Proprio mentre le sale nostrane vengono invase, come di consueto, da “mogli bellissime” e altre “cinepanettone” (l’orrida formula deriva da alcuni sondaggi della rete), a chi voglia continuare a riflettere al cinema, anche durante il periodo delle feste, consigliamo lo splendido film della regista libanese.Tra le infinite donne-poster o donne-calendario ammiccanti dalle locandine del tipico prodotto italico natalizio), approda in alcuni cinema, purtroppo pochini, un’opera che sentiamo di consigliare spassionatamente alle nostre lettrici. Il paragone, che può apparire sulle prime improprio, nasce al contrario in maniera del tutto naturale nell’intimo di chi guardi alla figura di una regista-attrice-sceneggiatrice di notevole avvenenza fisica, che pure da prova di possedere ben altre frecce cui attingere dal suo arco. La giovane cineasta libanese Nadine Labaki dispiega una straordinaria delicatezza, in quanto a scrittura cinematografica: con essa intendiamo un abile connubio di prassi della messa in scena, tecniche di ripresa adottate e un intelligente montaggio in grado di illuminare alcune pieghe del racconto meno, volutamente, poste in risalto, in virtù di un piglio squisitamente femminile.

Il salone di bellezza {“Si Belle”} (“così bella” in francese), la B della cui insegna – B come Beirut –penzola sintomaticamente rovesciata, è gestito da tre giovani libanesi: Layale (la regista), Rima e Nisrine, {libere} professioniste moderne in un Paese ancora arretrato. Vivaci, non ossequiose dell’altrui (quella maschile o inculcata dalle madri di famiglia, ma pur sempre fallocratica) quanto della propria volontà, desiderose di lanciarsi in qualsiasi esperienza possa trasmettere loro un brivido autentico di vita vera. Per far ciò, non esitano a “compromettersi” in storie che l’opinione pubblica non esiterebbe ad esecrare come “sbagliate” e, di conseguenza, a punire: Layale e la sua relazione con un uomo sposato, Rima e la sua omosessualità malcelata o Nisrine, che non esita a sottomettersi all’intervento di “imenoplastica”, pur di sottrarsi alle ire del promesso sposo.

Il personaggio più tragico, però, è di gran lunga quello di Jamale, una cliente abituale del centro, “meno giovane” delle amiche, che arriva a voler “correggere” il naturale flusso del tempo pur di non sentirsi, a sua volta, tanto sbagliata.

Al centro estetico, ogni tanto salta anche la corrente elettrica e allora diventa necessario azionare manualmente il generatore d’emergenza.
_ Ogni indizio concorre a segnalare uno stato di precarietà, una condizione di emancipazione femminile ancora labile, non definitivamente acquisita. Simbolica, in tal senso, la scena dell’irruzione della processione di fedeli nell’intima “sacralità” del negozio, a visualizzare immediatamente l’ingerenza del culto mariano nelle esistenze di queste giovani donne. E tuttavia, anche al di fuori delle sue mura variopinte, le sterrate vie di Beirut ossessivamente pattugliate di giorno e di notte da soldati o dalla polizia stradale, dimostrano in maniera ancora più nitida come non vi sia pace per le donne che le abitano.

E’ per questo che il salone assume tutti i contorni di un’oasi felice, un riparo dal mondo esterno, maschile e violento, oppressivo e autoritario. Un piccolo universo tutto composto di donne, un’accogliente, calda alcova dove finalmente potersi prendere cura di sé e non vergognarsi di certi impulsi segreti: anche per chi, come zia Rose (personaggio splendido e finemente interpretato), che a sé, ai suoi desideri, è tristemente consapevole di non poter dedicare molto tempo o spazio.

Tutte strepitosamente in parte le protagoniste, e non facciamo riferimento solo alle tre giovani parrucchiere. La galleria di ritratti di donna cui, con garbo e senza mai richiamare con enfasi l’attenzione, la Labaki riesce miracolosamente a instillare vita e verità, spiccano tutte per spontaneità e sincerità. La differenza, quando ci si trovi di fronte donne “vere” e non figurine bidimensionali, si percepisce distintamente e possiede un effetto rinfrescante. Eppure, tanto lodevoli sono le interpreti, quanto ispirata, lo ribadiamo, risulta la regia nel dirigerle.
_ Contrapponendo idealmente, anche qui in maniera velata, il mondo di queste giovani a quello delle anziane sorelle Lili e Rose, al di là della strada, la regista mostra come, se per le ragazze c’è ancora spazio per il sorriso e la speranza, per le figure femminili più mature si renda necessario un tratteggio dal tocco più grave e, di conseguenza, malinconico. Un inedito taglio di capelli, sbarazzino e lontano dalla tradizione, può significare una promessa di vita nuova, uno stimolo all’emancipazione, per una giovane – quando nemmeno i suoi capelli le appartengono – mentre per chi è stato costretto a portare tutta la vita il peso di una responsabilità oppressiva, esso non rappresenta altro che una breve parentesi di benessere, presto cancellata dal carico delle quotidiane incombenze.

Notevole, per grazia ed eleganza la fotografia anch’essa “al caramello” e la colonna sonora, in cui il continuo tintinnio di bracciali e orecchini – vero e proprio tappeto sonoro di {“Caramel”} – suggerisce il palpito dei cuori di queste creature vibranti emozioni.
_ Un film in cui sembra non accadere nulla di veramente importante, mentre la regista ci sta dicendo moltissimo sulla vita delle donne del suo popolo. Quanto è supremamente difficile, in un film, mostrare la naturalità dei piccoli fatti quotidiani, di quelle esistenze comuni che il cinema cosiddetto {mainstream} sceglie tanto spesso di evitare accuratamente! E’ una dote dei grandi maestri e sorprende una volta di più che questa giovane e poliedrica artista mediorientale la possieda già. A lei e alla coraggiosa produttrice del film, ricompensata dalla selezione del film da parte del festival di Cannes avvenuta nell’edizione passata, va il nostro più convinto ringraziamento.