Nell’estate del 2013 l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno iniziato, in gran segreto, i negoziati sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, un trattato commerciale al quale, economisti e politici neoliberisti, guardano come alla panacea per la peggiore crisi economica dal dopoguerra.

Crisi economica che, proprio la globalizzazione selvaggia e il neoliberismo, hanno provocato e che ora vogliono aggirare facendo rientrare dalla finestra strumenti obsoleti come i negoziati bilaterali e multilaterali.
E in che modo far digerire ai cittadini argomenti ostici come riforma del lavoro e delle politiche sociali nell’interesse esclusivo delle multinazionali?
Svendita della natura per il bene dell’economia?
OGM e polli sbiancati al cloro nei loro piatti?

Soppressione del diritto alla conoscenza, all’innovazione, alla privacy dei propri dati personali, sacrificati alla logica della tutela dei cosiddetti “diritti” di proprietà intellettuale dei giganti delle grandi industrie?
Armonizzazione verso il basso delle normative sanitarie e rischio di privatizzazione totale?
Ascesa delle super banche e conseguente tentativo di eliminare vincoli normativi fastidiosi per la circolazione del capitale? Sistemi di risoluzione delle controversie attraverso strumenti come l’ISDS (Risoluzione delle controversie tra Stato ed Investitore) che garantiscono alle imprese più diritti dei cittadini?
Tanti interrogativi. Una sola fragile risposta: la prospettiva di crescita del PIL.

Il facile specchietto per le allodole della creazione di nuovi posti di lavoro.
Ma guardiamole queste stime entusiastiche, questi studi imparziali di settore, queste letture che danno il TTIP come potente volano per accelerare una crescita economica che, i più entusiasti, prevedono capace di incrementare dell’1% il PIL; di aumentare il reddito di una famiglia media, nell’arco di una vita lavorativa, di oltre 12mila euro, secondo il centro studi Ecorys; di regalare all’anno 545 euro ad ogni famiglia europea, secondo il londinese Centre for Economic Policy Research.

E poi l’economia, liberata dal fardello delle garanzie normative, porterà crescita ed occupazione, oltre un milione di nuovi posti di lavoro negli Usa e un milione e 300mila nell’area UE, secondo la Fondazione Bertelsmann, numeri che farebbero invidia al Berlusconi dei tempi d’oro nelle sue vaneggianti campagne elettorali.
Nella sua valutazione dell’impatto del trattato però, la Commissione Europea giunge alla conclusione che, probabilmente, il tasso reale di crescita sarebbe intorno allo 0,1% su un arco di 10 anni, un dato economico abbastanza insignificante, ancor di più se connesso ai suddetti rischi socio-economici e ambientali.

Una pubblicazione del Global Development and Environment Institute della Tufts University del Massachusetts mostra dati non confortanti e Werner Raza, direttore dell’Ofse, uno dei più autorevoli centri di ricerca austriaci, afferma che “non sarà certo il TTIP a portare l’Europa fuori dalla crisi e le barriere tariffarie tra USA ed UE sono già molto basse”.
Proprio questa dichiarazione di Raza pone l’attenzione su un punto focale: l’obiettivo del trattato non è abbattere le tariffe doganali tra USA ed UE, bensì eliminare le tutele normative presenti che le multinazionali vedono come barriere alla crescita del capitale.
Non siamo all’interno di una logica “Europa democratica e garante delle tutele contro il mostro USA che vuole conquistarci e devastarci” no, qui sono le lobby multinazionali che manovrano i governi, guidate dalla sola logica del profitto.
La mobilitazione attorno al TTIP sta crescendo, la nostra campagna , formata da partiti politici, movimenti, società civile, sindacati ed attivisti, ha partecipato con successo alla giornata europea d’azione decentrata dell’11 ottobre 2014 e si prepara alla sua prima Assemblea Nazionale  in programma per l’8 novembre.
Invitiamo tutte le cittadine e i cittadini ad organizzarsi con incontri, volantinaggi (tutti i materiali sono disponibili in formato web e formato grafico sul sito della campagna), lettere di pressione verso parlamentari ed europarlamentari e ad aderire, anche singolarmente, sempre dalla home del nostro sito.
Lo chiediamo per fermare tutti insieme il TTIP e non perché siamo dei talebani della decrescita, degli integralisti del regresso, dei fanatici dello status quo.
Lo chiediamo perché siamo preoccupati per un trattato che vuole abbattere le norme a tutela del nostro lavoro, dei nostri consumi, delle nostre produzioni; un trattato che abbasserà ancora di più gli standard legislativi e qualitativi a cui siamo abituati e per i quali, già in passato, abbiamo dovuto lottare.
Lo chiediamo perché non vogliamo vedere svendere per l’ennesima volta i nostri diritti e il nostro futuro, perché nessuna battaglia è mai persa e nessun processo irreversibile e, soprattutto, perché crediamo davvero che torneranno a crescere i fiori e tornerà la speranza.