“Ogni vittima ha il volto di Abele” è l’appello attorno al quale Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace di Viterbo hanno invitato a riflettere per il 4 novembre.Faccio parte di un’associazione internazionale, la WILPF (Women’s international League for Peace and Freedom) nata nel 1915 a L’AJA dall’incontro di donne dei paesi occidentali riunite per chiedere la fine dell’ “inutile strage”. Erano madri, spose, sorelle dei tanti soldati che cadevano sui fronti militari della “prima guerra mondiale”,ma anche delle vittime civili perite sotto i primi bombardamenti della storia, e di tutti i flagelli che il vaso di Pandora della guerra sa sprigionare : epidemie, carestie, emigrazioni….

Nel 1919, a Zurigo, quelle stesse donne, memori, hanno scritto nello statuto fondativo dell’associazione le seguenti affermazioni che rappresentano non solo un ripudio della guerra, ma una prospettiva strategica per evitarla: art.1 “Noi, donne riunite in Congresso Internazionale, protestiamo contro la follia e gli orrori della guerra che conduce a uno sconsiderato sacrificio di vite umane e alla distruzione di ciò che l’umanità si è sforzata di costruire durante il corso dei secoli”; e all’art.3 “ La WILPF considera suo obiettivo finale l’instaurazione di un ordine economico internazionale fondato sul principio della soddisfazione dei bisogni di tutti e non sul profitto e sul privilegio”.

La Società delle Nazioni è certo il più importante strumento del primo dopoguerra a riecheggiare in parte questi concetti. Bandite le guerre, i popoli sono chiamati a dirimere le controversie internazionali per via diplomatica e con spirito di fratellanza. Un proclama di grande impatto, ma drammaticamente evanescente… Con grande lucidità, {{quelle donne}} avevano – invano – gridato ai firmatari del Trattato di Versailles che le umiliazioni imposte al popolo tedesco rischiavano di porre le basi a nuove violenze e a una nuova guerra…Non si erano sbagliate!

Ciò che tuttavia non poterono prevedere, a dispetto di tutta la loro saggezza, è che appena un secolo più tardi, le cosiddette “GUERRE MONDIALI” avrebbero ceduto il passo a {{una multitudine di guerre e di conflitti civili, localistici e regionali }} suscitati essenzialmente dai loro stessi figli, nipoti e pronipoti, gli “occidentali”. Il tutto imbandito da una quantità d’armi senza precedenti, in grado di far saltare in aria il pianeta in meno di cinque minuti…

{{Esorcizzare la guerra}} senza porre le basi per la costruzione di una pace autentica nella giustizia sociale fu il limite della Società delle Nazioni, ed è ancora oggi il limite dello strumento nato dalle sue ceneri, l’ONU.

Ma, a differenza degli anni tra le due guerre, sempre più, a partire dagli anni cinquanta, le organizzazioni della società civile acquistano voce in capitolo, fino a dar luogo al fenomeno delle numerose ONG di questi ultimi decenni, con rappresentanza nelle sedi istituzionali nazionali e internazionali.

{{La pace coniugata con la nonviolenza }} non è più solo aspirazione/azione per la cessazione delle guerre, rifiuto delle armi, per una soluzione pacifica delle controversie internazionali a favore della libertà dei popoli oppressi, ma diviene in piccole porzioni di territori del sud del mondo f{{orma di sperimentazione di un modello di sviluppo fondato sul rispetto dei diritti umani, sulla dignità della persona, sulla lotta al predominio del controllo sul cibo }} esercitato dalle multinazionali, a favore di una “sovranità alimentare”di cui siano protagoniste popolazioni oggi assoggettate a un mercato che le esclude da qualsiasi decisione. E nel nostro continente si manifesta come sollecitazione a cogliere gli aspetti d violenza non cruenta perpetrati quotidianamente da società apparentemente democratiche e a proporre la pace come gestione democratica dei beni comuni. ..

Si tratta di {{piccoli passi contrastati dai poteri forti}}, determinati a chiudere ogni spazio a questi tentativi, innanzitutto con forniture di armi che alimentano conflitti etnici e religiosi impedendo l’affermazione di spinte popolari che potrebbero costituire una forma di opposizione unitaria….

La condanna della violenza e dell’uso delle armi che ci fa ripudiare la GUERRA senza se e “senza se e senza ma”, mi lascia {{perplessa di fronte alle rivoluzioni dei popoli contro i tiranni }} (esempio, “primavera araba”). Mentre nelle guerre le azioni belliche vengono decise dai capi dei governi e le forze armate vengono mandate allo sbaraglio, vittime “inconsapevoli “, come i civili nei bombardamenti delle loro case ( ma anche i capi dei governi divengono in qualche modo abele quando su di loro si abbatte la ferocia della vendetta..), al contrario , il popolo che si ribella è consapevole e si batte- almeno così crede- per la libertà. Come potrebbe essere non violento? Certo, non dovrebbero esservi rifornimenti di armi, ma la violenza fisica può essere terribile anche senza armi… Quale complessa formazione, quale azione educativa occorrerebbe per far rivivere tra tutti costoro l’esempio del grande Mahatma.. Sono abele tutti coloro che cadono, da entrambe le parti , avendo operato una scelta consapevole? O “vittime” sono solo uomini, donne, bambini che non lottano e vengono colpiti casualmente, così come sono abele i soldati morti in azioni militari non decise da loro?

Ritornando alle guerre, tra il festeggiare una vittoria e il cancellare quella data, (come avvenuto in Italia negli anni passati per il 4 novembre), credo sia giusta una terza posizione:{{ non dimenticare la data di conclusione di una lunga guerra}}, quando la si conosca esattamente, ma solo per ricordare il sacrificio assurdo di tutti coloro- da una parte e dall’altra- morti in imprese militari alle quali hanno semplicemente obbedito, o in conseguenza di esse come civili .

Questo e solo questo deve essere, a mio avviso, il senso del richiamo ad Abele. Sarebbe totalmente negativo se per questa via si arrivasse a una sorta di revisionismo storico del tipo “tutti i morti sono uguali e quindi anche le ragioni delle guerre hanno pari dignità”. Tra gli zuavi pontifici e i patrioti italiani esistono differenze sostanziali e non si possono ammettere cerimonie che li accomunino come quella del xx settembre di un paio d’anni fa alla BRECCIA di PORTA PIA. Il rifiuto della guerra non può in nessun caso in nome della nonviolenza ( e della pietà per coloro che la follia della guerra ha assassinato) oscurare le identità.

{ Testo scritto per “la nonviolenza è in cammino”}{(nbawac@tin.it)}