Un’associazione di donne di Paestum, Artemide, nata circa due anni, un documento sulla “cura del vivere” proposto dal “gruppo del mercoledì” di Roma, un’idea di Lea Melandri (Libera università delle donne di Milano): da qui nasce un incontro nazionale. A tutte va dato merito dell’iniziativa, alle donne di Paestum un grazie enorme per averla materialmente organizzata.
{{Siamo tante e diverse. }}

Circa 750, troppe per la sala prevista, che va cambiata con una molto più grande e più costosa (ma la cifra mancante viene raccolta durante il convegno). Troppe anche per rispettare l’organizzazione prevista: il lavoro del pomeriggio non è più articolato in tre gruppi tematici, ma in 9 gruppi che parleranno di tutto.

Presenti {{donne che vengono da circa 100 città diverse}}. Presenti{{ prevalentemente per scelta individuale}} e non “a nome” delle associazioni a cui appartengono (se hanno un’appartenenza). Un intervento sul blog di qualche giorno fa, firmato [Rosangela Pesenti->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article10840], criticava la scelta di aver chiamato a convegno le donne e non le associazioni di donne. Lì per lì lo avevo condiviso. Ma adesso mentre la platea si riempie e ci si riconosce, ci si saluta, e nello stesso tempo si vedono tante facce sconosciute, non sono più convinta di quella critica. Ci sono delle assenze, visibili, vistose, ma alla fine ci sono le donne che hanno avuto {{il bisogno/desiderio di confrontarsi e la possibilità economica di realizzare questo desiderio}}. Ma questo valeva per l’incontro nazionale di SeNonOraQuando l’estate scorsa a Siena, vale per tutti i movimenti, è il problema di tutte le riunioni per le quali non si può attingere ai finanziamenti pubblici, cioè per quasi tutte quelle a cui io partecipo e ho partecipato …

C’erano le “giovani”, una delle quali in uno dei primi interventi ha detto una cosa bellissima: {{“siamo tutte femministe storiche…contemporanee”}}. E questo, come altri interventi che hanno respinto l’uso della categoria di “generazione” per definire le differenze fra noi, ha contribuito a far emergere altre differenze, quelle vere, quelle dal cui confronto e (perché no?) conflitto, possiamo tutte ricevere ricchezza e stimolo.
C’erano, e questa diversità conta più dell’età anagrafica, quelle femministe da sempre, o quasi, e quelle che per la prima volta o quasi, si sono trovate in un contesto di donne (come quella che intervenendo per prima esprimeva commozione e disagio).

{{Confrontarsi perché, e come? }}

Nonostante la scelta del luogo e la sottolineatura che ci si incontrava lì {{a 36 anni dall’ultimo incontro nazionale}}, non è stato il passato a tenerci insieme, attente partecipanti per più di 10 ore. Il terreno di confronto è stato {{la ricerca delle pratiche politiche efficaci}} di fronte ad una crisi che cambia il nostro presente e minaccia il futuro non solo nostro.

L’incontro era stato convocato con una[ lettera documento->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article10824], ma a quel documento si sono riferiti fin dall’inizio solo pochi interventi. Per me la spinta non era stata quel testo, ma l{{a “necessità” di mettere a confronto con altre le scelte di questi ultimi anni. }}

Anche il metodo di lavoro adottato in assemblea plenaria ha contribuito a spostare l’attenzione dal documento, che si dava per noto, ma che non è stato ripreso in una relazione introduttiva, come si sarebbe fatto in un convegno “tradizionale”. Riferisco con simpatia il fatto che a pochi minuti dall’inizio, una delle partecipanti cercava, senza trovarlo immediatamente, quel testo. In assemblea si trattava, come ha detto {{Lea Melandri}} in apertura, di far emergere pensiero dall’ascolto reciproco.

Metodo difficile, rischioso, ma che ha funzionato. Nessuna iscrizione a parlare, le richieste di intervento per alzata di mano, con microfoni portati in giro da alcune. Certo, mentre all’inizio le richieste arrivavano una dopo l’altra, dopo un po’ le mani si alzavano più numerose insieme e non era facile applicare la regola proposta da Lea, che in quel caso fosse una gara di generosità a decidere la precedenza. Comunque chi alla fine della mattinata non era riuscita ad intervenire lo ha potuto fare nel gruppo dopo poco.

