Eravamo tante a Paestum e perciò la voglia di discutere ha subìto drastiche limitazioni nelle due plenarie, meno nei gruppi, che erano non tematici, privi di quei formalistici report che diventano quasi “piattaforme”, impegni di lavoro, formalità organizzative, dove non c’è tutto quello che ci dovrebbe essere, anzi vengono offuscate proprio le cose dette con passione.Che tante donne, tante femministe abbiano sentito il desiderio di incontrarsi, abbiano deciso di trasformare i loro disagi personali in una passione politica è parso a tutte un evento.
Che tante giovani si siano incontrate tra loro mettendo in una discussione comune la rabbia contro la precarietà e il furto del futuro, e abbiano voluto parlarne con le femministe scherzosamente dette ‘storiche’, è un altro evento.

Che alcune abbiano promosso tutto questo e che il tutto sia stato puntigliosamente e affettuosamente organizzato da poche (tre è stato detto da Lea Melandri) donne di un’associazione intitolata al nome greco di una dea, “cacciatrice” ma insieme orgogliosamente “indifferente” al fascino maschile e desiderosa di compagne donne (Artemide), è stato davvero molto bello.

Eravamo tante e perciò la voglia di discutere ha subìto drastiche limitazioni nelle due plenarie, meno nei gruppi, che erano non tematici, privi di quei formalistici report che diventano quasi “piattaforme”, impegni di lavoro, formalità organizzative, dove non c’è tutto quello che ci dovrebbe essere, anzi vengono offuscate proprio le cose dette con passione.

Mi limiterò ad alcune considerazioni:
– le giovani hanno occupato il centro delle discussioni, con la loro critica radicale dell’esistente, la loro indignazione, la loro “pretesa” di giustizia. La proposta del reddito di cittadinanza (o di esistenza) viene così declinata nell’alfabeto femminista reddito di autodeterminazione e, opportunamente, sradicata non dal lavoro (come accusano alcune riflessioni sindacali), ma dall’idea produttivistica del lavoro, che oggi più che mai è lavoro servile e sotto ricatto.
Si pensi alla tragedia dell’Ilva di Taranto, dove – caso particolarissimo nella storia del movimento operaio – i lavoratori e le lavoratrici sono in gran parte “costretti/e” a stare con l’azienda, in una sorta di corporativismo sia pure senza fascismo.
Si pensi a Pomigliano, dove tante donne (in percentuale più degli uomini) hanno detto NO a Marchionne nel referendum, nonostante la concezione ‘familistica’ e ‘aggiuntiva’ del salario femminile.
– mancava qualcosa a Paestum secondo me: mancava la presenza politica autorganizzata delle donne “eccentriche” o “asimmetriche”: lesbiche, migranti, lavoratrici sessuali.
Avremmo avuto contributi e sguardi importanti e si sarebbero messe in scena contraddizioni culturali, teoriche, politiche. Non già, come è avvenuto purtroppo, la noiosa e antica querelle sulla presenza di donne 50 e 50 nelle liste elettorali e nelle istituzioni (Parità? Diritto? Democrazia di genere? Elemento di civiltà? Omologazione? Neutralizzazione della differenza femminile?).
Ma attraverso elementi di forte soggettività femminile, di protagonismo al di là delle pur giuste rivendicazioni di diritti e della descrizione/analisi di condizioni di disagio, la presenza politica delle donne migranti e ‘straniere’ – come ha ben detto Mercedes Frias – ci avrebbe richiamate a confronti ravvicinati sui fondamentalismi occidentali e ad una critica più radicale dell’eurocentrismo e della scandalosa assegnazione del Nobel per la Pace ad una Unione Europea che diffonde la pace attraverso le guerre; l’autoaffermazione di soggettività lesbiche avrebbe ‘mescolato le carte’ e avrebbe aperto a tutte un orizzonte di senso antipatriarcale più ampio; il contributo, spesso ‘unilaterale, delle sex workers (come ha scritto Pia Covre) avrebbe suscitato certo qualche accesa e utile discussione.

In ogni caso, il senso dell’incontro sta secondo me nel desiderio (e nel bisogno) delle donne e delle femministe di mettersi in gioco insieme in quanto soggetto collettivo fatto di differenze, di corpi, di desideri, di passioni. Non tanto per entrare in una polis costruita dagli uomini a loro misura, ma per decostruire e ri-costruire quella polis. Per sconfiggere il patriarcato, che è sì in forte ed evidente crisi di identità ma che allo stesso tempo tende pervicacemente ad una continua ristrutturazione.

Mi è inoltre parso di cogliere, diffuso, quello che è anche il mio desiderio, quasi una fissazione, quello di “continuare”, che ci sia un dopo Paestum nella mente e nelle pratiche di tutte. Un movimento politico di donne? Una rete? Non importa, purché questo incontro non sia solo una data da ricordare con amore o, peggio, con nostalgia.
Giacché, come ha ben detto Lea Melandri all’inizio, non si può rimpiangere qualcosa che non si è mai lasciato.