E’ tardo pomeriggio quando mi arriva il messaggio di una mamma di Camogli “questa sera c’è Adinolfi, ci faremo delle magliette con su scritto ‘stesso amore, stessi diritti’ e andremo a manifestare il nostro dissenso, fate girare”.

L’iniziativa è patrocinata dal Comune di Recco, ma non da quello di Camogli. Entriamo nella sala del Nautico, Mario Adinolfi e lì con i suoi ‘libretti rossi’ di Voglio la mamma. Tra pubblico e contestatori la sala si riempie. Fa un caldo torrido. Stiamo in fila con magliette diverse: quella dello Human Pride di Genova, quelle autoprodotte dalle mamme di Camogli, una bandiera di Arcigay, proprio perché siamo diversi, gay, etero, maschi, femmine, con figli, senza figli.

Ci unisce la voglia di capire e, qualora possibile, di dialogare. Intuiamo già dall’incipit che le possibilità saranno poche: “Stasera parliamo di VERITÀ”. Lo dice maiuscolo. Ti senti già a disagio: in un’epoca in cui i fondamentalismi religiosi cancellano la storia e l’umanità di intere regioni del mondo, questa verità maiuscola ti fa paura. E’ un fiume in piena Mario Adinolfi, sa scherzare su se stesso, ma sa alternare le invettive polemiche, sa sembrare tollerante, e sa darti sulla voce col microfono quando fai un intervento.

Il suo racconto è una versione moderna del complotto sionista: una cricca di omosessuali ricchi e facoltosi, i poteri forti, le università che trasmettono false informazioni, che vogliono sovvertire l’ordine naturale degli uomini e delle donne tramite la manipolazione psicologica e ideologica nelle scuole.

Tu che ascolti, prima di sentire il pizzicore della rabbia, ti senti stupito. Ma di chi sta parlando? Perché nessuna della persone lì con te, e nessuna delle persone che conosci, fa parte di questo mondo.  Tu che devi pensare ogni giorno “ma se ci baciamo in spiaggia avremo delle grane?” e che chiedi solo lo stesso diritto di esprimerti e stare al mondo, e la stessa tutela di diritti e doveri di tutti gli altri cittadini e cittadine d’Italia. Tu che sei lì perché sconvolto dalla violenza di genere, dal femminicidio, che in questo paese sta assumendo dimensioni abissali e vorresti dialogare su un modello nuovo, da costruire tutti/e insieme, per dare alle generazioni del futuro la possibilità di vivere con meno odio e meno violenza.

Allora Mario Adinolfi sfodera Elton John, parla solo di lui. Ti viene da sperare che almeno gli piacciano le sue canzoni. Tratteggia un ritratto caricaturale, un riccone che fa quello che vuole in barba alle leggi e alla morale: il perfetto “ricco ebreo” della stampa nazista. Ma ce n’è per tutti: matrimonio omosessuale, decreto Cirinnà, aborto, fine vita. E qui qualcuna non ce la fa più “C’è la 194, è una legge” grida. Ma Mario Adinolfi non risponde mai alla domande che poni, la rovescia: se chiedi diritti per i tanti bambini che in Italia vivono in famiglie con genitori omosessuali ti risponde “tu vuoi difendere le prerogative degli adulti”, e tu scuoti la testa ma è tutto inutile. Arriva persino a dire che il divorzio breve è stato introdotto per vendere più automobili perché i single comprano più macchine della famiglie. Mi viene da sorridere, per la prima volta, e mi guardo intorno. Una signora che ha finora diligentemente applaudito mi guarda. Le sorrido, lei mi sorride… questa è proprio grossa per tutti.

Non c’è spazio per la scelta individuale nelle parole dell’oratore: non c’è diritto all’interruzione di gravidanza, non c’è possibilità di decidere di terminare le proprie sofferenze prima della morte, evitando l’accanimento terapeutico. Ma la cosa che stupisce di più è che le donne sono le grandi non-protagoniste del suo discorso. Di donne si parla solo in funzione dei bambini e degli uomini: o madri accudenti o povere sfruttate da uomini gay senza scrupoli. Una signora sbotta “io sono eterosessuale, sono madre di due figli maschi”, cerca di testimoniare la sua differenza rispetto a questi modelli, cerca di prendere respiro in un clima ormai più incalzante che si avvicina alla fine del comizio. La donna libera etero o lesbica, moglie o no, madre o no,  qui non esiste. Di mamme lesbiche, ad esempio, non si parla mai. E alla fine spuntano le parole che fanno paura: trincea, difesa, barricate. L’armamentario bellico per arringare tutti a fare i rappresentanti di classe e lottare contro il fantomatico gender nelle scuole “perché i politici non ci difendono”. E’ sempre ironico constatare come gli ex-politici di professione che su questo si sono costruiti carriere, dopo si smarchino sempre, vogliano essere “uno del popolo”… magari solo con un po’ più di soldi e potere degli altri.

C’è un lieto fine però: sono quelle due o tre persone che vengono a parlarti perché davvero non gli sembri il diavolo e vogliono conoscere, capire. Ci sono gli abbracci con le donne e gli uomini che scelgono sempre di manifestare il proprio pensiero e la propria critica in libertà. Un orgoglio che compensa ogni fatica

 Simone Castagno – coordinamento liguria rainbow