Contributo delle “25.11” (collettivo femminista composto da donne diverse per età e storia personale) all’assemblea delle donne della Lombardia in rete con “Se non ora quando” di lunedì 14 marzo 2011.C’è fermento. L’8 marzo di quest’anno le piazze si sono riempite di donne, unite dal
desiderio di modificare la quotidianità che ci troviamo a vivere.

{{Non siamo un corpo unico, le differenze ci sono e sono tante.}} Il dibattito successivo
all’appello del 13 febbraio e le diverse modalità con cui siamo scese in piazza lo dimostrano.
Ma siamo d’accodo con Lea Melandri quando afferma: “Abbiamo forti divergenze, siamo a
volte conflittuali ma il conflitto non è la guerra. Il conflitto è la vita, è fonte di vitalità, di
cambiamento, è la libertà di poter dire sono d’accordo o non sono d’accordo”.

Ecco perché noi,{{ un collettivo femminista composto da donne diverse per età e storia
personale, }} abbiamo condiviso a modo nostro le piazze del 13 febbraio e dell’8 marzo.
C’eravamo per il grande desiderio di libertà, di parola e di autonomia che in sostanza ci
accomunava tutte, ma portavamo con noi anche uno sguardo fortemente critico rispetto ad
alcune “visioni” del femminismo che sono emerse in alcuni appelli e in alcune parole
d’ordine.

Non vorremmo che il devastante imbarbarimento sociale, culturale e politico in cui stiamo
precipitando finisse per sdoganare un retorico modello femminile legalitario, perbenista,
addirittura “nazionalista”… Insomma, {{brave donne italiane ammantate di tricolore purché
antiberlusconiane…}}

Si scende in piazza con la bandiera italiana, si invitano le cittadine “italiane”, si fa il
gemellaggio tra l’8 marzo e l’unità d’Italia e si cela che {{noi, per essere nate in Italia, siamo
dalla parte della barriera che crea oppressione e istituisce per legge l’alterità.}}

Noi non
vogliamo legittimare questa barriera e {{cerchiamo pratiche quotidiane di relazioni che
superino queste divisioni imposte}}. Vogliamo esplorare i nessi fra le politiche di
contenimento che hanno consentito il nascere dei Centri di identificazione ed espulsione
dove sono rinchiusi donne e uomini migranti privati dei diritti umani fondamentali e bollati
come “illegali” e ciò che limita e ingabbia le nostre vite di cittadine cosiddette “legali”.
Su questo vorremmo confrontarci.

Siamo andate in piazza appunto per {{dire che non accettiamo un sistema che divide le donne
in legali e illegali, discrimina le immigrate, le rinchiude nei Cie}}. Non accettiamo confini e
barriere legati alla nazionalità, al colore della pelle, al possesso dei documenti, alle
condizioni sociali, al ruolo imposto, al moralismo sessista. Non accettiamo la violenza
maschile e di stato nelle case, nelle strade, nelle caserme, nei lager chiamati Cie, in tutte le
istituzioni totali.

{{La denuncia di queste barriere e di queste violenze}} secondo noi era poco presente nella
manifestazione del 13, eppure si tratta di una verità tanto “scandalosa” da provocare
immediatamente la reazione aggressiva delle forze dell’ordine appena la vedono scritta a
chiare lettere su uno striscione, com’è accaduto l’8 marzo al nostro presidio di piazza
Cordusio (regolarmente autorizzato), quando la polizia ci ha bloccato e ha tentato di portarci
in Questura.

Senza dubbio, al di là delle differenze, {{quel che condividiamo con tante altre donne è il
desiderio di cambiare questo sistema, ma come?}} Non vorremmo nemmeno che il
femminismo critico e autonomo in cui ci riconosciamo, in questa assemblea largamente
presente, si facesse una volta di più {{incantare dalle sirene della rappresentanza }} a uso dei
vecchi partiti, delle quote, delle cooptazioni decise dall’alto.
Le vicende degli ultimi decenni dimostrano che non basta protestare, chiedere “quote rosa”,
pari opportunità, più rappresentanza, più diritti…

La logica politica di aggiustamento non
serve perché questo sistema è impermeabile al cambiamento e alle profonde trasformazioni
che le donne che combattono le oppressioni di classe, genere e razza vogliono mettere in
atto.

È prioritario, per noi, {{sviluppare visioni nuove avendo chiara l’alterità del nostro punto di
vista}}: vogliamo provare a percorrere un’altra strada per “uscire dal quadro dato” e aprire un
altro immaginario, disidentificandoci dai codici maschili e di potere.

Cosa significa in pratica? Avere la {{pazienza di confrontarci su tutti i nodi di questo scenario}}
per raggiungere una ricchezza di proposte, mettere in atto piccoli esperimenti di socialità
urbana alternativi ai modelli dominanti e alla mentalità predatoria che tutto pervade, che
pone i profitti sopra ogni cosa, mescolarci con le donne provenienti da altri paesi,
inaugurare luoghi d’incontro e scambio di saperi ed esperienze, inventare forme di
economia alternative rispetto al consumismo…

Piccoli esempi di trasformazione in atto per
riprenderci almeno in parte il tempo della vita e delle relazioni.

{{leventicinqueundici}}

http://leventicinqueundici.noblogs.org/
venticinquenovembre@gmail.com

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