In un paese nel quale non fa problema che ci siano ‘relazioni amichevoli’ tra esponenti del governo e ultras colpiti da Daspo mentre la parola femminista è ritenuta stomachevole farà impressione proporre addirittura una Autority femminista sull’informazione. Ma tant’è: si sa che si può sognare.

Già dal 2009, dopo l’enorme eco mediatico de Il corpo delle donne  http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/ di Lorella Zanardo, al quale seguì il suo libro e la campagna di sensibilizzazione Occhi nuovi per i media http://www.nuoviocchiperimedia.it si ragiona sulla necessità, specialmente nelle scuole con le generazioni giovanissime, di intensificare gli interventi di  formazione per sviluppare uno sguardo critico su media, tv e social, grandi responsabili della veicolazione di stereotipi sessisti e del dilagare dell’hate speech.

Contributi video sull’argomento come Parole d’amore
https://www.youtube.com/watch?v=QQb_HrCdyHk

o Se questa è una donna, https://www.youtube.com/watch?v=u_ER_8ic4rs

solo per citare due esempi, sono la dimostrazione di quanto lavoro ci sia da fare per arginare i messaggi violenti che bombardano e avvelenano il clima delle relazioni umane con immagini aggressive e misogine.

La coraggiosa proposta di istituire una Autority femminista sull’informazione viene da alcune associazioni di donne italiane, UDI di Napoli, Associazione Salute Donna, Resistenza Femminista, Terra di lei e Arcidonna. https://www.facebook.com/stefania.cantatore/posts/2069312583151132

Nel documento di proposta si legge: ”Sono gli stessi uomini al potere a trasgredire anche norme già approvate, col linguaggio e con i media a loro disposizione, il che ha un effetto immediato di emulazione. Laddove fossero materialmente perseguibili tali comportamenti, per i membri del governo va prevista la decadenza dalla carica in attesa dell’accertamento delle responsabilità dirette. L’abitudine ad usare liberamente gli stereotipi sessisti, si nota, si è diffusa in modo esponenziale in corrispondenza delle lotte sempre più pressanti contro la violenza di genere. È stata più volte additata la diffusione di messaggi violenti nei social media. I messaggi mediatici che incitano allo stupro e alle violenze degli uomini sulle donne in generale, fanno riferimento alla presunta naturalità di quote di violenza nelle relazioni uomo donna. Tra queste violenze la prostituzione viene indicata come aspetto atavico ed inestirpabile, connaturato alla natura del desiderio maschile e alla convenienza femminile di compiacerlo. Questa rappresentazione è costantemente associata all’apologia dei diversi reati corrispondenti. Oltre ai meccanismi di ordinaria perseguibilità dei reati violenti, non è prevista alcuna sanzione per coloro che attraverso i media “anticipano” le attenuanti per i reati di femminicidio e stupro e che suggeriscono che le posizioni di potere degli uomini rendano prevedibili e lecite le richieste di prestazioni sessuali in cambio di lavoro e del mantenimento coniugale”.

Come ricordano le attiviste i protocolli internazionali già dagli anni novanta prevedono forme di controllo della legalità dei messaggi e della lesività di genere. È un vero e proprio condizionamento di massa, voluto dalla politica e favorito da media che nel loro complesso non rispondono alla richiesta di cambiamento culturale che in modo falso, anche per loro voce, viene invocata per superare l’oppressione femminile.

La Convenzione di Istanbul fornisce una visione chiara ed inequivocabile del ruolo della comunicazione in tutte le sue forme (capo III art. 17): indica cioè le regole e il supporto culturale. Già le risoluzioni del luglio 1997, 1557 del 2007, il patto di parità del 2006 anticipavano la risoluzione del 2008 n. 2038 sul marketing e la pubblicità, muovendo dall’impatto delle immagini violente sui comportamenti violenti e discriminatori. Per la gran parte poco osservate, ancora non hanno prodotto leggi applicative in Italia. Nel resto dei media lo stato dell’arte, nonostante la Convenzione sia stata ratificata dal Parlamento, non è migliore tanto che redazioni e centrali dell’informazione ritengono legittimo un adeguamento parziale, e formale, unicamente in prossimità della ricorrenza del 25 Novembre.

In questo quadro la proposta di costituire una Autority è quella che essa sia formata da una rappresentanza delle maggiori associazioni femministe Italiane.

A corroborare l’ipotesi esistono precedenti: lo IAP, nel settore pubblicitario, è un organismo autonominato di settore, le cui deliberazioni sono riconosciute dallo Stato.

Il modello può essere usato sul complesso della comunicazione pubblica, sulla base delle segnalazioni del pubblico.