I bambini maltrattati o abusati costituiscono un mondo complesso, nel quale è molto difficile entrare, capire e tentare di risolvere i loro problemi.
E in programmazione, in questi giorni, il film{ Polisse}.
E’ la storia di un nucleo speciale della Polizia Francese, addetto alla tutela dei minori maltrattati, dei minori che subiscono violenza, quasi sempre dai loro stessi parenti: il padre, lo zio o il nonno. Sembrano storie lontane, che non ci appartengono, ed invece è un fenomeno che ha una diffusione sorprendente.

I film è bello, spiega bene il dramma che vivono bambini innocenti, bambini inconsapevoli; sotto tale profilo ha una sua valenza ed utilità sociale, perché è {{uno strumento per conoscere un fenomeno che merita l’attenzione della collettività}}.

Una delle prime riprese, inquadra una bambina che dice: “ papà mi ha fatto male”, poi, a domanda, spiega “ mi ha grattato qui” ed indica le sue parti intime. Frasi che purtroppo si sentono da minori che stanno vivendo in famiglie in crisi, sull’orlo della separazione.

I bambini maltrattati o abusati costituiscono un mondo complesso, nel quale è molto difficile entrare, capire e tentare di risolvere i loro problemi. E’ una realtà piena di sfaccettature, soggetta a diverse letture che purtroppo rendono difficile la soluzione.

Quasi sempre, com’è facilmente immaginabile, non ci sono testimoni. Le indagini si basano sulle dichiarazioni dei minori, raramente su referti ospedalieri.
A questo punto si pone {{il problema dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dai minori,}} a volte molto piccoli. Si tratta, spesso, di testimonianze contraddittorie, lacunose, non esaustive, sulle quali i Giudici non sono in grado di emettere sentenze di condanna.

D’altronde, le deposizioni dei bambini non potrebbero essere differenti, considerato che spesso sono ricordi confusi, sbiaditi, oltre che oggetto della tecnica di rimozione da parte dei minori stessi, i quali {{per un chiaro meccanismo di difesa}} non ricordano, o, meglio, ricordano solo il dolore, il trauma, ma non il fatto che lo ha causato.

Talora, i bambini affermano “ papà è cattivo”, ma alla domanda “perché è cattivo?” rispondono “non lo so, non lo ricordo”.

Il processo di rimozione è tale da resettare l’esperienza, pur rimanendo il ricordo della sensazione, che è talmente forte e significativa da indurre il figlio a rifiutare il padre, a non volerlo vedere.

Non c’è solo bisogno di subire una violenza diretta contro i minori, spesso, i bambini che nascono in famiglie dove si vive un “clima maltrattante”, sono a loro volta testimoni di violenza, condizione che genera un grave malessere nella crescita, con danni, a volte, irreversibili. Sono minori che assistono a terribili scene, vedono la loro madre colpita, schiaffeggiata, sentono le urla, i rumori di oggetti che vengono lanciati contro le mura, addosso ai componenti il nucleo familiare. L’arrivo di volanti della polizia, non aiuta a dare un sostegno ai bambini che sono spesso impauriti dagli uomini in divisa che circolano per casa.

{{La storia di Stefania}} rappresenta molto bene le dinamiche in cui sono coinvolti i minori, quando vivono queste terribili storie.

Nata da una giovanissima coppia di genitori, assiste fin da piccola ai maltrattamenti del padre sulla madre. Spesso, la bambina piange quando sente le urla, i rumori delle botte, delle violenze, le voci alterate. Dopo un lungo periodo di vessazioni e soprusi, la moglie va via da casa e porta con sé la bambina. Segue una separazione consensuale che viene sottoscritta dalla moglie con il chiaro fine di non alimentare con una lite giudiziaria il disagio di Stefania. La moglie denuncia il marito per maltrattamenti: viene condannato a due anni di reclusione, la sentenza oggi è all’esame del Giudice di grado superiore. Nel frattempo, interviene il Tribunale per i Minorenni, che, constatato il rifiuto della minore a frequentare il padre, sia pure dinanzi ai Servizi Sociali, inizia a svolgere indagini nei confronti della madre, che non viene considerata collaborativa nell’indurre la minore ad incontrare il papà. L’Autorità Giudiziaria è sempre più convinta che la madre ha un comportamento di allontanamento della figura paterna; il Giudice sente la bambina più volte, Stefania piange appena sente parlare del padre. Il Tribunale è convinto che crescere con un disagio così forte determina una gravo disagio futuro e che il “buco nero” che Stefania si porta dentro, deve essere affrontato oggi che la bambina ha 9 anni e non domani quando sarà adulta. Il Giudice affronta questo “buco nero” con una decisione che non si condivide: la minore deve vedere il padre e la madre non è idonea.

Una pericolosa deriva che fa parte della difficile realtà in cui si opera, ma che non esonera una forte critica alla decisione dei Giudici, i quali, come operatori di un Tribunale per i minori, devono sapere che una donna sottoposta a maltrattamenti ed una figlia testimone di violenze non possono essere sottoposti ai medesimi criteri di giudizio utilizzati per le famiglie dove non c’è un partner violento.

Certamente occorrono delle Politiche Sociali che siano in grado di proteggere e sostenere i minori e di sostituirsi alla famiglia quando non è in grado di tutelare i figli: oggi,purtroppo, non possiamo dire di avere gli strumenti e le competenze sufficienti.

Simona Napolitani, Presidente dell’associazione “Codice Donna”
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