Il climate change già produce cambiamenti inarrestabili. È essenziale far capire la necessità di cambiare il modello di sviluppo. Noi lo stiamo facendo col Festival. Oltre 200 eventi dal 22 maggio al 7 giugno,

Dimentichiamoci l’Artico. Un’inchiesta dell’Economist ci dice che l’estremo Nord del Pianeta non tornerà più ad essere quello che abbiamo visto in innumerevoli immagini e documentari. D’estate, entro il 2040, sarà solo una distesa di acqua fredda, libera dai ghiacci. Se anche i Paesi del mondo riuscissero a realizzare pienamente gli impegni sottoscritti con l’Accordo di Parigi e a mantenere l’aumento medio delle temperature al disotto dei 2 gradi, “le temperature invernali medie nell’Oceano Artico aumenterebbero comunque tra i 5 e i 9 gradi rispetto alla media 1986 – 2005”.

Le conseguenze di questa situazione, in termini d’innalzamento dei mari, dirottamento delle correnti oceaniche o anche di ulteriore aumento del metano nell’aria a causa dello scioglimento del permafrost che ricopre le terre settentrionali estreme, sono difficili da valutare, ma il messaggio è molto chiaro: una parte consistente del danno derivante dal cambiamento climatico è ormai irreversibile. Dobbiamo batterci per mitigare l’ulteriore aumento delle temperature attraverso la riduzione delle emissioni, ma anche dare la massima attenzione all’adattamento all’inevitabile.

Anche l’Italia è particolarmente a rischio. Di adattamento ai cambiamenti climatici si è parlato nel corso del convegno Esri 2017, il 10 maggio, in una tavola rotonda su “Agenda 2030: la geografia digitale e il monitoraggio degli Obiettivi di sviluppo sostenibile”. Andrea Masullo, del ministero dell’Ambiente, ha presentato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che è in corso di elaborazione. Le indicazioni non sono rassicuranti. Per la sua collocazione geografica, l’Italia risentirà più di altre aree del  Pianeta del climate change e dovrà affrontare grandi lavori infrastrutturali per mantenere vivibile l’intero suo territorio. Si pensi al consolidamento delle zone sottoposte al rischio idrogeologico, ma anche alla probabile necessità di grandi condotte che portino acqua dalle regioni in cui le precipitazioni aumenteranno a quelle che rimarranno a secco. Insomma, quando parliamo di futuro in relazione agli Obiettivi da raggiungere entro il 2030, i Sustainable development goals (SDGs) su cui è impegnata l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), parliamo innanzitutto di scelte necessarie e urgenti nel nostro presente.

La classe politica e più in generale l’opinione pubblica del Paese ha la percezione della gravità delle sfide che dovremo affrontare? Qui dobbiamo evitare di dare risposte generiche e scontate. È vero che la politica (così come vi viene raccontata dai media) tarda a prendere coscienza di questi problemi, essendo sempre schiacciata sul breve termine, tra scandali e manovre per le imminenti elezioni. Ma è anche vero che molti lavori importanti sono in corso. Abbiamo già segnalato che il Documento di economia e finanza per la prima volta apre agli indicatori di benessere, alla Strategia di sviluppo sostenibile e al bilancio di genere.

Come abbiamo detto, è in elaborazione il Piano nazionale di adattamento, mentre il ministero dell’Ambiente ha messo on line questa settimana il primo Rapporto sullo stato del capitale naturale, tassello fondamentale per tracciare un quadro delle vulnerabilità del nostro territorio.

Da segnalare anche la presentazione della Strategia energetica nazionale a Montecitorio da parte dei ministri Carlo Calenda e Gian Luigi Galletti.

Certo, passare dai documenti di ricognizione alle politiche condivise non è mai facile, soprattutto quando le politiche comportano scelte collettive che magari devono imporre sacrifici nel presente per benefici futuri. Su questo però è importante sottolineare il consenso che cresce nel Paese dove, come ha ricordato anche Enrico Giovannini nella sua trasmissione Scegliere il futuro su Radio radicale, la maggioranza dell’opinione pubblica riconosce l’importanza dei temi legati alla sostenibilità. Ricordiamo a questo proposito che proprio al portavoce dell’Asvis è stato attribuito dall’Esri il premio “Mondo d’oro per il suo impegno nelle attività di sensibilizzazione della società civile e delle istituzioni verso i temi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.”

Questo impegno, che coinvolge tutte le associazioni aderenti all’Alleanza, vede ora un importante riconoscimento nel Festival dello Sviluppo sostenibile che è stato ufficialmente presentato venerdì 12 nella sede della Stampa estera a Roma: oltre 200 eventi dal 22 maggio al 7 giugno, su tutto il territorio nazionale. Sul sito del festival, alla pagina Eventi potete selezionare per data, luogo e tema le iniziative di maggior interesse per voi.

Annotiamo anche che l’impegno per la sostenibilità (che è anche sociale e non solo ambientale) in questa settimana ha trovato riscontro nel G7 dei ministri delle Finanze che si è svolto a Bari, nel quale si è dato spazio a un Simposio a porte chiuse su temi legati alla crescita inclusiva, alla lotta alle disuguaglianze e al rapporto tra finanza, regolamentazione e crescita ,con la partecipazione di importanti economisti. Al termine del G7 Finanze è stato approvato un documento detto Bary Policy Agenda che “offre una cornice generale di opzioni politiche per promuovere la crescita inclusiva sfruttando le sinergie tra le politiche macroeconomiche e quelle strutturali, mitigando al tempo stesso gli effetti potenzialmente negativi sull’equità”.

Sappiamo che gli SDGs nascono da un impegno assunto da tutte le nazioni del mondo nella sede dell’Onu nel settembre 2015. Ma quanto sono credibili le Nazioni unite quando proclamano questi impegni? La domanda sorge spontanea quando si constata, come fa Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, che molte decisioni dell’Onu, come l’inserimento dell’Arabia Saudita nella Commissione che deve tutelare i dritti delle donne, sono criticabili, frutto di convergenze politiche strumentali piuttosto che di chiare scelte coerenti con gli SDGs. Tuttavia, non va mai dimenticato che l’Onu non è solo questo, ma è la sede di innumerevoli negoziati sul futuro della Terra, nei quali con lentezza e fatica si registrano comunque dei progressi. Per esempio, il 5 maggio a New York si è concluso il 12° Forum dell’Onu sulle foreste (Unff) , dedicato alla messa a punto di un piano 2017 -2030 per la salvaguardia dei polmoni verdi del Pianeta. La sostenibilità insomma è un work in progress. Ci sono battaglie che si vincono e battaglie che si perdono. L’importante è continuare a lottare, tutti insieme: come dice il claim del Festival, “Disegniamo il futuro, cambiamo il presente”. ( Donato Speroni)