Lacunae , una raccolta di cento brevi poesie pubblicata dall’editore Farrar, Straus and Giroux e inserita da NPR (National Public Radio) fra i migliori libri usciti negli Stati Uniti nel 2016, è il volume d’esordio dello statunitense Daniel Nadler. Trentaquattro anni, due lauree in economia ad Harvard, fondatore e amministratore delegato di Kensho, azienda leader della tecnofinanza che fa analisi e previsioni di mercato con sistemi di intelligenza artificiale all’avanguardia, Nadler è direttore di un centro per la ricerca tecno-finanziaria alla Stanford University, editorialista per una rivista economica e poeta. Abitare contemporaneamente mondi così distanti come la scrittura in versi, Wall Street e la Silicon Valley rende Nadler il prototipo di una nuova generazione di scrittori che la crisi economica ha obbligato ad allontanarsi dalle poco remunerate professioni umanistiche. Se il poeta-manager, come Wallace Stevens, o scienziato, come William Carlos Williams e Primo Levi, era un’eccezione, la corsa verso gli studi economici per assicurarsi un posto di lavoro avvia ora un dialogo intenso fra linguaggi diversi.

Nadler vede il punto d’incontro fra poesia e tecnofinanza proprio nell’uso analogo che poeti e tecnologi digitali fanno della lingua per rendere visibili ‘visioni’ e immagini pre-verbali e immaginare quel che ancora non esiste. Il tempo di Nadler è dunque diviso fra scrittura in versi e scrittura tecno-finanziaria, codici che si nutrono a vicenda e vivono in un conflitto storico permanente da cui nasce arte e innovazione tecnologica, come ci racconta in questa intervista condotta per email.

Il sottotitolo del tuo primo libro – 100 Imagined Ancient Love Poems – è quel che rimane dell’idea originaria con cui avevi concepito queste poesie immaginando che fossero ‘traduzioni’ di liriche in lingua sanscrita, in tamil antico e in pracrito dello stato di Maharastri. Le prime pubblicazioni riportavano addirittura la loro ‘appartenenza’ a testi medievali della lirica indiana d’amore come l’Amurasataka o Centuria d’amore, l’antologia SattasaĪ e l’ancor più antica raccolta di poesie d’amore in lingua tamil Kuruntokai . Puoi dirci qualcosa di questo progetto e della genesi del libro?

L’idea originaria di una ‘traduzione’ di testi recuperati era una strategia per sentirmi libero di scrivere senza avere la sensazione di schiacciato dal peso della tradizione e dall’inevitabile tendenza dei moderni ad affrontare un testo in termini di allusioni e fonti letterarie. Quel che è bello quando leggiamo un testo antico è che, se incontriamo un elemento naturale, per esempio una rosa, pensiamo subito a una rosa, senza alcun riferimento a Shakespeare. Trovo che leggere in questo modo sia molto liberatorio, e mi piacerebbe che anche i miei versi venissero letti così. Quell’idea iniziale, che alla fine ho abbandonato, era stata concepita come una sorta di guida per il lettore perché le mie poesie venissero lette in modo a-storico. È così che io ho vissuto la scrittura.

Perché collocare i tuoi finti ‘originali’ nella tradizione lirica indiana? Hai fatto studi specifici in questo campo?

Stavo allora leggendo e studiando testi indiani antichi, e sono sempre stato affascinato dall’antica civiltà classica dell’India anche perché la Valle dell’Indo è uno dei luoghi in cui è nata la civiltà moderna. Perciò tornare all’India di quel periodo è come tornare alle origini di tutto ciò che vediamo intorno a noi oggi. Avrei ugualmente potuto immaginare ‘traduzioni’ da un testo egiziano antico. Il punto non era tanto l’India classica quanto il momento in cui la storia umana ha preso avvio.

Tornando al titolo del libro, ‘lacuna/lacunae’ è un termine usato in filologia per testi che ci sono pervenuti in forma corrotta; il filologo avanza ipotesi per restaurarli o interpretarli nel modo più corretto possibile. Anche il tuo libro è un tentativo di ricostruire o recuperare qualcosa che manca o è andata perduta nel mondo di oggi?

Esattamente. Il titolo si riferisce anche a qualcosa che manca nella vita contemporanea, cioè la capacità di incontrare in modo facile e diretto i fenomeni naturali, liberati dal peso del simbolismo e della storia.

La tecnologia ci sta trasformando in cyborg e, come tu sostieni, saremo sempre meno in grado di usare la memoria affidandoci sempre più a strumenti esterni al nostro corpo. Come economista e protagonista d’avanguardia della tecno-finanza che opera nel campo dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale, non è forse contraddittoria la tua pretesa di scrivere da una prospettiva pre-storica? La tecnologia più all’avanguardia, che la tua stessa azienda produce, non è forse innovativa e distruttiva allo stesso tempo?

