articolo di  Rosanna Pirajno da Mezzocielo

Ester Cucinotti e Maria Cucinotti, attrici, nei ruoli di una madre e di una figlia

Ho lasciato il Levanzo Community Fest prima della sua conclusione di domenica 23 con un gran concerto, ma mi sono fermata in tempo per assistere alle prove generali di Storia di Giulietta, la mise en espace che Beatrice Monroy ha costruito dai racconti di storie di vita, tra cui quella del grande poeta tunisino Marius Scalesi morto sconosciuto alla Vignicella, presenti nel suo libro di qualche anno fa Ragazzo di razza incerta, edizioni La Meridiana.

Beatrice Monroy

E sono rimasta incantata ed emozionata, come il pubblico accorso alla rappresentazione della sera dopo. Al tramonto, in una minuscola spiaggetta di ciottoli bianchi lambiti dalla risacca, ho visto agire con profonda empatia Ester Cucinotti e Maria Cucinotti, attrici dalle antenne oltremodo sensibili perfette nei ruoli di una madre e di una figlia, la tredicenne Giulietta del titolo, nate e vissute a Tripoli ma ugualmente colpite dall’editto di Muammar Gheddafi che il 1° settembre del 1969 espelle dal Paese i ventimila italiani che vi risiedono, dal colpo di stato tramutati in “sfruttatori del popolo”.

Beatrice Monroy rende con una stringente tensione narrativa la ballata di una bambina che non si capacita del castigo piovuto addosso alla sua smilza famiglia, di quale grave colpa sia responsabile per venire privata dall’oggi al domani, lei nativa, della sua terra e di ogni bene di famiglia, degli amici con cui divideva giochi e lingua, dei suoi defunti anche in ritratto, della bellissima terrazza su cui “si spiaccicava per vedere le stelle”, della sua vita spensierata e serena per costringerla ad affrontare le incognite del “mare nero” mai prima attraversato, dei suoi abiti leggeri per indossare il cappotto di cui sconosceva l’esistenza, delle corse per le strade di una città che credeva le appartenesse e che dovrà abbandonare per sempre, senza ragione e perciò con più profondo dolore.

Sarà per lo scenario molto speciale, per i sommessi suoni della natura che accompagnavano le parole ora allegre ora straziate delle brave attrici Cucinotti, sarà che non trovi sbavature sentimental-rivendicative nel testo di Monroy, fatto sta che la storia di Giulietta cui ho assistito ha assunto per me spettatrice il ritmo di una ballata insieme dolente e gioiosa, la ballata di addio al piccolo mondo in cui era stata allevata e di speranza – ché quella non può proprio abbandonare la giovinezza seppur da profuga – nel mondo sconosciuto in cui la bambina verrà catapultata, al di là delle sue amate rive.

La Storia di Giulietta è stata prodotta dal Levanzo Community Fest per l’occasione, ma sarebbe un peccato se non avesse un proseguimento, se non si proponesse altrove, in strutture teatrali vere per un pubblico più vasto, se non avesse recensioni anche critiche sulla resa drammaturgica di un pezzetto di storia autentica di connazionali esiliati da un paese straniero di cui si sentivano parte, e un brutto giorno non più.

 

Giulietta, più nota con un nome non convenzionale, è una molto amata comune amica che da quando ha attraversato il “mare nero” risiede a Palermo.