Dall’Udi nazionale: l’intervento di Fabiola Pala del Coordinamento Nazionale UDI al convegno “i beni comuni delle donne” (Bologna 10-20 dicembre 2008) promosso dal Centro delle donne Città di Bologna e da Orlando associazione di donne.
Provo a raccontare la mia Associazione e a raccontarvi di me e delle donne che abitano e vivono {{l’UDI – Unione donne in Italia}}, nel tempo che ho a disposizione.
Comincerò proprio dai beni che oggi costituiscono il patrimonio comune delle donne dell’Udi: le sue sedi locali e i gruppi che corrono per tutta l’Italia , i suoi Archivi, la sua Sede Nazionale. La sua organizzazione che arriva, attraverso ben 14 Congressi (dal 1945 al 2003), alla sua forma attuale: con il ruolo autorevole della Delegata nazionale, con un Coordinamento nazionale, con le Garanti.

Questa l’eredità e la ricerca ancora tutta in fieri di forme organizzative sempre a misura di donne, non solo per coloro che giovani lo sono state e che hanno fatto e attraversato il femminismo stesso, ma che giovani lo sono ora e qui.

Allora {{comincerò anche da me}}.

La mia consapevolezza dell’origine storica dell’’UDI nasce e si forma lentamente anzi va costruendosi giorno dopo giorno e diventa, accanto ad altre situazioni e progetti in corso, assunzione di responsabilità condivisa.

{{La mia Associazione Udi}} come “un luogo organizzato nel quale sono maturate esperienze elaborazioni rivendicazioni lotte delle donne nel loro emergere come soggetto collettivo”. Come luogo in cui molte hanno discusso (ci dicono anche ferocemente), in cui hanno meditato e imparato a mediare intorno ad urgenze tuttora vitali per la vita delle donne giovani ora: asili nido , contraccezione, aborto, violenza sessuale .

La mia Associazione come {{luogo e luoghi fisici abitati e da abitare con corpi di donna diversi e nuovi}}. In presenza di donne che non si sono scelte perché all’Udi si arriva per strade diverse. A partire da bisogni diversi: perché te lo ha detto un’amica, perché hai visitato il sito dell’Udi e, comunque, quando hai varcato la soglia di una sede e/o avuto modo di prendere parta alla sua politica ti accorgi che nell’Udi la relazione politica tra donne è frutto di una intenzione politica proprio perché abitare uno spazio fisico e simbolico richiede un continuo adattamento, un continuo riposizionarsi.

Tutto questo è faticoso, ma necessario per rompere quel silenzio e senso di solitudine che ormai non ha più odore e sguardo tra noi. Per non restare irretite dentro sistemi di comunicazione spesso alienante, fatta di astrazione e dilettantismo: per non rischiare di scomparire anonime o rarefatte o dilatate . Per non mentire alle nostre solitudini e vite precarie ma soprattutto per il piacere del rischio e la volontà di esserci, di assumersi urgenza ed esigenza – ma anche pretesa e rivendicazione – di visibilità, di libertà, di politica.

Il femminismo è stato un movimento importante che ci ha lasciato testi linguaggio teoria ancora da riattraversare e nuovamente da interpretare con gli occhi che ora ci appartengono, per l’esperienza di vita che ora viviamo. Il senso e il sentimento comune del femminismo è diffuso tra tutte le donne e la politica non è più appannaggio esclusivo di coloro che sono allevate/i nelle sezioni o circoli di partito. E’ ancora possibile sperimentare e costruire forme di libertà tra le donne per le donne: {{costruire la libertà come fatto collettivo}}.

Questo è il mio bene e il mio spazio politico da portare e creare all’UDI, dentro un cammino e verso la ricerca di una organizzazione a misura anche delle donne più giovani che si fanno avanti, alla luce dell’Assemblea nazionale autoconvocata.

Tutto il bene di una associazione che ha saputo rendersi inaccessibile a qualsiasi ingerenza esterna attraverso atti politici concreti, che l’hanno portata, passo dopo passo, a fondare il senso di appartenenza e la propria azione politica sull’intelligenza e la sapienza delle donne che ne fanno parte .

