“ Chi ha lottato per me 45 anni fa? Grazie!”? Molte mani si sono alzate alle parole di Angela Y. Davis nell’Aula Magna di Lettere e Filosofia di Roma Tre. L’energia era palpabile, la corrente elettrica passava sulle nostre teste. Sono arrivata all’incontro pensando di trovarmi davanti a un’istantanea di movimento scattata da Tano D’amico ma mi sono accorta subito che era molto diverso. Sono passati più di trent’anni da quando lei, militante del movimento afroamericano e poi del Partito Comunista statunitense, fu accusata di terrorismo e incarcerata, mobilitando la lotta e la solidarietà della società civile internazionale.
Nell’aula gremita, presenti tre generazioni, soprattutto ragazze/i, Angela Y.Davis non ha avuto bisogno di presentazioni. Il titolo dell’incontro la diceva lunga, The meaning of whithe supremacy today, e la studiosa e attivista ha toccato tutti i punti fondamentali presenti nella sua ultima raccolta di interviste e saggi, Freedom is a costant struggle: Ferguson, Palestine and the foundation of a movement, uscita quest’anno negli Stati Uniti.
“Le persone rifiutano il semplicismo di alcune soluzioni contro il razzismo” ha sottolineato, evidenziando come il fenomeno del razzismo e della “supremazia bianca” siano strutturali e come sia importante capire il ruolo svolto dal colonialismo. Ha inoltre ribadito come sia errato interpretare la presenza di Obama alla Casa Bianca come la caduta dell’ultima barriera del razzismo e ha citato la presidenza Mandela, con le sue difficoltà, in Sud Africa.
“La libertà è una lotta quotidiana” ha detto Angela Y. Davis, “Roma non è stata costruita in un giorno” e ha parlato di come negli ultimi tempi si sia concentrata sull’importanza e sul cambiamento del vocabolario, quello comune e quello politico, citando l’esempio di Occupy, il movimento di protesta internazionale contro la disuguaglianza economica e sociale, dove “la parola occupazione è strettamente connessa ed evocativa dell’occupazione militare, della stessa occupazione militare della Palestina e della militarizzazione della società americana, anche degli atenei.” Più volte tornando sulla questione Palestinese, ha sottolineando come debba essere “in testa all’agenda contro il razzismo”. Ha raccontato della solidarietà che intercorre tra il movimento Black lives matter e quelli di liberazione per la Palestina. Ha criticato “la deriva verso il fondamentalismo islamico presente all’interno del movimento afroamericano” e si è detta preoccupata “per l’intensificazione dei processi migratori e la crescente islamofobia negli Stati Uniti”, di cui ha accusato anche Donald Trump.
Secondo Davis, il significato della “supremazia bianca” sta nelle dinamiche del capitalismo e del mercato, nelle logiche individualistiche: “dell’affermazione del capitalismo globalizzato e dell’ideologia neoliberista è necessario sottolineare i rischi dell’individualismo, se non si prende coscienza di questo le lotte sono destinate a fallire”. Ha posto perciò l’attenzione sull’importanza di una leadership collettiva e non identitaria.
La “supremazia bianca” è ovunque ha detto, “dagli Stati Uniti all’Europa e al Medio Oriente e ovunque la gioventù, nera e bianca, lotta e rifiuta il razzismo”.
“I movimenti femministi sono una cornice molto interessante” ha sottolineato Davis, “le femministe portano avanti riflessioni anticapitaliste, antirazziste e contro la violenza di genere”; anche per lei esiste una stretta connessione tra lo sfruttamento, il razzismo e il sessismo.
Angela Y. Davis, è una donna radiosa e “potente”, che non cavalca l’onda né asseconda gli umori dell’aula. Le sue parole e le sue idee arrivavano come un’onda d’urto a spazzare tutto “il prima”. Dopo il suo intervento, di straordinaria lucidità e attualità, nessuno/, giornalista o docente, è riuscito/a a parlare, per i tanti fischi e urla “siete vecchi!” sicuramente non riferite all’età anagrafica.
Cercare di raccontare una storia come la sua attraverso le canzoni del Quartetto Cetra non si può dire che sia stato edificante. Purtroppo, sul finire dell’intervento di Angela Y. Davis, una parte del pubblico ha offerto uno spettacolo del provincialismo e dell’incapacità di ascoltare e riflettere senza retoriche che comunque non l’hanno zittita; lei ha continuato imperterrita ad affermare che “l’approccio contemporaneo alla lotta radicale è giusto il vivere!”.