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Qualche giorno fa in Belgio è stata applicata per la prima volta al mondo una legge che consente anche ai minori di accedere all’eutanasia (che per i maggiorenni in quel paese è un diritto ormai da anni). La legge risale al 2014, oggi è il 2016: in due anni nessun altro caso, a dimostrazione che i timori di una morìa di bambini malati per mano di cinici genitori che non vedono l’ora di sbarazzarsene era un (macabro) spauracchio messo in giro da coloro che solo una cosa non sopportano: l’autodeterminazione.

Nel caso in questione il ragazzo aveva 17 anni, non era dunque un bambino, era quasi maggiorenne. I suoi genitori avrebbero anche potuto lavarsene le mani, attendere il compimento del 18mo anno di vita ed evitarsi le penose accuse di aver “ucciso” il proprio figlio. Accuse che provengono principalmente da quel fronte cristiano, e cattolico in particolare, che per esempio in casa nostra si esprime con le parole del cardinal Bagnasco: “Il diritto all’eutanasia del bambino, altro non significa che attribuire ad un adulto il potere di vita e di morte su un minorenne. Questi segnali di morte che arrivano ci addolorano e ci preoccupano come cristiani, ma anche come persone”. Parole che mostrano una totale mancanza di sensibilità nei confronti di una vicenda dolorosissima e delle persone coinvolte, oltre che una abissale ignoranza della legge in questione. La quale ovviamente non dà nessun potere di vita e di morte agli adulti contro la volontà dei minori ma, esattamente al contrario, cerca di individuare una procedura il più rigida possibile per garantire ai minori affetti da malattie incurabili e che vivono in condizioni di estrema sofferenza, di non rimanere alla mercé della loro malattia e della loro sofferenza fino al compimento del fatidico 18mo anno. Nel far questo non può non coinvolgere ovviamente i genitori, i quali non sono però i decisori finali, ma semmai i garanti – insieme a una sfilza di medici e psicologi coinvolti – della volontà del minore. E se si conducesse una seria e approfondita indagine, si scoprirebbe che in realtà è molto più facile ottenere l’eutanasia in Italia che in Belgio. Esattamente perché in Belgio c’è una legge, in Italia no e nella penombra dell’illegalità tutto è possibile (anche abusi contro la volontà delle persone, cosa che la legge belga esclude categoricamente). Ma cosa vogliamo farci, a noi piace così, “si fa ma non si dice” (e soprattuto non si regola) è il nostro motto.

Non c’è alcun dubbio che quando si parla di minori l’argomento “autodeterminazione” è molto complicato, ma la complessità del problema non può essere un alibi per ignorare le estreme sofferenze di questi bambini e non farsene carico. Wim Distelmans, il presidente della Commissione parlamentare belga per il controllo dell’applicazione della legge sull’eutanasia, ha dichiarato: “Per fortuna ci sono pochissimi bambini che prendono in considerazione questa possibilità, ma questo non significa che dobbiamo negare loro il diritto di una morte dignitosa”. Cos’altro c’è da aggiungere?

Dell’atteggiamento cattolico fondamentalista rispetto a questi temi due cose mi sorprendono (o meglio, non mi sorprendono più ma continuo a non capirle). La prima è come possa essere compatibile un tale atteggiamento con i valori di carità e misericordia che dovrebbero essere i fari di una vita condotta cristianamente. Di fronte a dei genitori che hanno preso probabilmente la decisione più dolorosa della propria vita, di fronte a un padre come Beppino Englaro che ha sacrificato la sua intera esistenza pur di riconoscere a sua figlia il diritto a una morte dignitosa, di fronte a una moglie come Mina Welby che, nonostante l’amore infinito che la legava al marito, o forse proprio in virtù di quell’amore, ha accettato la grande sofferenza di perderlo, insomma di fronte alle persone in carne e ossa, che vivono sulla propria pelle queste strazianti sofferenze si può anche non essere d’accordo con le loro scelte, ovviamente, ma come si fa a non rispettarle? a parlare di cultura di morte? ad accusarli di omicidio? a non riconoscere l’infinito amore che c’e in quelle scelte?

La seconda cosa che continuo a non capire è il rapporto di quel mondo cristiano-cattolico con la sofferenza: per un verso la sofferenza è vista come una prova di fede (ma come la mettiamo per chi non crede?), come un amaro calice da bere inevitabilmente per avvicinarsi a Dio (dimenticando che quella di Cristo di bere il suo amaro calice fu una scelta sommamente libera, un profondo gesto di autodeterminazione, il cui valore sta esattamente nella possibilità di rifiutarlo quel calice. Se si nega quella possibilità, il gesto di Cristo sarebbe solo passiva subordinazione); per l’altro, un paradossale rifiuto di riconoscere quella stessa sofferenza, un desiderio di nasconderla sotto il tappeto, di mettere un velo, di non portare sulla scena pubblica quello che deve rimanere dietro le quinte, panni sporchi da lavare in casa (possibilmente con la consulenza di un prete).

Un formidabile intreccio fra rifiuto dell’autodeterminazione individuale e approccio familista/comunitarista porta dunque a non cogliere il livello di civiltà che la legge belga esprime: da un lato, riconoscere l’autodeterminazione degli individui dalla nascita alla morte, dall’altro la consapevolezza che in uno Stato di diritto tocca alla legge può farsi garante di questo diritto.