Non possiamo dare spazio alla costruzione del discorso mediatico che possa anche solo minimamente legittimare una posizione o rafforzare stereotipi e pregiudizi. Ci sempre un pericolo nascosto quando si esprime un giudizio o un’opinione che diventa pubblica: il pericolo del non approfondimento, della rinuncia a conoscere.
Il pericolo quello dell’inerzia o della frettolosità che fa irrigidire la definizione della realtà, investita emozionalmente da chi la esprime, in puro pregiudizio. L’omicidio di Fabiana Luzzi ci interroga e ci fa riflettere. Crediamo che in questi casi sia necessario rispettare il dolore di una famiglia e di una comunità.
Come Centro di Womens Studies Milly Villa non possiamo tuttavia tacere rispetto alla costruzione e alla (ri) produzione del discorso pubblico a cui stiamo assistendo in queste ore.
Non possiamo dare spazio alla costruzione del discorso mediatico che possa anche solo minimamente legittimare una posizione o rafforzare stereotipi e pregiudizi. Ci sempre un pericolo nascosto quando si esprime un giudizio o un’opinione che diventa pubblica: il pericolo del non approfondimento, della rinuncia a conoscere.
Il pericolo quello dell’inerzia o della frettolosità che fa irrigidire la definizione della realtà, investita emozionalmente da chi la esprime, in puro pregiudizio.

L’omicidio di una donna tale ovunque accada: non il luogo a stabilire naturali predisposizioni. Non biologia, né cultura naturalizzata. E’ violenza, e la violenza non conosce appartenenze territoriali o regionali.
Assassini lo si diventa quando si uccide.

E per questo che come Centro sottolineiamo il pericolo nascosto all’interno di ogni stereotipo che diventa pregiudizio: il pericolo di un razzismo che nasconde la realtà e che non permette di leggerla nelle sue tante dimensioni.
Riteniamo indispensabile ripensare alle categorie attraverso le quali leggiamo la violenza di genere, attraverso cui proviamo a comprendere i cambiamenti nelle relazioni, nelle dinamiche di potere, di riconoscimento, di costruzione di una idea di relazione affettiva come possesso e dominio.

Essere situate in una terra come la Calabria significa anche decostruire un immaginario legato alle donne del sud, agli uomini del sud, alle dinamiche tra i generi. A Sud, ma non solo. Significa decostruire concetti come quelli di emancipazione, per approfondire le diverse forse di dominio da cui liberarsi, ed uscire dalla logica che ci rende libere o oppresse nelle rispettive scelte di partire o restare.

Significa decostruire quella visione ricorrente (a cui sembra che due importanti giornali nazionali siano ormai affezionati) che tende a svalutare e {razzizzare} i sud – e la Calabria in particolare – confinandoli in una costruzione discorsiva che li vuole immobili, depauperati, senza storia, stretti dalla morsa del patriarcato.

Significa, per lo stesso motivo, anche sfuggire ai discorsi che si arroccano intorno a una presunta identità ferita, a una calabresità offesa e da difendere: anche in questo caso il rischio quello di naturalizzare la Calabria, annullare le criticità, i chiaroscuri, la forza di un paradigma eterosessista declinato al maschile.

Come Centro di Womens Studies dell’Università della Calabria speriamo che da
questa orrenda vicenda si possa avviare una riflessione seria a partire dal linguaggio utilizzato dai media: parlare non di amore, di gelosia, di passione, ma di violenza, rabbia, calcolo e orrore. Speriamo che da qui si possa rimettere al centro la vita delle donne, la dignità delle persone, a partire dall’individuazione di nuove prospettive di analisi, dalla proposta di percorsi formativi ed educativi, dal sostegno ai centri Antiviolenza, rafforzando ci che esiste e resiste, spesso a fatica.
Rinnoviamo la nostra vicinanza alla famiglia di Fabiana, e a tutte le
vittime di femminicidio.

[Centro di Womens Studies Milly Villa->http://www.women-unical.it]
Università della Calabria