Mentre sulla scena della giustizia dei primi del novecento processi d’amore e di sangue suscitavano il morboso interesse delle folle, Carolina Invernizio, la più celebre fra gli autori di romanzi popolari, azionava la sua macchina delle sorprese: riconoscimenti, delitti, morti apparenti, luminose redenzioni.

Oltre a cospargere le sue fitte trame di abbondante veleno, l’intrepida Carolina ordisce e dipana con diabolica astuzia intrighi sentimentali: in ogni suo feuilleton esplodono contrastate storie d’amore, passioni colpevoli, cenerentole intraprendenti, mogli tradite.

Nella palestra inverniziana, le buone da una parte le cattive dall’altra, gareggiano frenetiche, affilano le loro armi di seduzione, mettono a punto complesse strategie.

Pur dedicando i suoi libri ad un uomo, “il colto e distinto signor Marcello Quinterno, tenente commissario” (suo marito), Carolina si rivolge apertamente ad un pubblico di donne, “le mie gentili lettrici” ed è attenta a confezionare storie capaci di attrarre, convincere, commuovere i cuori femminili, ai quali non cessa di indicare una missione sacra: ristabilire l’ordine là dove esso è stato turbato o rotto.

Vegliare sull’unità e il decoro della famiglia, essere indulgenti ma ferme con quell’eterno bambino che è l’uomo. Agli occhi della Invernizio il maschio si rivela ormai incapace di addossarsi le responsabilità che gli competono, il sesso femminile libera invece tutte le sue potenzialità, sia quelle positive, sia quelle negative.

Angelica martire o mostro satanico, vergine laboriosa o maestra di dissolutezza, la donna egemonizza sempre il suo compagno, solo sul piano narrativo, ben inteso!

Che siano orfane, bastarde, cieche, pazze, apparentemente morte, le donne della Invernizio non mancano certo d’iniziativa!

Anche ad una “sepolta viva” (figura standard della narrativa d’appendice e simbolo di ataviche paure) offre ingegnosi espedienti, tant’è che la morta provvidenzialmente si risveglia, parte per Torino, cambia nome e colore dei capelli, diventa celebre teatrante e prepara la sua vendetta.

E’ “Il bacio di una morta” il suo più famoso romanzo.

Qualche altro titolo: “Il treno della morte”, “La felicità nel delitto”, “Il cadavere”, “L’impiccato delle Cascine”, “La morta nel baule”, “Memorie di un becchino”, “Passione mortale”.

Certo che quando Lei, Clara, la sua eroina, resuscita… è un bel colpo di teatro!

Regina della simulazione, schiava delle apparenze, consumata attrice, la protagonista “buona” della Invernizio, spesso è una vestale pronta al sacrificio e completamente asessuata, angelica anche dopo le nozze. Incapace di passione, il desiderio maschile non la tocca, non la riguarda. È proprio la voluttà, invece, il pane quotidiano della sua rivale, la Maliarda, oggetto del desiderio colpevole di deboli mariti, padri, fratelli, portatrice di guai a non finire, causa di infamie e delitti di ogni genere. Ovviamente la nefanda vampira che strega e irretisce, riceverà sul finale una degna punizione.

Carolina Invernizio aveva molta paura della morte perciò quando arrivò per lei la morte vera, quella che fuori dai romanzi ha un aspetto così poco letterario, è presumibile che la trovasse terrificata e riluttante.

Sfogliando i giornali cuneesi dell’epoca si apprende che il pomeriggio del 29 novembre 1916 il corteo funebre si mosse da via Barbaroux verso la cattedrale. Per la dolorosa circostanza, i tre fogli cuneesi che di solito si guardavano come mastini arrabbiati, “Il Corriere Subalpino”, “La Sentinella delle Alpi” e “Lo Stendardo”, strinsero una tacita tregua esaltando unanimi le virtù della Signora.

Tutta Cuneo, la bene e la popolare, seguì il feretro della scrittrice che aveva scritto di tradimenti e di nefandezze di vario genere, ma che a Cuneo era nota soprattutto per il suo salotto, la sua affabilità e la sua bontà.

 “Quasi venti corone abbiamo contato – scrive “Il Corriere Subalpino” – tutte magnifiche nella fragranza e nella bellezza dei fiori, omaggio alla gentilezza della scrittrice”.

I cordoni del carro di seconda classe erano tenuti da quattro gentildonne di cui la cronaca non tramanda i nomi; seguivano un gruppetto di colonnelli, capitani e tenenti, una gran folla di popolo, i ragazzi dell’orfanotrofio, i bambini dell’asilo, le portinaie, le sartine.

Tutti i giornali della Cuneo 1916 cantarono le lodi alla Gentile Signora Carolina lasciando un po’ in ombra la sua attività letteraria.

 “La Sentinella delle Alpi” ricordava la donna tutta dedita alla famiglia, modesta pur in mezzo alle lodi e alle soddisfazioni che da tanti anni incessantemente le elargiva la sua fantasia e per l’occasione pubblicò a puntate l’inedita novella intitolata “Idillio Tragico”,che si chiude con una battuta inconfondibilmente inverniziana: “Lilla era morta. Il primo bacio d’amore di Baldo, quel bacio che non si meritava, l’aveva fulminata!”

Continuava poi il giornale, menzionando “il buono, il cortese, il paterno colonnello Quinterno” a proposito del quale e della di lui Consorte, si riferiva un aneddoto: “Ci raccontava stamane una popolana piangendo che suo marito dovette dal colonnello Quinterno subire una punizione. Mentre era in carcere, ecco comparire Carolina lnvernizio, a consolarlo, porgendogli un romanzo”.

Non si specifica se a consolare quel misero fosse stato scelto “Catena Eterna”, del 1898, o “Le memorie di un becchino” del 1891, o “La Tisica” del 1896.

Un’altra volta, avendo il colonnello Quinterno dovuto degradare due caporali, la scrittrice, che dalla sua abitazione vedeva nel cortile della caserma, ne pianse tutta la notte.

La realtà supera sempre la fantasia.