Lo scorso 17 gennaio alla Camera dei Deputati, Sala delle Colonne, si è discusso di Assistenza familiare, dall’ambito privato del rapporto tra famiglie e lavoratrici native e migranti alla dimensione pubblica partendo dai risultati di tre ricerche dedicate al lavoro di curaDurante questa giornata di studio, organizzata dal coordinamento delle parlamentari di Rifondazione Comunista/Sinistra Europea, le ospiti si sono interrogate su quali siano le possibilità di azione per dare (restituire) dignità a chi offre lavoro di assistenza, e a chi si trova in una condizione di dipendenza.

Sono intervenute rappresentanti di alcune associazioni per raccontare esperienze, esprimere esigenze e fare proposte (Acli Colf, AlmaTerra di Torino, No.Di. I nostri diritti di Roma). Su questo nodo sono state presentate tre ricerche: {{ {Assistenti Familiari – Profilo nazionale e interventi per l’emersione} }} (Studio Come, Roma); {{ {Il lavoro di cura nel mercato globale: responsabilità e diritti} }} (Punto di partenza, Toscana); {{ {Donne Immigrate e Lavoro di Cura} }} (Università Ca’Foscari, Venezia); e sono intervenute Rosy Bindi, ministra della famiglia, Rosa Rinaldi, sottosegretaria al Lavoro, Donatella Linguiti, sottosegretaria alle PO.

La questione non è più rinviabile. Dagli anni ’90 si è assistito ad una crescita continua di lavoratrici straniere impiegate nell’assistenza familiare ed a una decrescita delle politiche del Welfare. La vita media si allunga, secondo dati Istat una famiglia italiana su tre ha un anziano 65enne, un anziano su venticinque è ultraottantenne ma le residenze protette sono in grado di accogliere solo 20 anziani ogni 1000, e solo l’1% di anziani è assistito a domicilio.

Con l’involuzione delle politiche sociali si è scaricata la responsabilità e il peso dell’assistenza e della cura sulle famiglie (tra l’altro sempre più deboli e povere) e sulle donne, perlopiù immigrate, determinando così una segregazione di genere e razziale. Nei servizi presso le famiglie infatti gli immigrati rappresentano il 65% degli occupati nel settore e il 41% di loro è una donna.

Non è più possibile continuare a far sostenere loro, singolarmente, i tempi lunghi della politica, c’è una responsabilità collettiva a livello sociale, occorre dare nuova dignità al lavoro di cura. Le lavoratrici immigrate non possono lavorare serenamente senza diritti. Dato che il loro permesso di soggiorno è strettamente legato al lavoro, sono obbligate a vivere in una condizione di dipendenza, sfruttamento e precarietà. A loro si affida il passato, gli anziani, e il futuro, i figli.

Non possono continuare ad essere tutelate dal contratto collettivo delle colf, tra l’altro scaduto, devono essere regolarizzate. {{Chiedono di essere inserite nella rete dei servizi sociali}} per evitare che questo lavoro, caratterizzato da una scarsa mobilità orizzontale, si trasformi in una gabbia occupazionale, in destino. Il lavoro di cura e gli spazi di cittadinanza non si incontrano, anzi viaggiano su binari opposti. Sono quindi necessarie politiche integrate da sostenere e condurre in partenariato con le reti delle associazioni e del volontariato. Le Asl e gli enti locali non riescono a coprire le figure sociosanitarie del Welfare.

Le regioni sono disponibili ad un accordo di programma per cofinanziare una sperimentazione per l’inserimento di queste figure nella rete dei servizi della non autosufficienza. Il provvedimento presentato nel novembre 2006 da Franco Russo e {{dall’On Mercedes Frias}} (gruppo Rifondazione comunista – Sinistra europea) prevede l’{{istituzione presso il Ministero della solidarietàsociale del “Fondo per le non autosufficienze†}} con la finalitàdi incrementare il sistema di protezione sociale e di cura delle persone non autosufficienti. Questo fondo garantirebbe, specie alle famiglie con redditi bassi, l’accesso all’assistenza domiciliare, e con il controllo pubblico di questo aspetto dell’assistenza domiciliare, si garantirebbe contestualmente la regolaritàdei relativi contratti di lavoro.

