Riceviamo e pubblichiamo volentieri: e voi che ne pensate??

La lettera del giorno |Sabato 20 Marzo 2010 (Corriere della Sera)

I MESTIERI AL FEMMINILE E LA SCELTA DELLE DONNE
Anni fa il ministero delle Pari opportunità finanziò uno studio linguistico (che ebbe alla fine il brutto titolo di «Il sessismo nella lingua italiana»), opera di linguisti e studiosi accreditati, che dimostrava come l’italiano ­al pari del tedesco, dico io ­abbia la possibilità di creare le forme femminili per tutte le professioni tradizionalmente maschili e spiegava anche come farlo e quali forme siano da evitare perché ironiche o spregiative: le forme in «essa», per intenderci, a parte dottoressa e professoressa, ormai entrate nell’uso comune. Perciò: la presidente, l’avvocata (ricorda il Salve Regina), la soldata ecc. E anche la ministra, sissignori! L’uso delle forme maschili soprattutto per le cariche importanti mi sembra un tranello per le femministe che confondono la parità di diritti con l’uguaglianza: non siamo uguali, per fortuna! Tant’è vero che tutti dicono «il direttore dell’Unità Concita De Gregorio», ma «la direttrice dell’asilo Mariuccia Carla Rossi». Perché? Perché un direttore di giornale è importante e dunque maschile, mentre dirigere un asilo di poppanti è roba da donne, anzi da donnette?

Luciana Tomelleri

Cara Signora, quando Susanna Agnelli fu eletta al Senato, volle essere chiamata senatore, non senatrice. Quando divenne sottosegretario non volle essere chiamata sottosegretaria. E quando fu invitata a dirigere il ministero degli Affari Esteri nel governo Dini del 1995-1996, volle essere ministro, non ministra. Non ho mai assistito a una seduta del Consiglio comunale di Monte Argentario, ma sono sicuro che se qualcuno l’avesse chiamata sindaca o sindachessa, si sarebbe arrabbiata. La sua scelta mi sembrò giusta per due ragioni. In primo luogo perché i nomi dei mestieri e delle professioni sono diventati in molti casi sostanzialmente neutri. In secondo luogo perché certi adattamenti al femminile mi sono sempre sembrati terribilmente cacofonici. Ma vi è nella sua lettera una osservazione che mi è parsa particolarmente interessante. Mentre alcuni mestieri sono stati sempre definiti con un nome maschile, per altri è stato rapidamente coniato anche un nome femminile. Penso a maestra, professoressa, dottoressa, direttrice, ambasciatrice, presidentessa, studentessa, alunna, commessa, segretaria, cassiera, venditrice, cameriera, cuoca, operatrice, infermiera. Non è impossibile quindi creare per ogni mestiere o professione un nome di genere femminile. Ma questo avviene generalmente soprattutto quando la donna è chiamata a svolgere una funzione «femminile». Finché dirige asili, cura malati, serve a tavola, prepara piatti in cucina, insegna agli allievi di una scuola o sta seduta dietro un registratore di cassa, la donna ha diritto a un appellativo femminile. Finché il femminile definisce il suo statuto di moglie, niente vieta l’uso di ambasciatrice o presidentessa. Ma quando la professione ha tradizioni maschili, gli uomini preferiscono che la loro collega venga chiamata notaio, avvocato, amministratore delegato, prefetto, deputato, senatore. E qualche donna, come abbiamo visto nel caso di Susanna Agnelli, sta al gioco. Evidentemente questo non è giusto. Se la regola vale per alcuni mestieri deve valere anche per gli altri. Ma in ultima analisi, cara Signora, la scelta spetta alle donne, le quali, in questo momento, mi sembrano oscillare fra soluzioni diverse. Per quanto mi riguarda io sono pronto a usare la parola che maggiormente risponde ai loro gusti, anche quando offende il mio orecchio. ©
SERGIO ROMANO