degli organismi di parità come Equality Bodies, e con la Commissione Europea e le Nazioni unite, nonché OIL al quale abbiamo fornito poche ore fa documentazione sulle donne italiane e il lavoro, se serriamo le fila, si potrà avere una collaborazione proficua. Tra le molteplici attività della Consigliera Nazionale di Parità, e del suo Staff, un ampio settore è dedicato allo studio e analisi delle iniziative comunitarie, siano esse di carattere legislativo che provvedimenti di varia natura.

Per competenza istituzionale, l’attenzione è rivolta al tema del lavoro femminile e, dunque, della parità, delle pari opportunità, della tutela della salute e sicurezza delle donne sui luoghi di lavoro e a tutto ciò che attiene l’ambito lavorativo, sia dipendente che autonomo.

Ciò premesso, i settori più significativi dei quali si è interessato l’Ufficio sono molteplici e in condizioni di mancanza totale di risorse economiche:

1. La partecipazione all’Advisory Committee on Equal Opportunities for Women and Men (Comitato Consultivo sulle pari opportunità tra donne e uomini), di cui è componente la Consigliera Nazionale. Il Comitato Consultivo svolge prevalentemente la funzione di elaborare pareri da sottoporre al Parlamento e al Consiglio europeo sui temi ritenuti prioritari, anche al fine di sollecitare l’eventuale adozione di nuove Direttive. Inoltre, svolge il compito di suggerire le linee programmatiche per la stesura della Road Map (Tabella di marcia) sulle pari opportunità. Il programma di lavoro formulato per l’anno 2013 prevedeva due riunioni, tenutesi il 23 maggio e il 28 novembre, cui abbiamo partecipato come Consigliera Nazionale, nel corso di tali incontri sono stati elaborati due “pareri” riguardanti il gap retributivo nelle pensioni e la questione delle mutilazioni.

2. La partecipazione al National Gender Equality Bodies (Organismi Nazionali per la parità di genere individuati in conformità a quanto previsto dalla Direttiva 2002/73). L’Ufficio è sempre intervenuto ai diversi meeting annuali. A partire dal 2013 le funzioni dell’organismo sono state delegate a EQUINET.

3. L’adesione – ratificata nel corso del 2013 – a EQUINET (European Network of Equality Bodies), rete che riunisce 38 organismi provenienti da 31 Paesi dell’Unione Europea costituiti per contrastare, ciascuno in ambito nazionale, ogni forma di discriminazione. L’attività del network viene esercitata attraverso momenti di incontri plenari (es. seminari di studio, formazione, Assemblea generale degli iscritti) e mediante specifici gruppi di lavoro tematici. La Consigliera Nazionale e alcune componenti dell’Ufficio sono componenti del Gender Working Group, e come tali hanno partecipato alle relative riunioni tecniche (Parigi 19 aprile 2013; Lisbona 20 settembre 2013; Bruxelles 26 febbraio 2014); al Seminario di Alto livello “Gender Equality in the Labor Market: the role of Equality Bodies” tenutosi a Bruxelles il 26 giugno 2013; al Training su Equal Pay, tenutosi a Lisbona il 18 e 19 settembre 2013; all’Assemblea generale degli iscritti il 28 novembre 2013 a Bruxelles e domani 4 dicembre la seconda Assemblea generale. Che sia ben chiaro: l’adesione a EQUINET richiede una partecipazione attiva attraverso la formulazione di contributi scritti su tematiche ritenute prioritarie dalla Commissione europea; collaborazione per la stesura di report; la partecipazione all’attività di programmazione e di individuazione di linee strategiche, la risposta a questionari, l’elaborazione di documentazione. Il Gender Working Group nel dicembre 2013 ha pubblicato il Report “Equal Pay for Equal Work and Work of Equal Value: the Experience of Equality Bodies” che raccoglie sia la normativa che le buone prassi attuate dagli organismi di parità dell’UE per promuovere la parità retributiva. Tra queste figura la guida “Parità Salariale tra uomini e donne: come e perché” realizzata dalla Consigliera Nazionale di Parità, in collaborazione con la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Domani l’assemblea di Equinet a Bruxelles deve ratificare la programmazione per il 2015, votare l’entrata della Bulgaria nell’organismo, decidere se ci proponiamo come organismo che si affianca alla Commissione Europea sui diritti umani sui casi di discriminazione. Sicuramente come Consigliera Nazionale di Parità e a volte con alcune consigliere abbiamo svolto un ruolo determinante soprattutto ciò che serve è l’informazione. E così nelle audizioni alla Camera e al Senato abbiamo sempre portato il nostro fattivo contributo, sempre ovviamente pubblicato integralmente sul sito, così come tutti i miei personali interventi di merito sui temi del lavoro (www.lavoro.gov.it/ConsiglieraNazionale).

