Qualche giorno fa, un allarme è risuonato sul New York Times, prontamente ripreso su Repubblica: “By by babies”, cioè: addio cari bambini, visto che non nascete più, e quindi la popolazione diminuirà, come succede già adesso in Giappone (meno 244 mila abitanti solo l’ultimo anno). Stesse cifre, o simili, anche per molti paesi asiatici, come Corea del Sud e Tailandia, da cui eravamo abituati a temere un’esplosione demografica in salsa gialla, e che sono diventati demograficamente disappetenti peggio dell’Europa. In generale, sono 40 i paesi per cui si prevede che la popolazione diminuirà entro metà di questo secolo.

tfrA dir la verità, proseguendo la lettura, l’articolo americano introduce molti “ distinguo”: pochi bambini non equivalgono automaticamente nell’immediato futuro a popolazione in diminuzione. Ne sappiamo qualcosa noi in Italia, che compensiamo con un’abbondante immigrazione la scarsità di nascite, al contrario dei giapponesi, che da tradizione sono più prevenuti contro le mescolanze etniche. Poi la gente vive più a lungo, soprattutto nei paesi ricchi, che possono dedicare più risorse alla sanità e alla protezione sociale in generale. Se le stesse persone di prima, o anche meno persone, si trattengono più a lungo in questa valle di lacrime, l’affollamento non diminuisce.

Per di più, è quasi più facile prevedere la fecondità che non la longevità. Quest’ultima dipende molto dai progressi della medicina, che non sono mai lineari, vanno avanti con improvvisi scossoni: “scoperte”, applicazione delle scoperte e loro diffusione su larga scala. Invece, l’andamento della fecondità – che è un comportamento volontario, al contrario della sopravvivenza – è paradossalmente più prevedibile. Le donne desiderano decidere loro se e quando diventare madri, e quanti figli mettere al mondo. Questa “quantità” di figli ovviamente è molto variabile e dipende da tanti fattori (risorse economiche, salute, desideri), ma si assiste ad una crescente “convergenza” planetaria verso valori medio-bassi, per cui la fecondità diminuisce ovunque, in alcuni paesi da molto tempo e in altri da poco, ed invece aumenta un po’ solo nei paesi in cui prima è diminuita troppo (Europa, Nord America). Questo non significa che il pianeta è diventato uniforme, differenze ce ne sono tante e profonde, ma la direzione di marcia è chiara ed evidente.

Chi – come me – è un estimatore di Hans Rosling, lo svedese del sito Gapminder e delle prodigiose conferenze TED, può gustare due video. Il primo della Bbc, dove in 4 minuti lui condensa cos’è successo in 200 anni alla popolazione di 200 paesi: aumento del reddito pro-capite e allungamento della vita sono andati insieme, migliorando le condizioni  – sia pure in misura diversa – un po’ dappertutto, anche se le distanze rimangono fortissime fra i paesi e dentro i paesi, con pezzi di Cina come Shanghai, dove si vive come in Italia, e altri pezzi di Cina vicini al Pakistan. Questo per il passato. In quest’altro video invece Rosling ci spiega quali prospettive ci aspettano: un’umanità che nel 2050 arriverà a 9 miliardi di persone (le nove scatole dell’Ikea), con l’Occidente che deve aspettarsi di essere una piccola minoranza numerica, forse un riferimento culturale per tutti gli altri, ma non è detto.

Se volete invece annegare nelle cifre, quelle che anche Rosling utilizza, ma “digerendole” per noi, facendole diventare facili e interessanti, potete guardare i documenti delle Nazioni Unite: questo di due pagine con i 10 punti chiave, e il Rapporto del Segretario Generale, un po’ più lungo.

Torniamo al dunque: allora, bisogna aver paura del declino demografico? Abbiamo visto che per il pianeta è troppo presto per preoccuparsi di diminuzione, per vari decenni ancora continueremo ad aumentare. Per alcuni paesi in cui si fa un gran parlare di declino, compresi gli Stati Uniti, sembra un riflesso condizionato di paure militari o geostrategiche. Un europeo, specialmente se tedesco, italiano o spagnolo, sarebbe ben felice di avere una piramide delle età “rettangolare”, come quella disegnata per gli USA dal documento “The NEXT America” del Pew Research. La nostra piramide ha una pancia voluminosa (le generazioni adulte) e una base troppo smilza (i bambini che non ci sono): magari fosse rettangolare, significherebbe che le nuove generazioni sostituiscono le vecchie, senza lasciare vuoti.

Allora il problema non è alimentare paure, che non aiutano nessuno. Ma nominare i problemi, questo sì. Prima le generazioni si sostituivano, oggi si affiancano, dice Lidia Ravera, bisogna trovare un modo di convivere, senza farsi male. Nel suo romanzo “Gli scaduti”, lei ha immaginato un mondo in cui a 60 anni ci si deve obbligatoriamente ritirare, in un mondo parallelo riservato agli “scaduti”. Non mi piace molto, ma forse non è poi così diverso da quello che succede realmente (ad una certa età, volente o nolente, dal lavoro ti mandano via, più o meno educatamente; dopo, la pensione rimane sempre quella, immobile anche se i prezzi aumentano; con i capelli grigi, se ti ostini a guidare rispettando il codice stradale, per strada sei considerata una cretina (e ti danno del tu, perché?); a priori per i “giovani” devi essere un’analfabeta digitale senza se e senza ma,  ecc. ecc.). Certo, notizie come quella della “vampire therapy” sembrano fatte apposta per riaccendere le ostilità fra le generazioni (trasfusioni di sangue giovane per rallentare l’invecchiamento).

Ma, nonostante tutto, non rinunceremo a pensare a come si può vivere – possibilmente insieme – dopo il Grande Cambiamento.