Perché il femminismo non sfonda adesso che potrebbe? e La debolezza del femminismo, sono i titoli, estremamente significativi, di due articoli importanti scritti, rispettivamente, da Lea Melandri e da Angela Giuffrida che hanno in comune il pregio – non comune – di dare ossigeno al pensiero. Sarà per via di una mia incorreggibile avversione di matrice nietzschiana alla dialettica, sarà per un rigetto profondo dell’Uno e/o per via di una passione weiliana per i due contrari in Uno, sarà perché binarismi e dicotomie, Uno e molteplice e riconciliazioni dialettiche varie, occupano da sempre i miei pensieri nella teoria come nella mia pratica psicanalitica quotidiana, sta di fatto che questi due articoli – in cui alcuni nodi insoluti sono finalmente al centro della riflessione – hanno risvegliato in me una particolare attenzione per il fatto di sollecitare, in forme diverse, ma con la stessa urgenza, una domanda rivolta alle donne, che suona: {{ {Che fare?} }}, cui seguono alcune indicazioni sulle vie da prendere.

Vorrei provare a rispondere, a mia volta, a questa domanda, suggerendo qualche indicazione in più, non senza aver prima considerato alcuni tornanti di questi articoli particolarmente degni di rilievo.

Nel corso della lettura dello scritto di Angela Giuffrida[ La debolezza del femminile->2763], mi sono soffermata, in particolare, su alcuni rilievi critici sollevati dall’autrice in merito ad alcuni passaggi contenuti nell’articolo di Lea Melandri [Perché il femminismo non sfonda adesso che potrebbe?->2709], arricchiti da un’analisi impegnata ad indagare a fondo sulle radici dell’”afasia” e “rapsodicità” del femminismo mondiale, del tutto incapace di generalizzare la sua cultura.

Le ragioni di questa incapacità appaiono, nell’articolo di {{Giuffrida}}, intimamente connesse e logicamente deducibili da un’impasse “primaria”, datata, più “originaria” – se così si può dire – che consiste nell’{{impossibilità, da parte del femminismo, di liberarsi, una volta per tutte, dal “pantano” invischiante della cultura di dominio}} e dai suoi meccanismi perversi, miranti alla conservazione e al rafforzamento del sistema binario generatore di coppie antagoniste in perpetuo conflitto fra loro (maschio-femmina, spirito-materia, etc.).

E’ quanto basta per capire che {{la pretesa di uscire dalla Ratio maschile e dal suo sistema di dominio, perpetuando immutati, all’interno di una Ragione Altra, gli stessi meccanismi}} del sistema di dominio da cui si vuole uscire, è un’assoluta ingenuità. Come non essere d’accordo?

Un’ingenuità che riguarda, non di meno, anche la psicanalisi e la “formazione” unisex impartita nelle sue perverse istituzioni paterne, nonché le varie pratiche “psi” di cui è pieno il mercato e che attraverso una costante patologizzazione del femminile e l’oscuramento delle patologie maschili, obbediscono a una strategia discriminatoria di controllo e di omogeneizzazione sociale.

Uno di questi meccanismi infernali – propri, peraltro, di ogni sistema binario e destinato a rafforzarlo – sarebbe presente e pienamente all’opera, secondo Angela Giuffrida, nell’articolo di {{Lea Melandri}} là dove, Melandri, citando un passaggio di Laura Kreyder, demanderebbe la soluzione al problema della perdita di radicalità e di coraggio del femminismo, ad un “salvifico bilinguismo” che consisterebbe, in sostanza, nel “ragionare con la memoria profonda di sé, la lingua intima dell’infanzia e, contemporaneamente, con le parole di fuori, i linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle istituzioni”.