Fare informazione per combattere le discriminazioni e se del caso impugnarle, come prevede la norma, è la nostra mission. E ritengo fondamentale essere sempre sul pezzo, studiare, avanzare proposte concrete. Oggi abbiamo qualche ragione in più per non demoralizzarci e agire insieme. Una relazione di Unioncamere uscita poche ore fa ci dice che per le imprese italiane che devono assumere è indifferente prendere una donna piuttosto che un uomo. Leggiamo i numeri: la metà delle nuove assunzioni previste (52,8%) saranno rivolte indistintamente ad ambo i sessi, nel 2011 a pensarla così era il 43,8 %. Nel settore delle imprese sociali la quota di neutralità sul genere arriva al 68,4% ed è dunque in queste realtà che, sempre a guardare le cifre, cresce la probabilità di trovare impiego per le candidate: il 26,3% dei programmi di assunzione delle imprese del sociale punta a inserire donne, perché ritenute più adatte per la posizione in ricerca, intenzione dichiarata esplicitamente, invece, dal 16, 7% appena sul totale dei datori di lavoro. Sono soprattutto le aziende grandi, quelle con più di 50 dipendenti, a mostrare la maggiore indifferenza al genere. I settori: le public utilities (66,2%), i servizi (63,3%), soprattutto quelli finanziari e assicurativi (85,2%) e informatici e telecomunicazioni (80,6%). La presenza femminile risulta favorita particolarmente rispetto a quella maschile (20,1% contro il 16,6%) soprattutto negli studi professionali (48,8%), nei servizi culturali e sportivi (29,8%) e nella sanità e assistenza sociale (27,8%). Una conferma delle tendenze già evidenti arriva, invece, dai dati sulla propensione dei/delle giovani a mettersi in proprio: più di una impresa su quattro tra quelle avviare da un under 35 è guidata da una donna (27,7%) mentre il tasso di femminilizzazione al vertice sul totale delle imprese italiane si ferma al 21,4%. In sei mesi, poi, le attività giovanili femminili sono aumentate del 5,8%, quelle promosse dalle imprenditrici di tutte le età dello 0,8. In Umbria, Abruzzo e Basilicata, infine, le donne incidono sul tessuto imprenditoriale con tassi che superano in media il 30%.

Ancora, sempre studiando permanentemente i dati che vengono pubblicati, per esempio da “JOB24”, scopriamo dal blog del World economic forum, che riprende un rapporto rilasciato a cadenza biennale dall’Ocse, che il report ci colloca al 13° posto nel mondo in una classifica di 34 Paesi, valutando, come parametri di un buon rapporto tra tempo lavorato (retribuito e di cura) e tempo per sé, il numero di ore passate al lavoro e quelle dedicate alla cura personale (compresi sonno e pasti) e ad hobby e interessi, ragionando sulla percentuale di occupati full time che gode di un buon equilibrio tra l’una e l’altra fetta di vita. A guidare l’elenco dei Paesi virtuosi è la Danimarca, dove chi lavora può ritagliarsi ogni giorno dalle 5 alle 6 ore veramente libere da impegni professionali-burocratico-casalinghi. Seguono Spagna, Belgio, Olanda, Norvegia, Svezia e Germania. In fondo all’elenco c’è la Turchia, dove spesso si superano quelle 50 ore settimanali che l’Ocse considera il tetto tra il giusto e il troppo. L’Italia si piazza 11esima per orario “virtuoso” (ovvero meno ore lavorate, e qui in testa c’è la Russia: gli italiani lavorano 1752 ore l’anno, la media Ocse è 1765) e nona per il tempo disponibile extra-ufficio e impegni familiari, dove siamo appena sopra la media dei Paesi considerati, che è di 15 ore. C’è anche una lettura di genere dei dati, che vede le donne generalmente svantaggiate: la media del tempo speso quotidianamente nelle incombenze familiari e di cura dagli uomini che lavorano è di 141 minuti, mentre le donne ne impiegano ben 273, quasi il doppio. Un dato interessante e noto si ritrova leggendo l’analisi dettagliata che riguarda l’Italia, dove le donne risultano sì meno professionalmente assorbite degli uomini (il 4% dei quali lavora oltre 50 ore, contro il 2% delle donne), ma hanno anche, in media, meno tempo libero: 14 ore senza lavoro contro le 15 dei colleghi maschi. Dunque dati che conosciamo che sicuramente non sono destinati a cambiare molto, ma comunque noi non molliamo di mezzo millimetro: andiamo avanti, ora più che mai, con i regolamenti attuativi del JOBS ACT appena approvato…esserci serve.

ALESSANDRA SERVIDORI
Consigliera Nazionale di Parità