Una lettera ai genitori dal fronte veneto da cui non sarebbe tornato, travolto come tanti altri ragazzi dalla prima guerra mondiale, è lo spunto di Claudia Villero per un romanzo sulla generazione che sul fronte sud-occidentale, tra il Carso e Monfalcone, soffrì l’inverno 1916-1917, in cui la situazione rimase stazionaria, costando una strage di vite, su entrambi i fronti, stroncate da gelo, privazioni, ferite, malattie, alienazioni della guerra di trincea.

L’intento di Claudia Villero è storico e psicologico e in parte autobiografico.

“Pescarmona Marcello era mio nonno, che non ho mai conosciuto, ma di cui mi hanno sempre molto parlato la nonna, la mamma, le zie. Fino ai suoi ultimi giorni, il nonno aspettò il ritorno del fratello maggiore, disperso nell’11ma battaglia sull’Isonzo, nel lontano 1917.”

Bruciare la valigia di lettere che “la bisnonna Teresa leggeva ogni sera nella stalla” fu da parte dei/delle sue eredi,“un gesto barbaro e sconsiderato” – e la distruzione della diaristica e degli epistolari a firma femminile o conservati dalle donne, ostacola una ricostruzione storica che non sia epica, aulica o monosessuata (al maschile) – ma l’unica lettera del disperso, diventata una reliquia per la famiglia, ha reso l’A., “appassionata di storia e innamorata della sua terra” capace di ridare voce al disperso.

La narrazione scorre come un fiume in piena, densa di memorie e di emozioni.

Inizia con lo sguardo rivolto dal giovane Alessandro alle nere nuvole, dense di grandine,che il vento spinge lontano dai campi e dalle vigne di una famiglia possidente dell’astigiano e termina con lo sguardo dei suoi parenti che scrutano l’orizzonte nell’attesa logorante di un disperso privo, forse, anche di sepoltura. I tanti ossari dell’est padano, dovrebbero insegnare l’orrore per la guerra. Il mese successivo all’assassinio dell’erede del trono austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando, finiti “i sogni di pace”, entrata l’Europa in guerra, dopo una “fugace illusione” di neutralità italiana (dichiarata dal ministro Salandra), era giunta l’occasione di completare, con le armi, l’unità geo-politica italiana con il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia e la Dalmazia, ancora austriaci.

Dedicato “alla Patria e alla famiglia”, anticipato da una poesia di Edmondo De Amicis”, il romanzo segue il diciannovenne fabbro e contadino, nelle sue aspettative, nei suoi intenti patriottici enella tragica esperienza del conflitto.

Chiamato alle armi il 4 gennaio 1917, Alessandro lasciò la sua casa di Piea d’Asti, che già aveva dato uomini alla guerra.

“Davanti ai suoi occhi scorrevano i ricordi di una vita. Rammentava quanto il cugino Alfredo, “forte e vigoroso prima di partire per la guerra” fosse ritornato “cupo, magro ed emaciato” e avesse parlato di trincea quasi rivolgendosi solo a lui, in procinto di partire, con l’amico d’infanzia, Clemente, per l’Isonzo che “….scorreva rosso a causa del sangue” dei morti in battaglia. Lui “voleva vivere, doveva sopravvivere alla guerra.”

Perse i suoi 19 anni sul monte Semmer,della Bainsizza, il 20 agosto 1917, dove in pochi giorni si contarono 30.000morti, 110.000 feriti e 20.000 dispersi.

Una storia vera, ben costruita e scritta, di quelle che nelle scuole si dovrebbe imparare.

Claudia Villero, Dal Monferrato all’Isonzo, Letteratura Alternativa, 2019.