Quel gesto del lancio delle banane alla ministra Cècile Kienge a Cervia il 26 luglio alla festa del PD dove parlava in un dibattito, ne ha ripetuto un analogo di qualche anno fa allo stadio. C’erano gruppi di tifosi che gettavano banane all’indirizzo dei giocatori neri. Come d’altronde è accaduto nelle giornate soleggiate di questa estate 2013 quando i tifosi hanno inveito contro un giocatore di pelle nera, e alcuni leghisti hanno, colonialisticamente, offeso ripetutamente la Kienge.

Il giorno prima dell’arrivo alla festa Pd della Kienge, giovani di Forza Nuova hanno gettato nello spazio dibattiti tre fantocci sporcati di rosso e una scritta: “No jus soli. L’immigrazione uccide.”
Uccide che cosa?

L’identità italica: “Tutelare l’identità italiana deve essere di primario interesse, in quanto rappresenta la forza da cui trae linfa la vita stessa del nostro popolo”.
Le banane si gettano alle scimmie che le mangiano volentieri. La Kienge, ci ha detto l’on. leghista Calderoli, assomiglia a un orango.
Gli uomini e le donne “di colore”, cioè africani, sono come le grandi scimmie. Dunque, se diventano italiani come la Kienge, inquinano la sacra identità italica.

In più, dare un ministero a una donna è già uno sconvolgimento dell’identità nazionale basata sulla rigida divisione asimmetrica dei ruoli sessuali, che vorrebbe ancora le donne relegate nell’ambito del lavoro di cura. Insomma, intollerabile, da combattere anche con lo stile di lotta dei gruppi di tifosi del calcio.

Il calcio è uno sport (uno sport?) prettamente maschile nella pratica e nella storia. E’ lo sport che separa dalla prima infanzia i bambini dalle bambine. E’ lo sport che trasmette la gregarietà e solidarietà di sesso sul modello delle guerre.
I maschi tifosi appartengono a una squadra come si appartiene, o apparteneva, a una nazione. I segni identitari per le tifoserie vanno dall’abbigliamento alle bandiere. L’aggressività negli scontri tra bande di tifosi è anche, verbalmente e fisicamente molto violenta, simile alla violenza dei ragazzi bulli.

Il calcio è lo sport per eccellenza che offre occasione di autorealizzazione virile in contrapposizione ai luoghi della cura di sé e degli altri, ai quali sono ancora indirizzate in modo privilegiato le femmine.
E’ lo sport che considera il corpo come una materia da plasmare senza limiti di sorta. I bambini e i ragazzi che le dirigenze delle squadre nazionali giudicano idonei alla formazione, sono sottoposti a esercitazioni continue fino all’inserimento in collegi simili ai seminari per i futuri sacerdoti cattolici.
I calciatori, essendo il calcio lo sport più vantaggioso in termini di guadagno, sono portati a trattare il proprio corpo come una qualsiasi macchina da “truccare” per farla rendere di più.

Il calcio è lo sport più visibile, perché ogni giorno occupa un tempo preciso nei telegiornali. Non esiste l’equivalente di uno sport di sole donne.

Diventare la ragazza di un grande calciatore è un sogno diffuso tra le giovani.
Balotelli, il calciatore bresciano, probabilmente attrae l’aggressività della tifoseria anche perché è ricco e sciupafemmine. Uno “di colore”, cioè di razza inferiore, che “si fa “ le donne italiane, comunque bianche, suscita l’inconscio di stereotipi sessisti dei giovani italiani.
I giovani e le giovani italiane sono cresciuti in famiglie dove, le mamme, alla domanda: ” il bambino soffre se la mamma lavora”, hanno risposto affermativamente per l’80% . I papà italiani si occupano del lavoro di cura per l’11 % contro il 57 % dei colleghi danesi. Questa forte asimmetria all’interno della famiglia, diversifica le relazioni significative e d’intimità, trasmettendo un bagaglio emotivo e cognitivo che va a confermare i modelli tradizionali e gli stereotipi sessisti.
Ma, mentre si è propensi ad analizzare tanti settori e campi di azione, il calcio sembra un tabù intoccabile.