Nella futuristica società tecno-centrica in cui viviamo ogni forma di scrittura – figuriamoci poi la poesia – è in pratica una forma di ribellione. L’osservazione è giusta, ma naturalmente c’è ironia e una dialettica fra i diversi fili della mia vita: da un lato costruisco e, spero, faccio fare progressi proprio alle tecnologie che stanno così alterando l’esperienza umana; dall’altro, di notte o la mattina, in segreto, furtivamente, mi ribello a questa parte della mia vita con la poesia, uno dei nostri primi e più antichi strumenti, usandola per cercare una nuova àncora per la mia mente e la mia esperienza della natura, così alterata dalla tecnologia. In superficie è una contraddizione, ma, da quel che so, chi studia la creatività afferma che essa scaturisce sempre da una qualche contraddizione o tensione all’interno di un individuo.

Jaron Lanier, uno dei padri della realtà virtuale, ha scritto che lui e i suoi colleghi intendevano rendere il mondo più creativo, espressivo e interessante – non sottrarsi al mondo. Una generazione dopo, quando la cultura cibernetica sembra essere una nuova religione, e la comunicazione virtuale ha preso il sopravvento, la poesia e la finzione pre-tecnologica sono il tuo modo di reagire al conflitto fra mondo digitale e individualità? Torno al punto sollevato nella domanda 4, alla contraddizione…

Non credo che si tratti di una ‘reazione’ perché non mi interessa fare dichiarazioni, tanto meno dichiarazioni politiche. La poesia, almeno per me, è un atto essenzialmente solitario. Se ho una particolare prospettiva, diciamo quella che descrivi tu, è perché sono coinvolto in una forma di sperimentazione cognitiva di me stesso, e perché la strategia giusta per me, o lo strumento o la tecnica in quel preciso momento della mia vita è una qualche contraddizione, questo o quello partendo da uno certo presupposto. Penso che stiamo vivendo in un Brave New World, un mondo nuovo e straordinario, ma credo che ognuno di noi dovrebbe elaborare un proprio modo di venire a patti con la tecnologia e tentare di far quadrare tutte le cose meravigliose che la tecnologia ci dà con tutti i rischi che comporta e con tutte le cose che minaccia di farci perdere.

Per tornare all’impostazione a-storica della tua scrittura, pensi che sia veramente possibile recuperare una lingua ‘pura’ come se Omero, Dante o Shakespeare non fossero esistiti? Viviamo nella dimensione temporale e la lingua poetica, come ha scritto Joseph Brodsky, è “una vecchia signora con un immenso pedigree”. Potresti approfondire questo punto?

È difficile, come tutto ciò che valga la pena di fare, ma se guardi, per esempio, al Buddismo Zen, qui sicuramente c’è la convinzione che un essere umano, con la meditazione e altre pratiche, può aprirsi un varco attraverso tutti gli strati dell’intermediazione e del simbolismo, perfino attraverso il pensiero stesso, e rapportarsi direttamente ai fenomeni naturali. Credo di essere sempre stato attratto da questa speranza, e essenzialmente dai filosofi Zen. È soltanto una questione di preferenza e di quel che è giusto per te. Per me, lavorare con questo obiettivo, per quanto visionario possa sembrare, è il miglior modo per rendere concreto il mio temperamento e il mio spirito, preferibile all’immergersi nello studio e nel simbolismo che attraversa la storia e sta fra la natura e la nostra percezione di essa.

Ti ricordi del momento preciso in cui hai deciso di diventare poeta?

Non penso di aver preso questa decisione come di solito si fa quando si decide di dedicarsi a qualcosa. Quando ero molto giovane, forse nella prima adolescenza, ricordo di aver sentito delle melodie in testa, melodie che mi venivano dalla musica che ascoltavo e melodie che non riconoscevo; ricordo di aver voluto aggiungere delle parole a quelle melodie, alla musica che avevo in testa. Così ho preso carta e penna e ho cominciato a farlo. Poi, con la pratica sono migliorato. Né più né meno mistico di così.

Chi sono i poeti americani o di altre letterature che ti hanno maggiormente influenzato, o dai quali hai imparato di più?

Pablo Neruda, Wallace Stevens, Shakespeare.

Ci sono molte voci nelle tue poesie – di amanti, fratelli, sorelle, genitori – che attraversano luoghi diversi e stagioni diverse. È un libro corale?

La voce è sempre la mia in qualche modo. Guido questi personaggi antichi che abitano la mia immaginazione – uomini, donne, bambini, nonni, ragazze, ragazzi che vivono in un tempo e in luogo molto più semplici (diciamo, ad esempio, in un antico villaggio di pescatori lungo una costa, o nei suoi dintorni), in un mondo senza tecnologia, senza internet, senza strutture economiche e politiche complesse. In un mondo così, l’amore è la cosa più vistosa. L’esplorazione di quel mondo è stata la mia strada per sperimentare verità fondamentali sull’amore e sui rapporti umani.

Mi colpisce l’economia linguistica e la semplicità delle immagini che usi – pochi animali che appaiono e scompaiono, alcune piante, pesci, semplici paesaggi diurni o notturni che si stendono intorno a fiumi, mare e sabbia, fiori e frutta comuni – come se tu avessi solo quel tanto, una tastiera con pochi tasti per essere costretto a spingerti oltre quei limiti…il risultato è suggestivo. Come è avvenuto? Ti sei dato delle regole?

