donna-storiaSettant’anni dal diritto di voto alle donne, in ritardo rispetto ad altri Paesi avanzati, dopo non poche lotte. 70 anni di battaglie delle donne. Niente è stato regalato, tutto è stato conquistato, a partire dal diritto di voto. Le donne italiane hanno sempre dovuto combattere per i propri diritti.

Il debutto in politica 

Nel 1946 tantissime vanno a votare nonostante l’ironia dei giornali, e gli stereotipi imperanti. Le donne ottengono un diritto e imparano subito ad esercitarlo. Le elette all’Assemblea Costituente sono poche, 21, solo il 3,7%. Madri costituenti, donne eccezionali, è a loro che dobbiamo i migliori articoli sull’uguaglianza e sono loro che festeggiano con strette di mano trasversali il passaggio dell’art. 11 della Costituzione sul ripudio della guerra. Sono poche e rimarranno poche per tanti anni. La quota di donne alla Camera addirittura scende, fino ad arrivare sotto il 3% nel 1968, nel 1992 siamo ancora all’8,4%.

È dal 2006, negli ultimi 10 anni, che i dati cominciano a muoversi, fino al 30% dell’attuale legislatura, al 40% del Parlamento europeo (grazie alla tripla preferenza di genere) e al 50% nel numero dei ministri nominati dal governo Renzi. Nel 2016 si approva alla Camera la doppia preferenza di genere, ma ancora bisogna attenderne l’applicazione generale in tutte le regioni.

Le prime donne al lavoro 

È questa la nostra storia, nel 1948 la Costituzione repubblicana estende alle donne il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza a tutti gli uffici pubblici e alle cariche elettive ma purtroppo solo sul piano formale la parità viene sancita. Devono passare trenta anni per arrivare ad avere una donna ministro, Tina Anselmi nel 1976, e anche la prima donna ordinaria di Economia, Maria Teresa Salvemini nel 1974. Dobbiamo arrivare al 1979 per avere Nilde Iotti Presidente della Camera, preceduta nel 1963 da Marisa Rodano, prima donna vice presidente della Camera. E poi altri 20 anni per avere la prima donna giudice costituzionale, Fernanda Contri, nel 1996, divenuta solo nel 2005 prima donna vice presidente della Corte (fino ad oggi nessuna donna presidente né del Senato, né della Repubblica, né della Corte Costituzionale). E sempre nel 1996 la prima Ministra delle pari Opportunità Anna Finocchiaro seguita da tante ministre tutte molto determinate, ma anche spesso non adeguatamente ascoltate nelle compagini governative. Tutto estremamente lento.

È vero che negli Anni 50 e 60 cominciano a svilupparsi alcune importanti norme sulla tutela della lavoratrice madre, il divieto di licenziamento durante la gestazione, l’astensione obbligatoria prima e dopo il parto. È vero che dal 1963 la legge ammette la donna a tutte le cariche, professioni o impieghi pubblici (compresa la magistratura) in vari ruoli, carriere e categorie, e rinvia a un ulteriore provvedimento solo per le forze armate e i corpi speciali. Ma ciò è stato preceduto nel 1958 dalla decisione di Rosanna Oliva di non abbassare la testa di fronte alle discriminazioni, di non subire l’esclusione dalla possibilità di partecipare al concorso per la carriera prefettizia e di fare ricorso. Nel 1960 il ricorso si conclude con la sentenza della Corte Costituzionale che apre alle donne la carriera prefettizia e quella diplomatica. C’è voluta una donna determinata, come è tuttora, instancabile nel lavoro della Rete per la parità, per ottenere l’applicazione della Costituzione. È paradossale. Perché in quella occasione la stessa Corte non ha eliminato tutte le barriere? Perché gli stessi uomini, se non in rari casi, non hanno individuato in questa discriminazione un vulnus della nostra democrazia? Parità formale versus parità sostanziale, questo è il problema. E dovremo aspettare addirittura il 1999 per l’ingresso delle donne nella carriera militare.

La svolta è dentro casa 

La vita delle donne in tutti questi anni si è configurata come un percorso ad ostacoli. Una lotta permanente contro stereotipi, difficoltà di conciliazione dei tempi di vita, mancanza di condivisione delle responsabilità familiari, ostacoli all’accesso e alla permanenza nel mercato del lavoro, differenze salariali, violenza di genere, grandi difficoltà a rompere il «soffitto di cristallo» e grande facilità anche dopo averlo rotto a ritornare indietro. Molti traguardi sono stati raggiunti, ma dobbiamo dircelo, se non ci fosse stato il movimento delle donne e anche la testardaggine e la determinazione di molte di esse, spesso non conosciute, non staremmo a questo punto. Nel corso di questi anni abbiamo avuto molte leggi importanti, anche più avanzate di altri Paesi, ma spesso in ritardo, oppure inapplicate. È così che dobbiamo arrivare agli Anni 70 per avere leggi di grande rilevanza sociale, come quella sui nidi del 1971, sul diritto di famiglia, e sui consultori del 1975, sulla parità salariale del 1977. La donna coniugata diventa soggetto con pari dignità sociale del coniuge e vengono realizzati i precetti costituzionali degli art. 3 e 29 della Costituzione. Possibile trenta anni dopo la nostra Costituzione?

