Il 15 ottobre saranno cinque mesi che in migliaia, milioni hanno occupato le piazze per dire che non siamo mercanzie in mano di politici e banchieri. Le femministe hanno partecipato al movimento fin dall’inizio per chiarire che questa non è solo una crisi economica e finanziaria, ma riguarda anche la sostenibilità della vita delle persone e del pianeta.Il 15-o saranno cinque mesi che migliaia, milioni, di persone sono scese in strada per affermare di non essere mercanzie nelle mani di politici e banchieri.
_ Le femministe sono state nelle piazze fin dall’inizio per denunciare che questa non è una semplice crisi economica e finanziaria, bensì una crisi che riguarda la sostenibilità della vita delle persone e del pianeta; che questo sistema si sostiene non solo grazie al nostro lavoro produttivo ma anche grazie al nostro lavoro domestico, riproduttivo e di cura delle persone.
Un lavoro reso invisibile, non pagato e sottovalutato, un lavoro che realizziamo soprattutto noi donne in tutto il mondo e per questo, come è successo alle nostre sorelle latinoamericane e africane, la gestione governativa della crisi ci colpirà doppiamente perché per ammortizzarne gli effetti dovremo sovraccaricarci di lavoro.

Il governo statale e quello catalano hanno affrontato la crisi rosicchiando i diritti di tutta la popolazione, e in particolare quelli delle donne, lesbiche transessuali e transgender.

La riforma del lavoro e della negoziazione collettiva hanno eliminato le misure per promuovere l’occupazione femminile e hanno sostenuto invece la nostra esclusione dal mercato del lavoro, la precarietà, la discriminazione e la diseguaglianza salariale, oltre a favorire gli abusi e le molestie lesbo/omofobiche nei posti di lavoro.

La riforma delle pensioni allungando ancora il periodo di contribuzione a cui molte di noi non arriveranno mai per i “buchi” nella storia lavorativa che derivano dalla maternità e/o dalla cura dei familiari, spinge le donne verso la dipendenza economica e verso la povertà,

Adesso si condonano alle donne due anni di contributi per la cura dei figli e delle figlie attribuendoci così in esclusiva questo compito, e le lavoratrici domestiche vengono incluse nella sicurezza sociale senza riconoscere loro il diritto alla disocupazione o il diritto di sciopero, la qual cosa riflette lo scarso valore che si dà al loro lavoro.

I governi affrontano la crisi erodendo i diritti delle donne e approfondendo le diseguaglianze di genere: è stato eliminato il ministero per l’eguaglianza che riceveva solo lo 0,02 delle risorse in bilancio ed è stata soppressa l’estensione dei permessi di paternità per gli uomini.

In Catalogna hanno cominciato con l’eliminare il Programma di prevenzione della violenza maschilista del Dipartimento degli interni e il Programma di promozione dell’eguaglianza di genere.
_ Poi con la “Legge Omnibus” sono stati eliminati posti di lavoro pubblici in settori come la sanità e la scuola, posti che tradizionalmente sono stati occupati dalle donne.

La privatizzazione occulta della sanità, la chiusura dei Caps (Centri di attenzione primaria) hanno allungato le liste di attesa e ci danneggeranno come utenti giacché le donne vivono più a lungo ma hanno maggiori problemi di salute e malattie croniche durante la vecchiaia.

Inoltre l’accesso all’aborto attraverso la sanità pubblica continuerà ad essere una corsa ad ostacoli: dovremo continuare a pagare per poter esercitare il diritto sul nostro corpo e quello ad una prestazione standard all’interno della sanità pubblica.
_ Anche le e i trasgender che vorranno accedere a trattamenti chirurgici o ormonali risentiranno dei tagli.

Inoltre lo smantellamento della sanità pubblica comporterà un aumento dei carichi di lavoro perché noi donne continuiamo ad essere le principali curatrici delle persone anziane o bisognose di una attenzione speciale: il nuovo regime di ospedalizzazione (ti operi e te ne vai a casa) comporterà un maggior carico di lavoro di cura per il recupero fisico, la chiusura dei centri di assistenza primaria si tradurrà in più tempo dedicato per accompagnare i propri familiari negli ambulatori, ovvero in meno tempo libero e di vita.

Ancora: i tagli per le famiglie e la scuola comporteranno maggior carico di lavoro per le donne con bambin* piccol*.
_ Il governo ha tagliato il 72% dei fondi al Dipartimento di benessere e famiglia, ha sospeso gli auti alle famiglie e con bambin* con meno di tre anni se hanno redditi superiori a 8.000 euro, e a quelle famiglie di migranti che vivono da meno di cinque anni in Catalogna.

Ancora: il Dipartimento dell’educazione ha abolito la sesta ora a scuola ed ha ridotto dell’11% le sovvenzioni agli asili nido, rendendo più difficile la conciliazione della vita personale, familiare e lavorativa delle famiglie, la qual cosa significa che queste funzioni finiscono per ricadere sulle donne.

L’eliminazione di quasi 17.000 posti da docente, obbligherà i e le mastr* ad organizzare classi di sostegno per i bambini e le bambine che hanno difficoltà al di fuori delle ore lettive il che propizierà la segregazione e l’esclusione sociale.

Si tratta di una vecchia ricetta: in tempi di crisi i governi lodano la famiglia tradizionale e spingono le donne verso la casa affinché si facciano carico di quei compiti che la società non riprtisce in maniera equa.
_ E castigano l’esclusione e la povertà: ad esempio la “Legge Omnibus” decreta la persecuzione delle donne che esercitano la prostituzione per le strade ora che le ordinanze civiche le hanno espulse da città come Barcellona.

Il Dipartimento del benessere sociale revocherà il Reddito minimo di inserimento (PIRMI) alla metà delle 35.000 persone che lo ricevono, tra le quali donne, che rappresentano il 58%, migranti, le famiglie monoparentali e altre persone in situazione di estrema vulnerabilità.

Tagliano le nostre vite mentre aumentano i meccanismi di controllo e repressione che servono per scatenare cacce alle streghe contro la dissidenza, come quella che il Ministro dell’interno che, fino ad oggi, ha detenuto e processato 22 attivist* del 22- M.

Come femministe, dalla diversità delle nostre posizioni, continuiamo e continueremo a stare per le strade perché sappiamo che senza noialtre non è possibile la ricoluzione, il cambiamento sociale e la sopravvivenza degli esseri che popolano questo pianeta.

Poiché pensiamo ad una organizzazione sociale alternativa, una organizzazione che unisce la giustizia sociale, di genere e Sud- Nord, e sappiamo lottare per i nostri diritti, noi difenderemo il nostro futuro.

Le crisi che scuotono il pianeta sono anche l’opportunità per costruire un nuovo sistema economico e sociale che metta al centro le persone.
_ Migliaia, milioni di persone la pensano come noi e sono passate dalla rabbia all’azione. Vi aspettiamo, unitevi!

– L’immagine è presa in prestito dal sito http://feministesindignades.blogspot.com/

– L’articolo originale, in catalano è sul sito [http://feministesindignades.blogspot.com/->http://feministesindignades.blogspot.com/2011/10/manifest-de-feministes-indignades-per.html]

Traduzione di Cristina Papa