{Al termine dell’incontro io ed altre colleghe abbiamo fatto alcune domande alla ministra Bindi.}

{{Intervista a Rosy Bindi}}

{{Cosa faràil governo?}}

Dobbiamo fare un’operazione verità. Sappiamo che ci sono circa un milione di assistenti familiari non regolari ed è giusto che, senza ricorrere allo strumento della sanatoria, si metta fine a questa politica dello struzzo incentiva e voluta dalla Bossi Fini. È uno scandalo che ci sia 1 milione di persone non regolari nelle nostre famiglie. La sanatoria non sanerebbe la posizione delle badanti ma il comportamento delle istituzioni.

{{Escludendo la sanatoria, come intendete agire?}}

Troveremo uno strumento. Se queste persone sono dentro le nostre famiglie, è evidente che di queste persone c’è bisogno. Non stiamo forzando nulla. Questa è la situazione.

{{È stato giàposto il problema quando è stato fatto il disegno di legge sullo sfruttamento del lavoro…}}

Sì. Avevamo giàposto il problema in quella sede. Adesso che il Governo sta mettendo mano alle linee generali della Bossi Fini, affronteremo serenamente questo problema fuori dall’emergenza per dare un’impostazione completamente diversa da quella data dalla Bossi Fini. Secondo: per una legge sulla non autosufficienza occorrono finanziamenti e un forte impulso organizzativo, una rete di servizi sociosanitari capillare nel territorio che privilegi l’assistenza domiciliare all’interno della quale credo che saràindispensabile utilizzare il servizio di queste persone. Nel frattempo stiamo predisponendo con le Regioni un accordo di programma che preveda una sperimentazione in ogni regione italiana al fine di individuare modelli più efficienti di incontro tra domanda e offerta. La famiglia deve poter individuare la persona giusta per il tipo di servizio del quale necessita e, allo stesso tempo, l’assistente familiare deve riuscire ad individuare il luogo giusto in cui svolgere il proprio lavoro. Vogliamo dare sicurezza alle nostre famiglie e dignitàdi lavoro alle assistenti familiari. Oggi i sistemi che ci sono non sono adeguati e, quando ci saràuna nuova legislazione, saranno necessari nuovi strumenti. Le regione hanno fatto cose interessanti in questi anni che è giusto che vengano riconosciute e valorizzate. È prevista una formazione indirizzata ad una formazione essenziale ma non banale delle assistenti familiari affinché il servizio che svolgono sia un servizio di qualità.

{{Lei ha parlato anche di tirocini…}}

Sono previsti anche dei veri e propri tirocini nelle famiglie. Non si tratta di formare delle infermiere, delle Ota, ossia figure professionali giàesistenti. Questa è una figura particolare che ha contribuito a cambiare la struttura delle nostre famiglie. Quando oggi si parla delle famiglie italiane c’è una tipologia che prevede: genitori, figli, nonno non autosufficiente e assistente familiare. L’altro punto della sperimentazione è l’inserimento del loro lavoro e del loro servizio all’interno della rete di servizi della non autosufficienza. Il parlamento sta lavorando ad una legge sulla non autosufficienza, il governo si attiverà. Vogliamo essere pronti affinché queste figure entrino a pieno titolo nel nostro sistema.

{{Il tirocinio verràretribuito? C’è il rischio che si passi, come è accaduto in altri ambiti lavorativi, da una tirocinante all’altra?}}

Gli aspetti contrattuali verranno valutati con le parti sociali. Ma io non credo che il problema di questa figura professionale sia contrattuale perché nel nostro paese ci sono lavori molto meno garantiti e retribuiti di quello dell’assistente familiare. Credo che questo aspetto non saràdifficile concordarlo. Le carenze sono quelle cui ho fatto riferimento in precedenza, questa sperimentazione ha questo scopo.

{{Lei ha parlato anche di finanziamenti…}}

È una questione in via di definizione, ma il problema non saranno i finanziamenti perché sia il fondo a disposizione per il 2006, ancora utilizzabile, che il fondo famiglia per il 2007 prevede una quota significativa per raggiungere questo obiettivo.