L’Udi ha rotto da decenni ormai lo schema che essere a sinistra significa essere automaticamente dalla parte delle donne, perché da tempo ha capito che {{il femminismo è un bene di tutte le donne}} e quindi la politica delle donne può e deve permettersi un respiro più ampio, una dimensione di socialità e accoglienza verso tutti i nuovi soggetti politici per i quali è indispensabile predisporre spazi reali di partecipazione e di parola. Questo cerchiamo di fare nell’Udi, a questi criteri corrisponde la decisione presa nel XIV congresso di rileggere il nostro acronimo, Unione Donne Italiane per trasformarlo in {{Unione Donne in Italia}} (come penso ormai tutte sappiano) per sottolineare , con il rispetto della tradizione, la nostra attenzione alle donne che, nate altrove, vivono qui con noi e insieme siamo e rappresentiamo un bene per noi stesse e per il nostro paese.

A questi criteri corrisponde {{la Scuola Politica dell’Udi,}} già alla sua terza edizione, che si rivolge alle più giovani per mostrare loro che la politica si apprende, che la tradizione si può trasmettere, che si può insegnare e si può imparare.

Per noi, rideclinare il significato del bene della parola politica significa uscire dalle separatezze e lontananze, {{uscire dagli steccati delle ideologie partitiche}} che spesso si fanno scudo di noi e dei nostri bisogni per decidere di investire verso servizi, la maggioranza delle volte senza interpellarci.
Significa uscire dagli stessi mali dell’elitarismo e dell’esclusivismo di certo femminismo non solo universitario e da “vestale del dolore”. Uscire portando con sé – altrove – tutta la cultura clandestina non pagata né riconosciuta della nostra esperienza femminile .

Uscire, per non rischiare di diventare parte e complice di questo processo di disumanizzazione messo in atto dalla società patriarcale odierna sulle nostre vite quotidiane di donna, sui nostri corpi, ancora vergognosamente messi in causa, oggettivati, ritenuti, comunque, solo da tutelare.

Fare politica allora significa {{inventare continuamente pratiche}} che facciano da tramite con le vite frammentate delle donne, a partire dalle nostre esigenze e bisogni di realizzazione piena, sociale, di lavoro e di maternità, comunque identitaria.
Fare progetti politici per restituire fiducia relazione dialogo tra le donne nonostante i ricatti sociali e tutto il non detto sedimentato ormai geneticamente sui nostri corpi, nonostante la nostra assenza ovunque si decide che si rigetta come uno specchio implacabile sulle nostre esistenze invisibili . Ecco allora {{50E50 ovunque si decide o il Comitato nazionale Quando decidiamo noi o la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne.}}

L’impegno politico all’UDI, per mettere parole e progetti tra le donne con tutto il suo valore di una intenzione politica che non vuole mettere distanze tra noi e le altre donne, che non cede.
Con tutta l’intenzione politica di chi non può più vivere aspettando che qualcun altro ci consegni tra le mani l’indipendenza economica o il lavoro, di chi non ne può più neanche di essere giudicata per tutta questa infamia.

Allora parliamo anche del lavoro di quello che è oggi per noi giovani, e neppure tanto giovani, tra precarietà e futuro come già dicevamo in un convegno del 2005.
Il {{lavoro per le donne}} – anche per le più giovani – è lavoro nero che si alterna a disoccupazione e spesso diventa disoccupazione di lunga durata, accanto al senso di impotenza, nonostante l’impegno e la fatica. Accanto al sentirsi il peso e la fretta di essere concepite come corpi in scadenza! Parliamone di lavoro, per non fare pesare la nostra libertà sulle nostre madri, quelle vere, e per cercare di capire a che punto siamo anche in rapporto ai servizi, se quelli che abbiamo ereditato dalle battaglie del movimento delle donne che ci ha preceduto, esauriscono le nostre necessità.

Il salto faticoso sta nel passare dalla miseria e dalla commiserazione (spesso autocommiserazione) alla consapevolezza di avere cura di sé e di reclamare cura del corpo delle donne: fare politica, da donne, tra donne, per capire se stesse senza mediazioni né approvazioni maschili, senza tentazioni seducenti e seduttive, (se non eventualmente per se stesse!). Per praticare anche dolorosamente, la signoria di sè e per farlo senza tutele.

Questo è {{fare politica separata.}}
Separata e pubblica, perché non temiamo gli spazi aperti e il confronto con tutti, come è avvenuto con la raccolta di firme per la proposta di legge di iniziativa popolare, Norme di democrazia paritaria per le Assemblee elettive.

