Dal “welfare della parità” al “welfare materno”

Per dare maggiore consapevolezza e sostanza al nostro essere femministe oggi come IFE (Iniziativa Femminista Europea) abbiamo iniziato un percorso di analisi e ricerca sulle questioni legate al lavoro produttivo e di riproduzione sociale delle donne dopo trent’anni di modello neoliberista e nell’attuale crisi economica e sociale.Grazie ai dati raccolti abbiamo potuto notare sia l’aumento esponenziale in ogni parte del mondo di manodopera femminile sia l’intreccio, in particolare in Italia, fra la partecipazione delle donne all’attività produttiva e la presenza di una rete pubblica di servizi alla persona.

Nel nostro Paese, infatti, la {{ pessima “parità distributiva” fra i generi dei lavori di riproduzione sociale}} ( sto parlando di cibo cotto, vestiti puliti, casa in ordine ed anche di accudimento dei bambini e di assistenza alle persone più anziane del nucleo famigliare allargato ) e un sistema pubblico di servizi dal carattere esageratamente “familista” (non perché risponda ai reali bisogni delle famiglia ma perché fondato, ideologicamente, sulla “famiglia” intesa come utilizzo del “lavoro gratuito del genere femminile”) hanno condizionato e condizionano negativamente la possibilità per le donne di entrare, e restare, nel mondo del lavoro.

L’ odierna crisi economica e sociale che determina una diminuzione di posti di lavoro salariati e un’{{ulteriore diminuzione delle risorse pubbliche a favore delle politiche di welfare rischia di dare un colpo mortale all’autonomia economia delle donne}} ( condizione pregiudizionale per l’affermazione non solo formale del principio di eguaglianza fra generi e per più ampio processo di liberazione insieme individuale e collettiva).

Non è un caso che fu soprattutto il movimento delle donne negli anni ’70 a chiedere con determinazione la realizzazione di una rete pubblica di servizi per dare riconoscimento pubblico e promuovere la socializzazione concreta dell’educazione delle e dei bambini (asili nidi comunali, scuole pubbliche per l’infanzia, doposcuola, mensa scolastica, tempo pieno,…), del sostegno alle fragilità ( interventi a favore delle persone portatrici di handicap , di difficoltà relazionali, di dipendenze nocive…), del valore della maternità (congedi parentali, assegni di maternità, consultori,…).

Vi è da dire che, in Italia, la {{costruzione di un sistema pubblico di servizi alla persona}} ha risentito fortemente di due limiti per così dire “strutturali”, fra loro intrecciati.
_ Il primo ,a cui ho già accennato, è l’approccio “familista” cioè il retropensiero secondo cui il lavoro gratuito delle donne avrebbe potuto (dovuto?) supplire alle mancanze, o alle carenze, dei servizi pubblici. Il secondo riguarda il fatto che che tutti questi servizi sono stati da sempre ritenuti afferenti , genericamente, all’”assistenza sociale” e quindi considerati “diritti soggettivi” ([art. 38 della Costituzione->http://www.senato.it/istituzione/29375/131289/131314/131318/articolo.htm]) ma non universali (come invece è quello alla salute, [art. 32->http://www.senato.it/istituzione/29375/131289/131307/131311/articolo.htm]).

Da ciò dipende la{{ condizione “precaria” dei servizi alla persona }} (“servizi a domanda individuale” ) costantemente in balia della disponibilità finanziarie e delle scelte politiche di questo o quel governo.
Va detto che la[ legge 328 del 2000->http://www.solideadonne.org/pdf/legislazione/scheda_legge_328_2000.pdf] (la così detta legge Turco) ha cercato di dare una migliore “struttura” alla rete pubblica dei servizi (in particolare con l’istituzione del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, FNPS e della pratica “Piano di Zona”) ma le troppe “compatibilità” (ideologiche,politiche ed economiche) di cui ha voluto tener conto l’hanno resa non sufficiente.

Dentro questo quadro il modello neoliberista , prima, e la crisi economica, ora, rischiano di cancellare del tutto il sitema pubblico di servizi e, di conseguenza, di peggiorare ulteriormente la qualità della vita di tutte/i ed in particolare delle donne.

