CatturaLa vicenda dei e delle migranti transitant* a Roma può essere raccontata con le parole di C H un  ragazzo di ventidue anni eritreo: «Da quando sono a Roma dormo in strada, sotto la pioggia. Qualche volta arriva la polizia e mi caccia via. Sono sopravvissuto alla violenza, al viaggio nel deserto e a quello in mare, e proprio ora che pensavo d’esser salvo mi dicono di andarmene perfino da quest’angolo di marciapiede». Ma non c’è solo questo, c’è anche la straordinaria esperienza di accoglienza autogestita da Baobab Experience e Medici per i diritti umani a via Cupa, nutrita dalla ribellione quotidiana poco visibile di cittadini, associazioni, spazi sociali… perfino di Bergoglio.

Articolo di Maria Ilaria de Bonis*

«Da quando sono a Roma dormo in strada, sotto la pioggia. Qualche volta arriva la polizia e mi caccia via. Sono sopravvissuto alla violenza, al viaggio nel deserto e a quello in mare, e proprio ora che pensavo d’esser salvo mi dicono di andarmene perfino da quest’angolo di marciapiede».

È la storia di C.H., ventidue anni, raccolta da Medu, Medici per i diritti umani, a Roma. C.H. è partito dall’Eritrea nel 2011 ed è giunto in Italia solo nel 2016, dopo anni di peripezie e permanenze forzate in Israele, Uganda, Sud Sudan e Libia.

Finalmente a Roma nel settembre dello scorso, è approdato a via Cupa, dove è stato accolto dai volontari del Baobab. Ma il suo sogno è arrivare al nord: forse in Inghilterra, o in Germania.

I viaggi dei migranti in transito, attraverso le difficili rotte migratorie sub-sahariane, sono odissee infinite ai limiti della sopravvivenza. Arrivati nella nostra capitale li aspetta il nulla, però: il rifiuto delle istituzioni capitoline di accoglierli è imbarazzante (dopo mesi di proteste e di autogestione dell’accoglienza dei cittadini intorno al Baobab experience, l’assessora alle politiche sociali del Comune di Roma, Laura Baldassarre, nei giorni scorso ha detto per i migranti transitanti sarà disponibile a giugno l’ex albergo dei ferrotranvieri alla stazione Tiburtina, ndr).

Non hanno lo status ufficiale di rifugiati e non sono neanche richiedenti asilo. Semplicemente perché non hanno intenzione di rimanere in Italia. E per la legge non esistono.

Nel 2014 su 170mila persone approdate sulle coste italiane, appena 63mila hanno fatto richiesta d’asilo. Ma questo non li sminuisce in quanto persone che portano ancora addosso i segni visibili di anni di privazioni e ferite esistenziali. Sono salvi, ma hanno bisogno di chi si accorga delle loro torture psichiche e fisiche.

Quest’anno più volte papa Francesco ha fatto sentire la propria vicinanza agli uomini e alle donne “invisibili”: la sua presenza si è materializzata sotto forma di enormi piatti di riso e buonissime insalate. Coperte e sacchi a pelo per la notte. A farli recapitare ai migranti era lo staff dell’elemosiniere del Vaticano, padre Konrad. Che arrivava in via Cupa al calar del sole col suo seguito di suore polacche. Il gesto della Chiesa si univa così a quello del movimentismo laico: due mondi che hanno trovato un ottimo canale di comunicazione.

La politica invece non ha intenzione di cedere al criterio della carità. Né tanto meno a quello del rispetto dei diritti umani.

Medu (la onlus che assiste i miranti dal punto di vista sanitario, psichico, umanitario) denuncia che così «si delinea una vera e propria omissione di soccorso».

«Da quando esiste il fenomeno dei migranti in transito (due anni almeno) – scrivono – abbiamo troppe volte assistito a Roma ad interventi emergenziali “spot” da parte delle amministrazioni che si sono succedute a cui non è mai seguita alcuna seria programmazione strategica per gestire un problema umanitario così rilevante».

L’ultimo report Medu del dicembre 2016 (Esodi, rotte migratorie dai paesi sub-sahariani all’Europa) mette insieme le storie, traccia le rotte migratorie, decifra le mappe e delinea il fenomeno.
Si stima che in tutto il 2015 oltre 30mila persone siano passate da Roma dirette in Nord Europa (in particolar modo in Germania e Paesi scandinavi), il 95 per cento di queste vengono dall’Eritrea, ma anche dal Gambia e dalla Nigeria.

Anche solo consentire a questi coraggiosi migranti di accamparsi dentro spazi gestiti dai volontari, come il famoso ex Baobab (sgombrato da via Cupa e finito alla stazione Tiburtina), sarebbe un segno di umanità. Ma a Roma non succede. Dopo l’ennesimo sgombero delle tende, a novembre scorso, il Comune ha trovato una temporanea soluzione: trasferire ottanta persone alla volta nel Centro di accoglienza di Via del Frantoio sulla Tiburtina.

«Ma non è abbastanza capiente. E la soluzione è solo temporanea», protestano. Baobab Experience invece è diventato un fenomeno di solidarietà dal basso e la sinergia con il camper di Medu, una clinica mobile per i migranti, ha creato un modello: le decine di volontari di ogni età sono ben organizzati.

La loro dedizione ai ragazzi sbarcati in Italia e arrivati a Roma è la parte sana di una capitale che non sopporta più l’indifferenza. I giovani africani vengono ascoltati, accolti, protetti.

Si organizzano per loro piccoli tour di Roma; si lanciano gare di solidarietà per la raccolta di abiti, sacchi a pelo, medicinali, cibo. Soprattutto si condivide la strada: «I ragazzi vengono al Baobab non solo per un piatto caldo ma perché qui trovano amicizia e calore», dice uno dei volontari. Roma così è rinata. E forse ha salvato se stessa.

Tratta dalla pagina fb di Baobab Experience