È la domanda che rivolgiamo a chi può, in Italia, spendere parole istituzionalmente autorevoli e fare i passi giusti.

La vicenda di Meriam nel suo paese, in Mauritania, è rappresentativa di una pratica politica e sociale che legittima la schiavitù per oltre un quinto della popolazione, pur avendola ufficialmente abolita dal 2007.

Questo terribile crimine colpisce prevalentemente l’etnia Haratin, per secoli discriminata e umiliata con ogni tipo di persecuzione.

A Meriam è stato impedito di sostenere gli esami universitari alla facoltà di ingegneria che frequentava, perché donna e Haratin. A Meriam è stato contestato il crimine di aver manifestato contro gli arresti indiscriminati di attivisti e militanti dell’IRA (initiative de resurgence du mouvement abolitionniste de Mauritanie), tra cui il presidente del movimento Biram Ould Dah Abejed. È stata incarcerata e poi posta in isolamento per aver protestato per gli abusi compiuti dal personale carcerario.

Dal Novembre 2014 questa giovane donna è in carcere per aver protestato legittimamente contro pratiche che ufficialmente, anche in Mauritania, sono considerate crimini.

Crimini. Il primo fra tutti la schiavitù, che per le donne è sinonimo di violenze sessuate, maltrattamenti e l’avvio nelle reti della tratta di esseri umani.

L’IRA Mauritania in Italia, Amnesty, le Donne in Nero, hanno denunciato, oggi noi dell’UDI denunciamo che quanto avviene in Mauritania viene coperto da reticenze e silenzi inspiegabili.

Per Meriam e per le altre, insieme a tutte e tutti coloro che si battono contro la schiavitù faremo da oggi la nostra parte, perché il nostro paese segua tutte le vie diplomatiche e politiche per la liberazione delle donne ingiustamente detenute.

A partire da una domanda: chi vuole davvero liberare Meriam Cheikh?

Il Coordinamento Nazionale UDI – Unione Donne in Italia