Nel [Disegno di legge di stabilità 2011->http://www.camera.it/126?PDL=3778&leg=16&tab=6&stralcio=&navette=] e del [Bilancio di previsione dello Stato->http://def.finanze.it/DocTribFrontend/decodeurn?urn=urn:doctrib::L:2010-12-13;221] 2011 è, infatti, previasto il fortissimo ridimensionamento dei fondi statali di carattere sociale che potrebbe segnare la fine di importanti politiche socio assistenziali . Alcuni esempi.

Vengono drasticamente ridotte le risorse del FNPS, che rappresenta un’importante fonte di finanziamento statale degli interventi di assistenza e contribuisce in misura significativa al finanziamento della rete integrata dei servizi sociali territoriali attraverso la ripartizione di quote tra le Regioni e i Comuni (e quindi alle e ai cittadini)

Nel 2008 le risorse del Fondo, previste dagli stanziamenti di bilancio, dedicate ai diritti soggettivi erano circa 940 milioni di euro. Nel biennio successivo il governo Berlusconi li ha quasi dimezzati arrivando a stanziarne solo 430 milioni.
_ Per il 2011 praticamente il FNPS viene smantellato perché si prevede uno stanziamento di circa 75 milioni, quindi una dimunuzione dell’82% rispetto al 2010). Non è un caso che le Regioni abbiamo denunciato il possibile azzeramento delle risorse loro destinate perché è ben evidente che la risibile somma messa a bilancio per il Fondo servirà a malapena a coprire le spese centrali.

Un azzeramento che se confermato avrebbe come ricaduta possibile l’eliminazione del carattere pubblico del sistema dei servizi alla persona.
Rinvio ad una [tabella ->http://antoniomisiani.myblog.it/media/02/02/1177770756.pdf]( tratta da un articolo di Antonio Misiani) che ben rende la situazione.

Nel nostra lavoro di ricerca, grazie all’elaborazione della sociologa Alessandra Vincenti, abbiamo messo in conto la possibilità che il sistema di welfare possa trasformarsi da “welfare della parità” a “welfare materno”.
_ Un “{{welfare materno}}” sostenuto dalla ricostruzione di un “ordine sociale” che riattribuisce ai due sessi ruoli specifici e stereotipati e da un contrattacco regressivo che si struttura su un familismo mai superato e sulla enfatizzazione della “comunità” per eliminare del tutto la natura e la funzione delle istituzioni pubbliche.

La riduzione di finanziamenti prevista nella manovra di bilancio (-86,1% tra il 2008 e il 2011) purtroppo rende possibilissime tali ipotesi e ci induce a continuare nel nostro lavoro di analisi e di ricerca per non rassegnarci all’esistente.

Dal “welfare della parità” al “welfare materno”

“Differenti ma non diseguali” la giornata di studio, di sabato 24 aprile 2010, su “lavoro,welfare,uguaglianza” organizzata dal Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bergamo e da IFE Italia (Iniziativa femminista europea) è stata interessante e partecipata.Per IFE la scelta di interrogarsi e confrontarsi su questi temi non è casuale dato che IFE Italia (Iniziativa femminista europea) vuole rappresentare un femminismo che continua ad analizzare i due sistemi di potere che governano il mondo (quello patriarcale e quello capitalista) considerandone tutte le connessioni e le contraddizioni (genere/classe/ fenomenimigratori/orientamento sessuale, eguaglianza/differenza, emancipazione/liberazione).

Per questo ci è apparso necessario indagare meglio e di più le questioni relative al lavoro e al sistema di welfare pubblico e le conseguenti ricadute sull’assetto democratico.

Per le donne il{{ lavoro}}, nella condizioni in cui è stato offerto nella globalizzazione neoliberista e nelle caratteristiche dell’odierna crisi economica, {{non sa più essere la soluzione di un problema}} (la ricerca di un’autonomia personale ed economica) ma {{diventa esso stesso un problema}} ( precarietà,instabilità, insicurezza).

Con un aggravante in più: il permanere delle diseguaglianze “tradizionali” (salari, professioni, carriere) fra donne e uomini fa sì che “non è vero che le donne sono seconde in tutto, nel lavoro sono più precarie dei maschi”.

{{La precarietà del lavoro}} agisce anche su un piano simbolico. Nel secolo scorso il lavoro salariato, pur se segnato dall’alienazione imposta dal capitale, ha avuto un forte valore sociale consentendo la costruzione di soggettività critiche, individuali e collettive.

