A vent’anni dalle teorie sulla femminilizzazione del lavoro, su cui tanto hanno investito pensatrici militanti e studiose, come si colloca il pensiero femminista? Quali sono le condizioni materiali delle donne nell’Europa dell’Austerity e delle rivolte? Quali le attività a cui attribuire valere? Per gentile concessione della casa editrice Iacobelli pubblichiamo la prefazione di Federica Giardini a volume {Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro}Non sono passati molti anni dal periodo in cui molte donne e alcuni uomini hanno intrapreso una ricognizione alla ricerca delle parole per dire e praticare (Nannicini
2002) le trasformazioni della società che discendevano dalla riorganizzazione del lavoro su altre priorità, su altre ideologie e rapporti di forza.

Eppure sono stati anni di crinale: le coordinate entro cui sentire e pensare urgenze e
necessità si sono radicalmente trasformate. Il momento è dunque maturo per passare dalla ricognizione a un pensiero su grande scala, sulla scala degli orizzonti del vivere comune.

Antica caratteristica del desiderio femminile – “{tutto il mondo dovrà cambiare perché io possa esservi inclusa}” (Lispector 1982, p. 5) – che chiede un mondo intero dove
vivere e non solo una quota di partecipazione, e che lo fa a partire dalla posizione di chi è stata, e ricorda vivamente di essere stata, nella posizione dei “{senza parte}”(Rancière 2007, p. 30).
Un desiderio dunque che unisce indistricabilmente vita e giustizia.

Sotto i titoli, parole a loro modo consumate, dei dibattiti contemporanei sulla giustizia sociale – cittadinanza, precarietà, retribuzione, diritto – ecco allora che il costante riferimento al vivere, nella sua consistenza e vividezza, è occasione per slegare nessi che si presentano come ovvi, per mettere sullo sfondo strade maestre alla realizzazione di desideri o anche semplicemente di una vita degna. E per liberare, ancora una volta, quelle parole che sensibilità e realtà di corpi in carne e ossa chiedono per essere messi al mondo.

Il momento è propizio per un pensiero in grande che, in modo apparentemente paradossale, solo così può esse-re davvero preciso: quando sono toccate le condizioni stesse del vivere, allora diventa necessario pensare con quella capacità di infinito che abbraccia ogni cosa e così facendo la restituisce a se stessa, alle sue ragioni viventi.

Pensare secondo infinito e ricercando le condizioni perché così sia, è anche il modo, per noi donne accomunate da un’impresa filosofica, di trarre partito dalla tanto annunciata e analizzata crisi della filosofia: una posizione incarnata da cui sottrarsi alle vie già tracciate, alla libertà ridotta a scelta tra opzioni già decise, già determinate altrove, per ritracciare sensualmente l’orizzonte entro cui i nostri corpi si trovano realmente e a cui aspirano, entro cui tornano a respirare.

Tornare a pensare i paradigmi, è l’espressione tecnica che sta anche per un ulteriore fatto concreto e letterale. Gli orizzonti, i contorni di uno spazio grande che contenga
l’esperienza contemporanea del lavoro, hanno una dimensione planetaria.
Oggi, quando donne di generazioni diverse, in Italia, concepiscono le questioni da affrontare, ecco che crollano le frontiere fisiche e simboliche dell’appartenenza nazionale. Non aver conosciuto la piena identità con le coordinate novecentesche della cittadinanza diventa – in tempi in cui un solo ordine politico ed economico pretende di farsi misura globale – occasione di rafforzamento reciproco, di traduzione tra parole diverse che pure esprimono un’esperienza di nuovo comune.

È andato da sé, sono le nostre stesse esperienze a offrire incroci tra quelle che un tempo erano vite distinte per classe, censo, età, identità culturale.
E per sesso.

In un momento di crisi degli ordinamenti della convivenza umana le soluzioni più diffuse sono contrapposte e complementari: tornare a pensare nei termini di un individuo neutro – essendo oramai le donne equiparabili agli uomini, anche nelle difficoltà – o riconoscere la differenza femminile alla stregua di un’aggiunta statica,che nulla modifica del quadro esistente.

Esiste però un modo per concepire il presente senza fare un passo indietro rispetto al fatto innegabile di una presenza femminile a tutto campo, nel bene e nel male, e senza sposare la soluzione di tornare alla misura minima, meno ingombrante
– ma quanto violenta nel dispensarsi dal prendere in conto le relazioni che ci sono necessarie per vivere – dell’ “individuo”.

È la strada che può indicare e intraprendere quella parte che trova nella propria memoria e immaginazione quanto di comune, di umano, è stato ed è messo alla prova, minacciato e rigenerato alla stregua di un desiderio che reclama parole e relazioni appropriate.
Questo dunque è un libro scritto da un’esperienza storica, geografica e sessuata precisa, ma non parla solo alle proprie simili.

Differenza oggi si dice attraverso le parole che ricercano e costruiscono un mondo comune e condiviso.

{{Riferimenti bibliografici}}

Lonzi, Carla (1977) “{Perché si sappia I}”, in M.G. Chinese, C. Lonzi, M. Lonzi, A. Jaquinta, {È già politica}, Milano: Scritti di Rivolta Femminile.
Lispector, Clarice (1982) {La passione secondo G.H.}, trad. di Adelina Aletti, Torino: La Rosa.
Nannicini, Adriana (2002) {Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo}, Roma: DeriveApprodi.
Rancière, Jacques (2007) {Il disaccordo. Politica e filosofia}, trad. di Beatrice Magni, Roma: Meltemi.

{Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro}
a cura di Burchi S.; Di Martino T.
€ 14,90
Iacobelli (collana Workshop) 2013, 222 p.,

{{Saggi di}} Claudia Bruno, Diversamente occupate, Elena Doria, Jules Falquet, Antonella Faucci, Eleonora Forenza, Alessandra Gissi, Florence Jany-Catrice, Maria Pia Lessi, Giordana Masotto, Dominique Méda, Annalisa Murgia, Pina Nuzzo, Carole Pateman, Marina Piazza, Maria Pia Pizzolante, Ina Praet0rius, Anna Simone.