E pubblicamente ascoltiamo donne, le loro testimonianze pensieri e denunce che vorranno affidarci o lasciare dentro l’Anfora, la testimone che passerà tra le mani delle donne per tutta l’Italia e accompagnerà la nostra “{{Staffetta di donne contro la violenza sulle donne}}”, violenza di cui tutte siamo sempre più prede e corpi di sfogo.
Una Staffetta perchè vogliamo dire che la violenza deve essere cancellata dalla faccia della Terra. Perché all’origine di ogni violenza ci sono la solitudine, la colpevolizzazione, la riduzione a corpi inermi privi di ogni cittadinanza, privi di ogni diritto umano…
Non vogliamo soprattutto che, nella testa dei nostri figli e delle nostre figlie, la violenza, in qualunque forma si esplichi, venga pensata come uno degli aspetti ineliminabili dai rapporti tra le persone, come purtroppo può accadere quando alcuni “fenomeni”, da frequenti diventano “normali” .

Abbiamo scelto le parole con cura , una ad una.

{{Femminicidio e violenza sessuata}} sono i sistemi e gli strumenti principali “con cui gli uomini moderano i comportamenti femminili per garantire il mantenimento dell’ordine gerarchico patriarcale. A partire dalle esperienze fatte con le donne che si sono rivolte a noi in questi anni, ci siamo impegnate in una proposta di modifica della legge vigente, in proposte per protocolli di intesa con le istituzioni”.

Le parole d’allarme sollevate dall’indignazione femminile sono usate per veicolare “provvedimenti impropri”, atti che seguono la ratio della fisiologia danno/riparazione. La logica del dopo, del guasto da riparare, supera il soggetto che l’ha subito in favore del bene della famiglia o per ristabilire le relazioni e le condizioni che lo hanno determinato.
Del resto, le risorse che gli ultimi tre governi hanno destinato al contrasto alla violenza, salta agli occhi che si mantengono pressoché equivalenti, cioè misere, anche calcolate rispetto all’ intero volume destinato a politiche di vario tipo.

Noi sappiamo, e lo sanno anche gli altri, che la prima causa di morte per le donne è la violenza sessuata. L’interesse generale è invece, quello di stupirsi ciclicamente per il femminicidio. E’ l’interesse a disconoscere il numero reale delle prostituite e schiave straniere uccise, è l’interesse a tollerare più donne invisibili o “clandestine” tra i migranti.

Consolidare e normalizzare {{l’aiuto solidale delle donne,}} ha comportato la trasformazione dell’aiuto politico in un servizio che, per accedere alle risorse indispensabili alla continuità del lavoro, finisce per piegarsi alla regola della continua emergenza creata dalla minaccia della sottrazione dei fondi, nonché ad adattamenti che di fatto contrastano le finalità per le quali i centri nascono. Non di rado le energie delle operatrici sono impegnate nel contrastare “le connivenze istituzionali” che si manifestano per i limiti della legge vigente, ma anche per la sua disapplicazione o per una normativa “concorrente” sulla famiglia tesa a rafforzare il controllo del capofamiglia. Una costruzione a cui vengono continuamente sottratti i mattoni.

Per tutto questo {{al fianco dei centri antiviolenza gestiti dalle donne}} è indispensabile una solidarietà che sia sciolta da legami di dipendenza economica. Una solidarietà in grado di esprimere la denuncia necessaria a far nascere una azione politica di contrasto alle connivenze istituzionali che sostengono le gerarchie familiari, che sono alla base della moderazione violenta delle donne.

Allora si rende necessario mettere ordine su chi fa cosa e sull’esito delle scelte operate in questi lunghi anni. Sappiamo quanto le donne che gestiscono i servizi siano state e siano importanti ma sappiamo anche qual è il compito della politica, il nostro compito, che ci ha già portate lontane dalla “terziarizzazione del femminismo” .

Gestire servizi sussidiari non è, ora più che mai, il nostro compito.
Nel 2005, la {{riapertura da parte dell’UDI di una vertenza pubblica sul terreno delle cause strutturali della violenza sessuata}}, è stata l’assunzione di una sfida e di una proposta naturalmente collocate fuori dalle alleanze tradizionali, anzi le abbiamo volute verificare con l’esperienza di tutti questi anni e consapevoli dell’eterno svantaggio dell’essere fuori dai luoghi dove si decide.

Abbiamo inaugurato una pratica politica dove il protagonismo dell’associazione è indiscutibile quanto inedito nella politica .
Le donne che hanno scelto di stare nell’UDI, non hanno scelto né un collettivo, né un partito, né la cooperazione. L’UDI è un’associazione storica , ancora unica, che cambia con le donne, e alla quale le donne chiedono di fare politica.