E anche qui non a caso ciò avviene negli anni delle grandi mobilitazioni di massa, un grande risultato del movimento delle donne, dell’associazionismo femminile in senso lato, sia quello che si batteva specificamente per questi obiettivi sia quello femminista protagonista di una stagione di grande sviluppo della libertà femminile. La legge sul divorzio, confermata dal referendum popolare, sancisce la superiorità dell’amore nelle relazioni tra coniugi, tutelando nel contempo il coniuge più vulnerabile. Il movimento delle donne ottiene anche la legge sulla interruzione di gravidanza nel 1978. Dopo gli Anni 70 dobbiamo arrivare al 1997 perché si sviluppi un approccio innovativo ai servizi per l’infanzia, con la legge 285, e i congedi parentali come strumento di conciliazione e anche per l’avvio della legge 328 sull’assistenza. Gli Anni 90 sono importanti anche per la legge sulla violenza contro le donne (1996) che trasforma questo tipo di abusi da reato contro la morale a reato contro la persona, sulla base di una grande alleanza trasversale delle donne dei partiti. Una grande lezione su come è possibile raggiungere i migliori traguardi, ripresa nell’esperienza della legge sulla presenza delle donne nei cda delle imprese, la Legge Golfo Mosca del 2011 passata solo per la grande determinazione e ostinazione delle donne parlamentari e non che dovettero contrastare forti pressioni da parte maschile.

Quelle leggi inapplicate 

I grandi traguardi sono frutto delle nostre lotte e della capacità di essere unite, ma non sono bastati a sanare la distanza tra norma e applicazione della stessa. Abbiamo una legge molto attenta alla maternità che prevede un periodo lungo di congedo obbligatorio ma poi si è sviluppato per anni il fenomeno sommerso delle dimissioni in bianco, ora speriamo bloccato con le nuove norme. Abbiamo la parità salariale ma de facto la differenza salariale a favore degli uomini continua ad essere elevata. Abbiamo la legge sui consultori ma nei fatti sono pochi e non sono sufficientemente finanziati. Abbiamo la legge sulla violenza contro le donne, sull’allontanamento del coniuge e sullo stalking, ma anche qui l’applicazione trova spesso ritardi. Abbiamo la legge sull’aborto ma l’obiezione di coscienza molto elevata ed altri fattori rendono difficile la sua attuazione.

Durante questi decenni diverse generazioni si sono succedute, le donne sono cambiate, hanno spinto per il cambiamento, hanno vissuto una vera e propria rivoluzione nell’istruzione, è cambiata l’identità femminile, le donne vogliono realizzarsi su tutti i piani, nel lavoro hanno spesso responsabilità di grande rilevanza, spesso sono anche più affidabili e scrupolose, meno inclini degli uomini alla corruzione e al malaffare, ma quando si tratta di assegnare cariche dirigenziali si continuano a privilegiare gli uomini, a discapito di criteri di merito. Portare le donne in una posizione di effettiva parità, sostanziale e non formale, non è solo necessario per equipararci ai Paesi più avanzati e civili e alla grande maggioranza di quelli europei, ma è un passaggio cruciale e decisivo per lo stesso sviluppo del nostro Paese, in campo economico, civile e sociale, e richiede forzature, perché, in genere, non si rinuncia di buon grado ad una posizione di privilegio acquisito. Richiede ancora una volta l’impegno e la mobilitazione delle donne. Ma servono anche gli uomini. Moltissimi uomini sono consapevoli e disponibili a questa grande sfida di progresso che va definitivamente affrontata e risolta.

L’appello agli uomini 

Le giovani donne italiane hanno in gran parte usufruito di conquiste fatte dalle donne delle generazioni precedenti e danno per scontato che la parità sia ormai acquisita una volta per sempre. Così non è purtroppo e se ne accorgono nel momento in cui escono dal sistema formativo. È necessario che sorga una nuova coscienza e un nuovo protagonismo sociale e politico delle donne italiane, perché senza questa spinta non sarà possibile muovere passi decisivi. Le donne sono una grande risorsa di questo Paese e vogliono contare per quello che meritano. Basta con posizioni di privilegio maschile acquisito, vogliamo potercela giocare su tutti i campi, non ultimo, quello politico. Dipende in primis da noi se ce la potremo fare, come la storia di questi 70 anni dimostra. Ma è ora che anche gli uomini si uniscano su questi obiettivi. Anche da questo dipende l’avvenire civile ed economico dell’Italia. Ed io sono convinta che ce la faremo. Chiudo con un’immagine altamente simbolica durante la votazione per il Presidente della Repubblica, con due donne che presiedono il Parlamento: Valeria Fedeli e Laura Boldrini. Mi sono emozionata, era bellissimo, ho mandato loro un messaggino.

Questo l’articolo di Linda Laura Sabbadini uscito il 2 giugno su La Stampa e segnalatoci da GIO (Osservatorio Interuniversitario di genere visita il nostro sito http://www.giobs.it/contatti.html)