Articolo di Cecilia Guida uscito su AlfaBeta2

Il libro di Marco Mancuso, dal titolo Arte, tecnologia e scienza. Le Art Industries e i nuovi paradigmi di produzione nella New Media Art contemporanea, è un’analisi approfondita dei rapporti tra arte, tecnologia, scienza e società, nonché il completamento di un percorso di ricerca iniziato dall’autore quindici anni fa e concretizzatosi negli anni attraverso un’intensa attività di insegnamento, curatela di mostre, redazione di testi e sviluppo giornaliero di Digicult, una delle principali piattaforme internazionali sul tema della New Media Art. Lo stesso testo infatti sembra pensato in una relazione di continuità con gli articoli e le interviste pubblicate su quello che è ormai un “super-portale” (viste le dimensioni raggiunte).

Il valore del libro sta nell’aver introdotto nel dibattito critico il tema chiave delle “Art Industries”, neologismo appositamente coniato dall’autore per descrivere i confini spesso invisibili di un paradigma culturale, produttivo e di conseguenza economico che delimita ambiti solo apparentemente lontani tra loro. “Si tratta chiaramente di un termine mutuato dalle teorie e dalle pratiche sviluppate nell’ambito delle industrie culturali – precisa Mancuso –, ma che pone l’accento su un modello di produzione che è andato sviluppandosi nel corso degli ultimi dieci anni in settori prettamente legati ai mercati dell’arte contemporanea, del design, della musica, delle arti performative e nei contesti maggiormente interessati alle potenzialità date dal rapporto arte-tecnologia-scienza.” Nuove ed efficaci filiere di produzione capaci di mettere in comunicazione professionisti diversi e di tessere relazioni virtuose con musei, media center, festival, istituti di formazione e accademie producendo così molte opere interessanti per il livello di sperimentazione e sostenendo un graduale processo di maturazione della New Media Art contemporanea.

Mancuso traccia traiettorie di natura storico-artistica e critico-curatoriale suddividendo il testo in due parti principali. La prima, che riguarda la ricostruzione storica delle relazioni tra arte, tecnologia e scienza dalla Rivoluzione Industriale agli anni Duemila, delinea uno scenario complesso e finora poco mappato dove l’autore incrocia le sperimentazioni artistiche con le ricerche presso centri come i Bell Labs e il MIT Media Lab di Negroponte senza dimenticare, anzi sottolineando, la visione innovativa e avanguardista della Olivetti nel panorama aziendale-economico locale e internazionale. Affinché il quadro sia il più completo possibile, Mancuso entra in dialogo con le analisi di studiosi e critici italiani e non come Domenico Quaranta, Valentina Tanni, Claudia D’Alonzo, Geert Lovink, Lev Manovic, Marc Tribe, Reena Jana, tanto per nominarne alcuni.

La seconda parte del libro è il frutto di anni di ricerche sul campo ed è costruita come una cassettiera con tanti scomparti corrispondenti a diversi ambiti disciplinari – Arte e Rete, Suono-Immagine, Fabbing e Autoproduzioni, Architettura e Interazioni Uomo-Macchina-Ambiente, Arte e Scienza etc. – che l’autore di volta in volta apre e riempie di ricerche e progetti interdisciplinari, storie di artisti e designer, descrizioni di opere e mostre. Così come risulta difficile definire la New Media Art per via degli scambi e della sua natura ibrida – tant’è che verrebbe quasi voglia di risolvere l’annosa questione affermando che la New Media Art è laddove non ce lo aspettiamo, ovvero nei laboratori tecnologici, nei network di ingegneri, scienziati, musicisti, nei territori di convergenza –, alla stessa maniera non è facile definire gli artisti poiché chiamarli tali o designer o architetti o ingegneri non è propriamente corretto essendo piuttosto delle figure “liquide”. Mancuso passa in rassegna i diversi modi attraverso i quali gli artisti della New Media Art si auto-definiscono preferendo tra questi il termine “artonauta” del sociologo Ruben Jacobs. L’artonauta è l’artista navigante tra gli ambiti disciplinari, tra i siti e gli spazi, è il ricercatore per eccellenza. “Gli artisti che ho avuto il piacere di incontrare e con cui ho lavorato hanno formazioni spesso non necessariamente legate a studi tecnologici o scientifici, alcuni di loro completamente autodidatti – spiega Mancuso –, mi rendo perfettamente conto che tutto ciò sia difficile da comprendere per chi non sia addentro a questi contesti ma forse la mia attività di insegnamento, che mi porta a contatto con generazioni di studenti a cui spiegare questo tipo di complessità, mi ha aiutato nel cercare di tracciare delle traiettorie di comprensione tra discipline diverse all’interno delle quali questi navigatori del contemporaneo si muovono con grande spontaneità ed efficacia.”

Se le intenzioni dell’autore erano quelle di scrivere un libro che fosse esso stesso una sorta di “oggetto liquido” tra il saggio, il testo di critica d’arte e il culture journalism, mi sembra che Mancuso oltre a essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo abbia realizzato un testo per il presente e per il futuro, ossia uno strumento capace di descrivere gli scambi, gli attori, i linguaggi e i modelli di oggi che rapidamente avranno sviluppi negli anni a venire. Non solo i nostri studenti, gli addetti al settore e il pubblico dei curiosi di New Media Art ma anche i futuri potranno avvalersi di questa appassionata analisi per comprendere le attuali ibridazioni dell’arte contemporanea.

Per finire, sarei curiosa di sapere cosa pensa Mancuso dell’atteso nuovo Museo del Novecento di Mestre, noto come “M9”, e del suo approccio all’immersività e all’interattività di cui non ha potuto scrivere perché aperto appena due mesi fa…

Marco Mancuso – Arte, Tecnologia e Scienza.Le Art Industries e i nuovi paradigmi di produzione nella New Media Art contemporanea – Postfazione di Bruce Sterling – Mimesis Edizioni, 2018, 292 pp., € 26