Senza entrare nel merito del contenuto della citazione – che andrebbe considerato nel suo contesto – ciò che viene riassunto e concettualizzato nel termine “bilinguismo” è certamente dell’ordine di una bi-polarità che concerne, nello specifico, un dentro (“memoria profonda di sé, lingua intima dell’infanzia”) e un fuori (“i linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle istituzioni”) e che {{nella lettura di Angela Giuffrida sarebbe riconducibile a un binarismo oppositivo}}. Saremmo in presenza, dunque, di una coppia di contrari in conflitto e del solito famigerato impulso a dialettizzarli.
_ Di qui la sua critica:

{Riconoscendo che il femminismo ha perso col tempo radicalità e coraggio, per risolvere il problema Melandri non trova niente di meglio che ricorrere con Laura Kreyder ad “un salvifico bilinguismo”.}

Pur condividendo e apprezzando l’articolo, l’analisi e le indicazioni conclusive di Giuffrida nel suo complesso, {{la lettura e l’analisi di questo passaggio mi hanno tuttavia suggerito un’interpretazione diversa}} indirizzandomi verso una conclusione differente.

La soluzione al problema della perdita di radicalità del femminismo, affidata al “bilinguismo salvifico” indicato da Kryder e condiviso da Melandri, non va, a mio avviso, nella direzione binaria, dicotomica di un appiattimento della realtà “su coppie di contrari in eterno conflitto… alla ricerca di impossibili sintesi” (Giuffrida) di chiaro stampo dialettico, né in direzione di una permanenza all’interno del sistema binario e di un suo rafforzamento.

{{La coppia di contrari di cui si tratta, – “la memoria profonda di sé” e “le parole di fuori” – non sembra riconducibile, a mio parere, allo schema binario maschile e oppositivo}} del dentro o fuori, interno o esterno, e non pare nemmeno rispondente a un tentativo di dialettizzazione pacificante fra i due poli della coppia in una “sintesi superiore” in cui, di regola, uno dei due termini, destinato ad essere sussunto e assorbito nell’altro, finisce per scomparire.

Vedo all’opera, piuttosto, {{nella coppia dei due contrari, il concetto di ambi-valenza}} su cui tanto insiste Galimberti che si situa su un registro diverso da quello della logica bivalente e disgiuntiva tipica delle opposizioni binarie.

Detto altrimenti, il “bi-linguismo salvifico” non solo non indulgerebbe al bi-narismo ma ne rappresenterebbe, un oltrepassamento in senso antidialettico.

Non è irrilevante sottolineare a questo proposito, nel contesto, la funzione dell’avverbio “contemporaneamente” (che compare nella citazione di Kryder riportata all’inizio) e che attesta la dimensione sincronica di un’ unità fra contrari non dialettizzabili e destinati dunque a rimanere tali: “la memoria profonda di sé” e “le parole di fuori”.

Tale {{dimensione, sincronica, infatti, non appartiene alla diacronia binaria}}, del o-o, del dentro o fuori, interessata all’assorbimento-eliminazione di uno dei due contrari, ma è {{conforme, invece, alla logica della conservazione dei due contrari in quanto contrari in uno}} (Weil).

Angela Giuffrida autrice di {{ {La debolezza del femminile} }}, riconosce, del resto, la necessità e il valore di un recupero della “radicalità dello sguardo” affermato da Melandri su tutta una serie di questioni che abbracciano, oltre allo specifico femminile, la crisi dei partiti, il trionfo dell’antipolitica, la xenofobie, la crisi della famiglia etc., e insiste, alla fine del suo scritto, sulla necessità, per le donne, di acquisire “un modo diverso di stare al mondo” e a un “salto di qualità”.

Sulla necessità di questo salto – in assenza del quale ogni ipotesi di “sfondamento” mi sembra improbabile – ho avuto modo di esporre il mio pensiero in un saggio intitolato [La patologizzazione del femminile->1816]. Su questo salto – che comporta l’invenzione della donna, invenzione che non può venire altri che da lei – vorrei brevemente ritornare con una riflessione che potrebbe forse aprire nuove vie, non ancora praticate, in vista del recupero, da parte delle donne, di una radicalità apparentemente sopita, di un coraggio di cui sempre più si avverte il richiamo.