Non mi sono dato delle regole formali, oltre al fatto che il libro si doveva svolgere in un mondo antico, ai primi stadi della civiltà. Questa premessa in qualche modo determina il resto, quei limiti che hai notato sulla mia tavolozza. Come dicevo, sono affascinato dalla filosofia Zen, e dall’estetica giapponese in generale, dove è centrale e profondo il concetto che attraverso il rigore e i limiti si ottiene una variazione e una fioritura maggiore di quanto non si possa con l’eccesso. L’evoluzione biologica ne è certamente una testimonianza. Il controllo linguistico non è diverso.

La poesia “On maps the sea carries color” sembra una chiave per la lettura del tuo libro. Le parole “map” e “bit” sembrano riferirsi a un’età post-tecnologica e alludere alle lacune che i nostri posteri scopriranno nel “life code” che stiamo costruendo oggi, oppure alludere al tipo di guerre future con soldati-robot che combattono con i bit e i byte forse… È così? Ancora quella contraddizione, la tua doppia identità di cui parlavamo prima?

A differenza dei poeti contemporanei io non cerco di interpretare le mie poesie. È una mia fissazione. Se avessero un significato superiore a quello espresso sulla pagina, avrei scritto senz’altro di quel significato superiore.

Cosa stai scrivendo adesso?

Un libro che si svolge nel futuro. Non posso dire altro per il momento.

 

 

Daniel Nadler, Lacunae: 100 Imagined Ancient Love Poems (una selezione)

 

YOU HEAR the sun in the morning

through closed shutters. As you sleep

the early sky is colored

in fish scales, and you open your eyes

like a street

already lined with fruit.

 

Senti il sole la mattina

dalle persiane chiuse. Mentre dormi

il cielo mattutino si colora

di scaglie di pesce, e apri gli occhi

come una strada

già rivestita di frutta.

 

*

 

YOU ARE as happy as a waterwheel

when the earth is flooding.

Besides you I sleep with difficulty –

a cherry rolling along the stem of its thought.

Perpetual wings of the moistened eyelashes

I waited for you like vines around a house that was never built.

 

Sei felice come una ruota di mulino

quando la terra esonda.

Accanto a te il mio sonno difficile –

una ciliegia che rotola lungo lo stelo del suo pensiero.

Ali eterne delle ciglia inumidite

ti ho aspettata come viti intorno a una casa mai costruita.

 

*

 

THE MOON has gone farming at night

in the soil of your dreams. Tall trees

are growing there, for you to climb,

and the flower I gave you during the day

can barely break through the ground.

 

La luna è andata di notte a coltivare

il suolo dei tuoi sogni. Ci crescono

alberi alti, perché tu ci salga,

e il fiore che ti diedi di giorno

può crettare appena la terra.

 

*

 

I WOULD twist my arms like coral

if that made them delicate enough to hold you.

 

Attorciglierei le mie braccia come corallo

se questo le rendesse delicate abbastanza per abbracciarti.

 

*

 

THE WAVE has come to collect the little port on the coast

but it will take forever, since we are laughing.

Near twilight dust settles in a cavern above the rocks,

and a shawl conceals the purpose of the first heat.

The air if filled with feathers, and our skin

with shadows. Shall I say they are still?

 

L’onda è venuta a raccogliere i piccoli porti sulla costa

ma ci vorrà un’eternità, perché stiamo ridendo.

Verso il crepuscolo la polvere s’adagia in una caverna sopra le rocce,

e uno scialle nasconde il fine della prima calura.

L’aria è colma di piume, e la nostra pelle

d’ombre. Dovrò dire che sono immobili?

 

*

 

APART from you I am lost

as a pattern in marble.

The delicate hairs

of the stone

were left behind

by your own soft body.

 

Lontano da te io vago

come un disegno nel marmo.

I fili delicati

della pietra

furono dimenticati

dal tuo dolce corpo.

 

*

 

HOUSE, floating under moon

on a river. Propelled by silver oars

held from dark windows.

Blankets, covers, and sheets

raised as a sail.

 

Casa, galleggiante sotto la luna

su un fiume. Spinta da remi d’argento

in finestre buie.

Coperte, mantelli e lenzuoli

issati come vela.

 

*

 

ON MAPS the sea carries color.

But a swarm of shadowed fish

under the surface,

like moving marble,

eats the colored bits, gradually.

One day maps will show this.

 

Sulle mappe il mare ha colore.

Ma l’ombreggiare d’uno sciame di pesci

sotto la superfice,

come marmo in movimento,

mangia i pezzetti colorati, poco a poco.

Un giorno le mappe lo mostreranno.

 

AND SO
I envisioned a woman stepping out of the ocean wearing
every starfish at once, like armor.
I crystallized my eyes with the liquor of the seed I
planted in my mouth.
I cut my destiny in two and kept the heavier one.

E così
ho immaginato una donna che esce dall’oceano con indosso
ogni stella marina in una volta, come corazza.
Ho fatto di cristallo i miei occhi col liquore del seme
che piantai in bocca.
Ho tagliato il mio destino a metà e tenuto quella più pesante.