:: Ines Valanzuolo

Intervista alla prof. Cinzia Caporale, presidente del Comitato intergovernativo di bioetica dell’Unesco, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica e docente di Bioetica all’Università di Siena.{{Il 2007 È iniziato con un rinnovato interesse mediatico circa le cellule staminali, soprattutto dopo la pubblicazione sulla rivista Nature dei risultati di una scoperta di Anthony Atala e Paolo De Coppi, ricercatori della Wake Forest University, in North Carolina, per la quale, in base ad esperimenti condotti su topi, È possibile prelevare cellule staminali dal liquido amniotico. Di quali problemi etici, cientifico/terapeutici si preannuncia la risoluzione?}}

Si tratta di cellule che possono essere reperite senza danneggiare un organismo in sviluppo, se non accidentalmente. Non implicano quindi la distruzione della vita di un embrione, che per alcuni va tutelata in modo assoluto, in favore della vita di un “già nato”. Ciò evidentemente attenua il conflitto etico anche se non può risolverlo del tutto. Sul piano
terapeutico È troppo presto per una previsione attendibile. Studi ulteriori valuteranno le caratteristiche di plasticità di queste cellule, bisognerà misurare l’efficienza del prelievo anche nel senso di quantità di cellule presenti nel liquido amniotico nelle varie fasi della gravidanza, occorrerà soppesare i rischi e complessivamente confrontare la validità di questa fonte di staminali rispetto alle alternative. Di certo, sul piano scientifico queste staminali non potranno sostituire pienamente quelle embrionali sia relativamente alle conoscenze fondamentali che se ne possono derivare, sia rispetto alle prospettive terapeutiche. E’ ovvio tuttavia che la mera utilità scientifica non è mai sufficiente per decidere circa una determinata biotecnologia: È sempre indispensabile prendere in considerazione anche gli aspetti etici.

{{ Perché, in questa occasione, hai rischiato di trovarti in compagnia degli oppositori alla ricerca scientifica sulle cellule staminali e soprattutto su queste derivate dal liquido amniotico?}}

Sono da sempre annoverata tra i laici a tutto tondo e certamente sono favorevole alle staminali da liquido amniotico. Il titolo del Corriere della Sera che mi inseriva nel “fronte dei cattolici contrari” È stato semplicemente una loro svista. Ho scritto al Direttore e rilasciato alcune interviste in cui integravo quanto, peraltro correttamente, era invece
scritto all’interno dell’articolo.
Il merito della questione È però più interessante: dobbiamo abituarci all’idea che così come non esistono attività umane esenti da rischi, cosà la gran parte delle applicazioni delle scienze della vita presentano dilemmi morali e quindi scelte critiche. Se non ci abituiamo a questa idea, finiremo per reagire sempre in modo iperbolico a qualsiasi novità : al minimo problema etico il riflesso sarà sempre quello di ingigantirne la portata e di ricorrere o almeno invocare la proibizione. Viceversa, occorre non nascondersi eventuali criticità e individuare modalità per gestirle.
Nel caso in discussione, oltre che rallegrarsi per la scoperta, a mio giudizio occorre vigilare perché coloro che corrono i maggiori rischi (la donna e il feto in sviluppo) possano ricevere un beneficio diretto, magari la conservazione di una parte delle cellule per eventuali necessità terapeutiche individuali. Altrettanto utile, ad esempio, è il suggerimento che il prelievo del liquido amniotico venga giustificato da contestuali esigenze diagnostiche e riguardi delle quantità adeguate stabilite con molta cautela. Si può anche riflettere sulla circostanza aborto-prelievo di liquido amniotico o sui disagi fisici e psicologici che il prelievo potrebbe comportare per la donna ad esempio al momento del parto. Inoltre, l’adesione acritica all’ipotesi “staminali amniotiche” potrebbe rallentare altri studi e dirottare i fondi da ricerche più consolidate.
Insomma, alla domanda se la scoperta rappresenta un passo avanti non si può che rispondere affermativamente, ma con l’accortezza di non sottovalutare i problemi che, seppur minori, ne potrebbero derivare soprattutto (e come al solito!) per la donna.

{{Considerando il tuo ruolo nell’Unesco e quindi la tua esperienza internazionale sugli argomenti di bioetica, puoi, da questa prospettiva fare una breve valutazione sul livello del dibattito pubblico italiano circa questi argomenti?}}

Il dibattito italiano È qualificato e molto sofisticato ma somiglia più a un derby che a un confronto di idee. Ciò che colpisce particolarmente, è il tentativo sistematico di falsificazione dei dati descritti dalla letteratura scientifica (o il rifiuto dell’analisi del reale) e la delegittimazione costante dell’interlocutore, come anche il corto-circuito che ci fa invocare una legge per ogni problema emergente. L’esperienza all’Unesco è un privilegio straordinario. La tensione rivolta costantemente alla ricerca di un elemento comune è davvero notevole. Qui da noi si persegue la sopraffazione e la bioetica è percepita come un luogo d’elezione per la battaglia, quasi fosse un destino ineluttabile. Là, tra paesi che pure sono divisi dalla storia e da guerre vere, la bioetica è argomento che unisce: l’approccio è sempre quello di interrogarsi su fino a che punto ci si può spingere per andare incontro agli altri e non di chiedersi cosa si può ottenere da loro. Tra l’altro, e voglio segnalarlo proprio qui, il Comitato che presiedo e in generale le assemblee dei delegati vedono una presenza femminile spontaneamente e casualmente analoga a quella maschile. Cosa ovvia sul piano concettuale ma visivamente impressionante. Onestamente credo che la stessa bioetica ne risulti influenzata sia nell’approccio teorico che nella negoziazione biopolitica.