Lo farò utilizzando – libera da pre-giudizio e malgrado la mia adesione parziale, problematica e per certi versi conflittuale al suo pensiero – il suggerimento di un uomo “scabroso” come il soggetto del suo libro, di un uomo di fama internazionale definito la “rock star” del pensiero contemporaneo, il quale insiste nel teorizzare l’esistenza di un filo rosso capace di unire psicanalisi, marxismo e cristianesimo.
_ Si tratta del filosofo iugoslavo{{ Slavoj Zizek}} che centra in pieno, a mio avviso, il bersaglio, il punto debole del femminismo indicando la via d’uscita in una resistenza radicale davvero efficace al sistema patriarcale:

{Se, tuttavia, si postula, che sia lo stesso sforzo patriarcale di contenimento e di categorizzazione della femminilità a generare forme di resistenza, si apre allora lo spazio per una resistenza femminile che non è più una resistenza in nome di un fondamento sottostante, bensì un principio attivo in eccesso rispetto alla forza oppressiva.}

{- Abbandonare la prospettiva della “vittimizzazione” e rovesciarla.
– Dimostrare con gli strumenti culturali consoni, che la famigerata “contrapposizione” all’uomo di cui le donne vengono accusate è un trucco.
– Mostrare che questa “contrapposizione” binaria è l’esito voluto, programmato, prevedibile e scontato di un antagonismo di genere ultramillenario creato dalla “mente” patriarcale per la conservazione del dominio dell’Uno, sono alcuni punti del programma.}

Ed ecco, a seguire, una conclusione paradossale e solo in apparenza sconcertante di Zizek su cui aprire un confronto:

…forse un’autentica affermazione femminista consisterebbe nel proclamare apertamente: “Non esisto in me stessa, sono soltanto l’incarnazione del fantasma dell’Altro.

Come dire che{{ l’autodefinizione della donna come “sintomo dell’uomo”, come incarnazione del fantasma maschile, è la più potente arma di denuncia della Patologia del patriarcato}}, della sua vocazione suicida e dei crimini, reali e simbolici, che, in nome di una patologia misconosciuta e sommersa, continuano ad essere perpetrati non senza la complicità – inconsapevole – delle donne.
_ Riuscire a padroneggiare e a tenere sotto controllo, per millenni, la metà del genere umano – a ricordarlo è{{ Marina Valcarenghi}} – è un progetto impensabile, impossibile, irrealizzabile senza la complicità delle donne.

C’è moltissimo lavoro da fare e proseguire con un’analisi attenta al rapporto – complesso e paradossale – fra femminismo e psicanalisi è, per quanto mi riguarda, un obiettivo prioritario.
_ Un lavoro in collaborazione con altre donne psicanaliste di diversa provenienza e formazione, libere dal Nome del Padre… del Figlio e dello Spirito Santo… e immuni da quel deficit di aggressività necessaria “che orienta a conquistare e a difendere un proprio territorio, fisico, psichico e sociale nelle sue forme più diverse…” (Valcarenghi) sarebbe altamente auspicabile e potrebbe aprire spazi di pensiero impensati portando a risultati inimmaginabili sia per quanto riguarda la crescita del movimento delle donne sia per quanto concerne la creazione di Luoghi formativi diversamente pensati rispetto alle “chiese” psicanalitiche tradizionali di cui è auspicabile la chiusura.

{{Affamare il patriarcato: ecco uno strumento efficace…}}
“Se si usa…una mentalità maschile per capire le donne, le donne sono destinate a rimanere un enigma” (Valcarenghi) e, a restare, aggiungerei, più “malate” di prima della “cura”.

La quasi scomparsa dell’isteria registrata nella clinica e la tendenza delle donne verso forme di patologie ossessive – un tempo tipicamente maschili – come la nevrosi ossessiva – ha forse qualcosa da insegnarci.