Ha funzionato perché non si doveva decidere nulla, ma{{ ricostruire insieme un orizzonte di senso}}. Che non è un obiettivo minore, è un’altra cosa. Mi vengono in mente due dei principi dell’Open Space Technology, una delle tecniche di partecipazione più efficaci (fra quelle che conosco). Li cito per farmi capire: “chi partecipa è la persona giusta, qualunque cosa succeda va bene…”. E così è stato.

{{Confrontarsi su cosa?}}

Conflitto fra donne, conflitto con il potere: questo (evidentemente una priorità per molte) il tema emerso fin dall’inizio, dando un senso ad un dibattito altrimenti sterile sulla rappresentanza. Qui la terminologia è ancora molto disordinata. Democrazia paritaria: questo termine compare sempre più spesso sui documenti politici in relazione alla crisi della democrazia rappresentativa che dovrebbe essere “salvata” dall’ingresso delle donne. Rappresentanza di genere: ma ha senso questo uso del termine “genere” quando ormai molte di noi ne rifiutano una lettura “duale”? Rappresentanza delle donne: come se fossimo una categoria. Personalmente, e l’ho ripetuto intervenendo, credo che il problema sia molto più semplicemente quello di “garantire il diritto delle donne ad essere rappresentanti”. Degli strumenti (50 e 50 o altro) si è parlato soprattutto per dire che sono solo strumenti.

Pur nella confusione a mio avviso è emersa {{una capacità di ascolto reciproco}}. Se per molte lavorare perché nei luoghi decisionali, in tutti, non solo nelle istituzioni politiche, ci siano più donne è uno spreco di energie e addirittura fa ostacolo alle donne che scelgono pratiche politiche diverse, il clima generale era di confronto, o di conflitto dichiarato, agito in modo non distruttivo. Tanto che alla fine è stata avanzata da più parti la richiesta che a coloro che decidono di giocare la differenza nei luoghi del potere, portando anche lì il conflitto con il potere, siano sostenute (e controllate) da una rete politica di donne.

{{Le parole forti del femminismo}} “autocoscienza”, “partire da sé”, ”relazione”, hanno trovato una nuova declinazione. Le esperienze diverse sono state narrate per cenni (i tempi degli interventi in assemblea arrivavano al massimo a 5-7 minuti) ma il punto da cui ciascuna partiva era un vissuto ripensato e riproposto criticamente.

{{Di qualcosa non si è parlato abbastanza}}.

Non si è parlato abbastanza della cura come paradigma, come categoria politica. Il lavoro di cura è stato nominato più volte mettendo in evidenza la contraddizione posta dall’assenza di quelle donne, per lo più straniere, che fra l’altro hanno consentito a molte delle presenti di essere a Paestum. Assenza fisica, ma anche assenza dal discorso, dalle relazioni, dalle pratiche politiche. Si è chiesto di dedicare al razzismo la stessa energia che abbiamo impiegato per combattere il sessismo.

Sulla precarietà si è detto poco in assemblea e nel mio gruppo, ma in altri gruppi dall’analisi della condizione precaria, che dal lavoro si estende a tutti gli ambiti della vita, è partita la richiesta di un reddito di cittadinanza, o meglio di autodeterminazione (altra parola storica declinata al presente).

Si è parlato di 194, e della sua diversa applicazione in aree territoriali diverse, di legge 40, come una sconfitta recente (ma a me pare si sia trattato dell’esito di una battaglia mancata, o comunque non giocata dal movimento delle donne in una logica femminista).

Non si è parlato della violenza sulle donne, non si è parlato quasi per nulla di corpo e di sessualità. Ma io, che non sono facile agli entusiasmi e alla commozione, sono uscita dall’incontro sentendomi {{più forte rispetto all’inizio}}. Convinta più di prima che essere femminista significa prima di tutto {{cercare la propria forza in sé e nelle altre donne.}} Ogni tanto capita anche di trovarla.

immagine da https://twitter.com/paestum2012