{{L’ingresso delle donne nel mondo del lavoro}} (dalla rivoluzione industriale in poi) ha incrinato, poi, il potere patriarcale perché ha consentito la messa in discussione del rapporto fra i sessi e la divisione sessuata del lavoro (la “produzione” agli uomini e la “riproduzione” alle donne).
_ {{Il lavoro esterno alla casa e alla famiglia}} ha determinato, per le donne, un processo di emancipazione che ne ha favorito l’autonomia personale ed economica ed ha svelato le gerarchie di potere che agiscono nella relazione donna/uomo, all’interno della famiglia , del corpo sociale e nei rapporti di produzione.

Il processo di precarizzazione del lavoro ha facilitato la decostruzione dei sistemi pubblici di welfare che seppur segnati, in particolare in Italia, da una forte impronta familistica avevano comunque alluso ad una possibile socializzazione del lavoro riproduttivo.
_ L’{{intreccio fra i processi di precarizzazione del lavoro e della vita}} hanno svuotato il principio costituzionale di uguaglianza (per le donne scarsamente realizzato nella sostanza) ed hanno avuto ricadute significative sull’assetto democratico: {{oggi sull’uguaglianza prevale il privilegio}} che costruisce una società asimmetrica, escludente, ingiusta e violenta dove vincono l’identificazione con i vincenti e i sentimenti di invidia, disagio, insicurezza e paura.

Ciò crea terreno fertile alla {{riproposizione dell’ordine simbolico patriarcale}} e un conseguente declino di laicità che rinvigoriscono i “tradizionali” stereotipi femminili. Senza uguaglianza quindi l’unica differenza riconosciuta alle donne è quella imposta dallo stereotipo patriarcale.

La giornata di studio ha consentito a queste tracce di pensiero di arricchirsi di spessore analitico.

Tutte le relatrici presenti (Mariagrazia Campari, Lidia Cirillo, Lidia Menapace, Giovanna Vertova, Alessandra Vincenti) hanno messo in luce il {{processo di femminilizzazione del lavoro}} (inteso sia come aumento quantitativo di manodopera femminile che come generalizzazione della precarietà delle modalità di accesso e di permanenza al lavoro per decenni prerogativa delle donne) ed analizzato l’{{intreccio genere-classe nell’odierna crisi economica}}.

Ne è emersa una {{realtà complessa e a volte contradditoria che induce ad evitare due tendenze speculari ed ugualmente perniciose}}: il miope trionfalismo di chi considera acriticamente positivo l’aumento della manodopera femminile e il cupo pessimismo di chi, in questo aumento, non vede altro che oppressione e sfruttamento.

Una delle condizioni per evitare queste due tendenze è quella di non rimuovere il conflitto {{svelando i rapporti di potere che si celano sia nella dimensione del genere che in quella della classe}}.

Del resto tali rapporti di potere sono ben visibili, in particolare nella {{decostruzione del sistema pubblico di protezione sociale che si trasforma da “welfare della parità” in “welfare materno”}}, perché sostenuto dalla ricostruzione di un “ordine sociale di genere” che riattribuisce ai due sessi ruoli specifici e stereotipati.

Un processo di regressione e un contrattacco conservatore che si strutturano su un familismo mai superato e sulla enfatizzazione della “comunità” (assunta come realtà “omogenea” perché si finge di non vedere i rapporti di potere che la governano e le differenze che la attraversano) per eliminare del tutto la natura e la funzione delle istituzioni pubbliche.

Anche questo {{processo di decostruzione del “pubblico”}} contribuisce ad erodere, se non a tradire, la Costituzione repubblicana i cui principi vengono continuamente calpestati a tutto danno dell’assetto democratico del nostro Paese.
_ Del resto basta osservare la solitudine delle lavoratrici e dei lavoratori che scelgono forme di lotta disperate per capire uno dei “perché” strutturali dell’erosione e del tradimento : se nei luoghi di lavoro scompare il conflitto (e quindi lo svelamento dei rapporti di potere e i loro intrecci, a partire dalla divisione sessuata del lavoro) e viene a mancare una valida resistenza collettiva organizzata la rappresentanza si svuota e la democrazia declina nella società intera.

Analisi interessanti la cui complessità ci costringe a continuare il nostro lavoro di ricerca e di iniziativa (stiamo pensando ad una seconda occasione di confronto).
_ Sostenuti da una domanda suggestiva che ci invita ad un pensiero che fa disordine: non è che ci sia bisogno di uscire dal capitalismo per poter uscire dalla sua crisi?

– {immagine tratta dal sito http://blogs.courant.com/susan_campbell/}

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