Marta Dillon è nata a Buenos Aires il 29 luglio 1966. E’ una giornalista e attivista argentina. È l’editrice del supplemento femminista Las 12, del giornale Página / 12, e in seguito creatrice ed editore del supplemento per la soia LGTBQ. Stesso giornale. Negli anni Novanta scrisse la colonna Convivir Con Virus . È figlia dell’avvocata Marta Taboada (1942-1977), “scomparsa” dalla dittatura di Videla. È una moglie lesbica, sieropositiva, madre e nonna. Fa parte di una “famiglia eterogenea”. Ha iniziato a fare giornalismo all’età di 20 anni. Ha lavorato al giornale Nuevo Sur e ha pubblicato articoli, tra gli altri, su riviste locali El Porteño, Cerdos & Peces, La Maga , Luna, Notizie, Pagina / 30, Rolling Stone, Urban Planet e Latido, e nel National Geographic messicano in spagnolo e Luna Cornea. Conduce il programma radiofonico El Desmadre. Nel 2015 è stata uno delle fondatrici del movimento Ni uno meno iniziato in Argentina per denunciare la violenza contro le donne e il femminicidio.

Al Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” in Via Marsala, 26  oggi giovedì 21 giungo 2018  si parlerà di Corpi ritrovati, la materialità della memoria  Introduce Maria Patrizia Violi, docente Unibo  – L’incontro è organizzato dal centro in collaborazione con l’Associazione Orlando . Domani Venerdì 22 giugno 2018 alle ore 17.00  al Cassero LGBTI Center in Via Don Minzoni, 18 Salotto familiare: esperienze e pratiche di genitorialità a confronto   Marta Dillon dialogherà con alcuni attivisti e attiviste.

Gli incontri sono aperti al pubblico e a ingresso gratuito

Al polso Marta Dillon porta un fazzoletto verde, il simbolo della lotta per l’#abortolegal che il 13 giugno scorso in Argentina ha superato il primo scalino in Parlamento. Anni di battaglie e manifestazioni culminati in una legge, passata per ora alla Camera dopo una discussione di quasi 24 ore, che finalmente riconosce il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito. “Promotrici sono state soprattutto le adolescenti che sono scese in piazza e hanno rivendicato il diritto all’autonomia per tutte – spiega l’attivista di “Ni Una Menos”, il movimento femminista partito dall’Argentina nel 2015 e poi diffusosi in tutto il mondo, Italia compresa.

Dopo il voto alla Camera  bisognerà attendere il voto del Senato, che secondo Dillon sarà favorevole: “La legge sull’interruzione volontaria della gravidanza  arriverà prima della fine dell’anno, questa mobilitazione popolare sta sicuramente facendo riflettere i membri del Senato”. Ma conosce bene anche il “modello Italia”, che fa parlare di sé anche in Argentina, dove viene considerato dalle attiviste “preoccupante per via dell’obiezione di coscienza” perché “non basta l’aborto legale, abbiamo bisogno di potervi accedere: è fondamentale”.

Marta Dillon è a Bologna da lunedì 18 per una lunga settimana di appuntamenti in giro per la città. Del nuovo Governo gialloverde confessa di non sapere molto ma la situazione le sembra “drammatica” quando si accenna al neo ministro della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana, antiabortista, che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera aveva dichiarato che le famiglie arcobaleno “per la legge non esistono”, mentre la legge Cirinnà riconosce le unioni civili per coppie dello stesso sesso. E “già il nome ‘ministero della Famiglia’ – commenta Dillon – suona un po’ strano”.

Se prima ci si batteva soprattutto in nome delle donne povere, costrette ad abortire in condizioni pericolose e di clandestinità, questa legge sancisce oggi la possibilità di decidere sui nostri corpi e uscire dal comandamento patriarcale per cui si può gioire del sesso solo quando è legato alla maternità”.    Scrittrice e giornalista, lesbica, madre e sieropositiva, Marta Dillon in questi giorni è a Bologna per una serie di incontri sul femminismo mentre al Biografilm Festival parlerà del documentario che sta girando, “Línea 137”, una linea di intervento antiviolenza. “Quando la vittima chiama, interviene una squadra composta da una psicologa e assistenti sociali che come prima cosa cacciano di casa la persona violenta – spiega Dillo al fattoquotidiano.it – e accompagnano la vittima fino alla denuncia. Il documentario si concentra sul lavoro delle operatrici, donne in campo per difendere altre donne, una sorta di burnout contro la violenza machista, che abbiamo naturalizzato e di cui ci siamo fatte carico”. Dillon è anche tra le fondatori di “Hijos”, l’associazione che raccoglie i figli e le figlie dei desaparecidos della dittatura militare argentina, “L’abbiamo creata quando c’era un’impunità verso il terrorismo di stato. Abbiamo iniziato segnalando in maniera evidente i quartieri in cui avvenivano gli omicidi. Come Ni Una Menos ci riconosciamo nei figli e nelle figlie dei desaparecidos, è una questione femminista che ci permette di creare delle connessioni e una giustizia alternativa”.